Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

musei e beni culturali / corrispondenze, inchieste e interviste, storie e personaggi

Ricordi di una guerra combattuta lontano da casa. I soldati nepalesi che liberarono l'Emilia-Romagna raccontano la loro storia...
Montecodruzzo Gurkha

Luca Villa
[collaboratore dell'IBC]

A Ram Narayan Kandangwa,

l'amico che mi ha permesso di conoscere queste storie.

 

La Seconda guerra mondiale stava per investire l'Europa e il Mondo quando il primo ministro nepalese Judha Shumshere offrì il suo aiuto alla Corona britannica per fronteggiare la minaccia nazifascista. Assicurò volentieri la disponibilità di migliaia di nuove reclute che avrebbero poi combattuto durante il conflitto in ben tre continenti: Asia, Africa ed Europa. Ogni fronte bellico si trasformò in un palcoscenico per le gesta dei Gurkha. Spesso inviati in prima linea, molti di loro si distinsero per l'indomito coraggio: come accadde a Sher Bahadur Thapa, che fu premiato con la Victoria Cross, il massimo riconoscimento conferito a un soldato al servizio di Sua Maestà britannica, per aver tentato insieme ai suoi compagni di espugnare San Marino; o a Thaman Gurung, che ebbe la stessa sorte meno di due mesi dopo, presso il Monte San Bartolo, sull'Appennino tosco-emiliano. Entrambi perirono nelle azioni di cui furono protagonisti.

Una stima effettuata in seguito stabilì approssimativamente che almeno diecimila soldati nepalesi morirono durante il conflitto e alcune migliaia riposano nel cimitero dedicato ai Gurkha, sito tra Rimini e San Marino. Nessuno di loro sapeva esattamente a cosa andava incontro arruolandosi in quegli anni. Nemmeno chi li aspettava a casa, nei villaggi montani del Nepal o nelle città, ha mai saputo esattamente il loro destino. La loro memoria è arrivata fino a noi. Vale la pena raccontarla:

 

Non ricordo quando mio marito si arruolò. Dopo circa sei anni seppi che era arrivata una lettera. Mio suocero non si preoccupò di spiegarmene il contenuto. Mi disse solo che mio marito non c'era più, e che avremmo dovuto celebrare i riti funebri [...]. Seguii semplicemente le istruzioni e feci quanto mi chiesero di fare [...]. Non potevo credere che mio marito fosse morto. Non ho mai visto il suo cadavere [...]. Mio padre avrebbe voluto che mi risposassi. Ma non sono mai riuscita a dimenticarlo. Mantengo ancora la speranza che un giorno possa apparire di nuovo. In più di un'occasione ho sentito dire che era ancora vivo ed era stato promosso capitano.1

 

Sono le parole di un'anziana e minuta donna nepalese, la moglie di Santa Bahadur Rai, che, come molti compagni d'armi arruolati nel secondo battaglione del Decimo reggimento Gurkha (il 2/10), trovò la morte nel corso della fase finale dell'offensiva alleata in Italia, sulla Linea Gotica. Tra l'ottobre e il dicembre del 2005 ho conosciuto e intervistato alcuni compagni di Santa Bahadur Rai del 2/10. Insieme ai commilitoni del 2/6 e del 2/8 formavano l'unica brigata interamente nepalese impegnata in Italia, fra il settembre del 1944 e l'aprile del 1945, la Quarantatreesima brigata autotrasportata Gurkha.

 

Da Bombay ci trasferimmo a Bassora, poi a Baghdad e a Mosul. Andammo poi in Siria. Ci spostammo lungo la costa africana fino ad arrivare in Libia, a Tobruk. Avremmo dovuto sostituire il 2/7 che era stato decimato dai tedeschi ma non accadde. Tornammo invece in Iraq per imparare nuove tecniche di combattimento e strategie militari che avremmo dovuto applicare in Italia, con la Quarantatreesima brigata.

 

Inizia così il racconto di Birkha Bahadur Limbu, pilota del 2/10. Il 6 maggio 1941 il suo battaglione sbarcò in Iraq, insieme al 2/4 e ad altri due battaglioni di soldati indiani. Formavano la Ventunesima brigata indiana. Anche il 2/8 raggiunse l'Iraq, inquadrato con il 2/7 nella Ventesima brigata di fanteria indiana. Quest'ultimo battaglione, nel giugno dell'anno successivo, fu protagonista di una clamorosa disfatta nei pressi di Tobruk insieme alle truppe alleate, come ricorda Birkha Bahadur. Venticinquemila soldati alleati furono catturati e mandati in campi di prigionia italiani. Alcuni dei Gurkha del 2/7 caduti nelle mani dei tedeschi mi hanno raccontato che riuscivano facilmente a scappare dai campi, anche se invariabilmente erano poi ricatturati. Quando gli alleati raggiunsero l'Italia, i prigionieri nepalesi furono mandati in Francia. Nonostante fosse stato smantellato a Tobruk, il 2/7 fu ricomposto e si unì ad altri cinque battaglioni di fucilieri Gurkha che combatterono in Italia inseriti in tre differenti divisioni di fanteria indiana, dalla storica battaglia di Cassino fino alla fine della guerra.2 Quello stesso battaglione fu anche protagonista dello sfondamento della Linea Gotica a Tavoleto, in una battaglia combattuta casa per casa, riportata anche sui testi storici. "Gli unici tedeschi rimasti vivi erano i prigionieri - e meno di trenta Gurkha erano ancora capaci di reggersi in piedi. Ma essi avevano preso Tavoleto".3

Il primo assalto alle difese tedesche da parte della Quarantatreesima brigata avvenne invece il 13 settembre 1944 a Passano, nei pressi di Coriano, durante gli scontri che precedettero la conquista da parte alleata di Rimini, in data 21 settembre. In quegli otto giorni la Quarantatreesima raggiunse Montecieco, località da cui sarebbe partito l'attacco per liberare Sant'Arcangelo il 25 settembre, prima che la Prima divisione corazzata britannica, nei cui ranghi era inserita la Quarantatreesima, fosse sciolta a causa delle enormi perdite sostenute dai mezzi corazzati alleati. Dalla prima comparsa sul teatro di guerra alla conquista di Sant'Arcangelo la brigata non smise nemmeno per un giorno di combattere. A proposito del suo battesimo di fuoco, Harkaman Limbu, del 2/10, ricorda:

 

Combattemmo per circa dieci giorni nell'area di Rimini. Probabilmente a quel punto i tedeschi erano indeboliti ma morirono moltissimi soldati da entrambe le parti. Usavamo il fucile-mitragliatore Bren e spesso durante il combattimento non avevamo nemmeno il tempo di ricaricarlo, specialmente quando ci trovavamo nelle trincee. Allora usavamo il kukhri per i corpo a corpo con i nemici.4

 

Anche Kul Bahadur Gurung, del 2/6, ha memoria del suo primo combattimento:

 

Mi pare che ci furono tre attacchi in successione. Prima ci fu un bombardamento massiccio da parte dell'aviazione. Poi attaccarono le truppe corazzate. Alla fine la fanteria. Siamo rimasti nelle trincee per giorni. Eravamo talmente assetati che scambiavamo il kerosene per acqua. Una volta eravamo riuniti per preparare il the e una bomba cadde sulla postazione in cui mi trovavo fino a un momento prima. Per fortuna distrusse solo il mio fucile.

 

In seguito allo scioglimento della Prima divisione corazzata, la brigata fu aggregata temporaneamente alla Cinquantaseiesima divisione di fanteria britannica, per poi unirsi alla Decima brigata di fanteria indiana nell'area di Cesena. Le truppe si trovarono sulla direttrice principale dell'attacco alla città, sul crinale Montecodruzzo, Monteaguzzo, Monte Chicco. I soldati tedeschi erano ben consci della pericolosità dei nepalesi, come ricorda uno di loro in un recente libro di Amedeo Montemaggi: "La paura dei Gurkha tagliatori di teste era così viva fra gli uomini della mia compagnia che quando ce li trovammo di fronte non ebbi bisogno di fare ispezioni notturne. Non c'era pericolo che qualcuno s'addormentasse".5 Nonostante l'attenzione difensiva, il 2/6 ripulì la zona entro il 14 ottobre, e Nain Bahadur Gurung ricorda un evento in particolare della battaglia per Monte Chicco:

 

La nostra compagnia ricevette l'ordine di aggirare, o meglio, di attraversare le posizioni nemiche durante la notte, mentre i tedeschi dormivano. Occupammo le postazioni tedesche, ma i nemici passarono al contrattacco. A causa della superiorità dei mezzi del nemico, durante la battaglia morirono molti dei nostri soldati.

 

La Quarantatreesima procedette quindi imperterrita nel settore centrale, con la Decima divisione indiana. Quando ormai gli eserciti stavano per affrontare una lunga pausa nei combattimenti, per l'approssimarsi dell'inverno, la brigata fu nuovamente capace di distinguersi sul campo. Il 2 dicembre sostituì la Ventesima brigata indiana a nord di Faenza. Il giorno dopo, i Gurkha partirono all'attacco insieme ai neozelandesi, mentre inglesi e polacchi attaccavano simultaneamente da sud. Dopo una serie di aspri combattimenti, Faenza cadde il 16 dicembre. Ancora oggi resta incerto se furono i neozelandesi a entrare per primi nella cittadina o i nepalesi della Quarantatreesima. Ma dopo tre lunghi mesi di combattimenti continui ed estenuanti, tutto aveva assunto per i soldati minore importanza. Con pochissime parole, quasi di circostanza - non diverse da quelle usate da altri suoi compagni d'armi - Karma Kumar Rai ricorda brevemente: "Siamo stati a Faenza per tre o quattro giorni. I tedeschi tentarono di contrattaccare dopo che il paese era passato in mano nostra. Fummo coinvolti in piccoli combattimenti".

Fu allora, sulle rive del fiume Senio, che le battaglie furono temporaneamente interrotte. L'esercito tedesco poteva ormai contare su pochi effettivi, e sebbene l'avanzata degli alleati avesse dovuto subire notevoli rallentamenti rispetto alle previsioni iniziali, Bologna ormai distava meno di cinquanta chilometri e la liberazione dell'Italia sembrava sempre più vicina. La Quarantatreesima passò l'inverno intorno a Forlimpopoli. Anche qualche anziano romagnolo ne conserva il ricordo: "Venivano anche quelli del turbante, gli indiani; poi venivano quelli che c'avevano il codino, non so come si chiamassero, facevano paura, sempre tutti mezzi svestiti che... però non han dato fastidio".6 I soldati con il codino erano proprio i Gurkha. Man Bahadur Limbu spiega cos'era accaduto: "Prima di partire per la guerra ci tagliarono i capelli a zero, fatta eccezione per una ciocca alla sommità del capo. Nei battaglioni occidentali erano soliti legare i capelli con un nastro colorato, o coloravano direttamente la ciocca di capelli, per riconoscere i soldati delle diverse compagnie".7 Lo stesso soldato ricorda con piacere i momenti passati in Romagna:

 

Incontrammo molti italiani, specialmente anziani e bambini. Gli uomini in grado di combattere erano ormai nell'esercito. Vivevamo nelle loro case e mangiavamo con loro. Noi Gurkha li proteggevamo. Mentre i tedeschi erano spietati con i civili, che li odiavano. Per circa un mese vissi nei pressi di una casa in cui abitava una giovane ragazza di circa vent'anni: Vivi. Avevamo un ottimo rapporto. Spesso ci scambiavamo le poche cose che si avevano in quel periodo. Lei, di nascosto dai genitori, mi dava del vino, mentre io in cambio le procuravo dello zucchero, che per noi era facilmente reperibile. Era molto gentile.

 

L'arrivo del mese di aprile segnò il nuovo inizio dei combattimenti. La Quarantatreesima brigata riprese ad avanzare sotto il comando delle truppe polacche, sulla via Emilia, fino a quando non giunse nei pressi di Castel San Pietro, che fu liberata dai polacchi stessi. I Gurkha intanto si spostarono verso Medicina, accompagnati dai neozelandesi e dalla Decima divisione indiana.

 

Tutt'intorno era pianura, non c'erano posti in cui potersi nascondere. L'attacco cominciò a mezzogiorno. Noi eravamo sulla sponda di un fiume [il Gaiana, nda]. Cominciarono anche i bombardamenti. Il terreno davanti a noi era minato. Io avevo il comando di un plotone. Praticamente rimasi senza uomini, morirono quasi tutti... Non c'era nessun ufficiale inglese quando, dopo aver occupato le posizioni nemiche, entrammo in paese.

 

Il ricordo ancora una volta affiora dalla memoria di Man Bahadur Limbu, che con i suoi compagni liberò la cittadina il 16 aprile del 1945. Kul Bahadur Gurung aggiunge: "Inseguimmo i tedeschi per alcuni giorni fino a Bologna. Quando arrivammo nella città scoprimmo che la guerra era finita. I tedeschi si erano finalmente arresi". La Quarantatreesima brigata autotrasportata Gurkha si congedò quindi dalla guerra. I soldati passarono gli ultimi giorni vissuti in Emilia-Romagna a Bologna, di cui Bhakhat Bahadur Rai conserva un ricordo particolare, che non ho voluto contraddire: "C'erano due torri molto grandi, più alte dei palazzi che costruiscono oggi a Singapore e a Hong Kong". Sono solo semplici storie di uomini e donne che non aspiravano a entrare nella storia. In realtà, oggi, sono loro la Storia.

 

Note

(1) Testimonianza di Budan Maya Rai in: Stories Untold. Life Stories of the Wives of the British Gurkha Soldiers, Kathmandu, Gurkha Army Ex-Serviceman Organization (GAESO), 2003; traduzione a cura dell'autore.

(2) Complessivamente nove battaglioni di fucilieri Gurkha furono impiegati in Italia: nella Quarta divisione di fanteria indiana, l'1/9 (Quinta brigata fanteria), l'1/2 (Settima brigata fanteria) e il 2/7 (Undicesima brigata fanteria); nella Ottava divisione di fanteria indiana, l'1/5 (Diciassettesima brigata fanteria); nella Decima brigata di fanteria indiana, il 2/4 (Decima brigata fanteria) e il 2/3 (Ventesima brigata fanteria); infine, nella Prima divisione corazzata britannica, la Quarantatreesima brigata autotrasportata Gurkha, con il 2/6, il 2/8 e il 2/10. La Quarta divisione indiana fu inviata in Grecia dopo la battaglia di Rimini.

(3) D. Orgill, La Linea Gotica, Torino, Feltrinelli, 1967.

(4) Il kukhri è l'arma con cui i Gurkha sono divenuti famosi nel mondo, un coltellaccio a forma di scimitarra tipicamente nepalese.

(5) A. Montemaggi, Linea Gotica 1944, Rimini, Museo dell'Aviazione, 2002.

(6) Intervista anonima citata in: G. Bertagnoni, M. Valdinosi, Guerra resistenza e vita quotidiana. Percorsi di ricerca su Forlimpopoli fra memoria e documenti, Cesena, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 1999.

(7) Gli inglesi erano soliti scegliere i soldati su base etnica, distinzione che corrispondeva anche a una differenza di appartenenza geografica. I reggimenti occidentali erano generalmente composti da soldati di etnia Gurung e Magar, mentre i reggimenti orientali di soldati Rai e Limbu. Il 2/6 e il 2/8 erano formati dai primi e il 2/10 dai secondi. Tuttavia durante la Seconda guerra mondiale furono allestiti ben 55 nuovi battaglioni e gli originali criteri di scelta furono grandemente disattesi.

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