Rivista "IBC" XIV, 2006, 2
musei e beni culturali / progetti e realizzazioni
Il mare di Rimini è un segno di matita blu se lo cerchi salendo verso Covignano. La sontuosa morbidezza della collina "sacra" dell'entroterra riminese è ancora in grado di restituire reminiscenze mitiche e stratigrafie archeologiche, soprattutto se lo sguardo riesce a isolare le macchie di cemento, la crescita disomogenea e cupa di capannoni e caseggiati che offendono i nostri occhi non meno di quelli delle divinità e di coloro che hanno frequentato in età etrusca e poi romana santuari e strutture di questi declivi.
Eppure, percorrendo la strada che tenta di dimenticare il frastuono della statale Adriatica e i suoi semafori, l'armonia del profilo collinare si ricompone. L'architettura del Santuario della Beata Vergine delle Grazie, di fronte al quale Giovanni Antonio de Alvarado fece costruire la sua villa nel 1721, è già uno scorcio sufficiente a riprecipitare, chi arriva, in un tempo che dà spazio alla storia, allo spirito, all'intrecciarsi imprevedibile di vicende personali con la storia della cultura. È proprio il caso di questa dimora e del suo proprietario, segretario nella penisola italiana dell'imperatore d'Austria Carlo VI, il quale, dopo un'esistenza spesa nell'attività politica, si ritira qui entrando nel Terzo Ordine di San Francesco, per dedicare il successivo e ultimo ventennio della sua esistenza alla meditazione e alle opere di carità.
Le colline riminesi, del resto, sono avvezze ad accogliere personaggi eminenti in cerca di una dimensione di quiete operosa, a volte provenienti anche da altri paesi, ma con forte impronta culturale: ne è esempio lo studioso francese Adolphe Noël des Vergers, che nel 1843, non molto lontano da qui, a San Lorenzo in Correggiano, acquistò la villa che ancora porta il suo nome e che fu per anni luogo d'incontro dei nomi più prestigiosi della cultura storica e archeologica di quel tempo. Sulle alture del Titano si era ritirato, anni prima, Bartolomeo Borghesi, maestro della moderna ricerca storico-documentaria, e questo probabilmente aveva influenzato la scelta dello storico d'oltralpe.1
La villa del gentiluomo spagnolo divenne, dopo alterne vicende, proprietà dei padri francescani, i quali qui allestirono il loro museo delle missioni fin dal 1928; i frati hanno poi ceduto le loro raccolte di materiali provenienti da altri continenti, e affidarono la villa, in comodato, al Comune di Rimini. L'amministrazione comunale, con felice intuizione, ha identificato nelle stanze un tempo affrescate e nell'appartata eleganza di questo edificio, il luogo idoneo a riproporre dopo un lungo peregrinare quelle collezioni, adesso ulteriormente cresciute, che diedero vita nel 1972 al Museo delle culture extraeuropee. Il collezionista veneto Delfino Dinz Rialto lo aveva creato seguendo i dettami e i criteri espositivi che proponevano in quegli anni i musei americani per quanto riguardava questo tipo di raccolte, che si legano in prima istanza al gusto del viaggio, della scoperta della curiosità per altri modelli espressivi e comportamentali.
Il museo etnografico più importante dell'Emilia-Romagna, costituito da reperti provenienti dall'Africa, dall'Oceania, dall'America precolombiana e in minima parte dal continente asiatico, divenne proprietà comunale nel 1975. Cambierà denominazione e sede un paio di volte fino al 2000, quando l'istituzione si chiude per trasferirsi definitivamente sul colle di Covignano. Qui un lungo intervento di restauro - sostenuto anche dalla Fondazione Cassa di risparmio di Rimini e dalla Provincia minoritica di Bologna, coinvolgendo non solo le istituzioni culturali riminesi ma l'intero assetto regionale che esercita competenze sulla realtà museale del territorio, come l'Istituto per i beni culturali - ha restituito in una lettura aggiornata, e in un allestimento visivamente coinvolgente, un patrimonio solo apparentemente collaterale al tessuto museale della città.
Con una cifra che, piuttosto, ne sottolinea la vocazione più antica e radicata di luogo che, per la sua stessa collocazione geografica tra vie marittime e strade consolari, ha costituito un "boccaporto", un sito di passaggi, di aggregazioni eterogenee, di memorie.2 Nel frattempo si sono concluse importanti acquisizioni: da Biella, la prestigiosa collezione di archeologia precolombiana appartenuta a Ugo Canepa, ben 514 pezzi;3 da ultimo una piccola, ma assai interessante collezione amazzonica, donata dal cesenate Bruno Fusconi.
"Il Museo degli Sguardi vorrebbe avvicinare il proprio pubblico alla dimensione riflessiva della nostra relazione con l'arte degli altri, rivelandola nei diversi aspetti che essa ha assunto a seconda del nostro sguardo" così scrive nell'introduzione alla guida Marc Augé, l'autorevole antropologo che presiede il comitato ordinatore del museo, e al quale si deve la sua nuova denominazione.4 Entrando al piano terra di Villa Alvarado, soffermandosi a guardare quella parete di cristallo dietro cui gli oggetti esposti si "leggono" chiaramente rimanendo a una certa distanza, ma se ne perdono i contorni e la decifrabilità se ci si avvicina troppo, si coglie lo spirito del progetto e la filosofia dello sguardo che ha guidato Augé e gli altri curatori delle sezioni che compongono il museo.
Nello sguardo si assommano le sfumature diverse con cui nel tempo, alla luce della cultura occidentale, viaggiatori, studiosi, visitatori, hanno osservato, raccontato, poi fotografato o filmato, le culture degli altri continenti, le loro espressioni artistiche e religiose, l'organizzazione delle società, lo stile di vita. Un bilancio che ha conosciuto stagioni anche imbarazzanti per la superficialità o per la banalizzazione che trapelano. Per l'incapacità, o meglio per la poca umiltà, o la presupponenza, con cui abbiamo accostato le culture, le civiltà non riconducibili ai nostri codici artistici e comportamentali.
Il nuovo museo vuole compiere uno sforzo ulteriore per portare il pubblico a una comprensione, a una maggiore attenzione ad aderire pienamente a linguaggi differenti dai nostri.5 A guardare mettendo in connessione segni, atteggiamenti. La narrazione museale si avvale di pannelli esplicativi, di postazioni informatiche, di tutti quegli strumenti della multimedialità che dovrebbero rendere più agevole e immediato il "link" con la multietnicità.
Le voci sono plurime, gli oggetti oltre 7.000, per cui è possibile rinnovare l'esposizione permanente che si snoda nelle sale del primo piano. Mentre il piano terra offre spazio alla sala didattica e alle iniziative espositive. La prima si è tenuta in coincidenza con l'apertura del museo: "Affrica terra incognita"; alla metà di giugno sarà la volta de "Gli occhi del pubblico", un'esposizione fotografica dedicata dall'Istituto regionale per i beni culturali ai visitatori dei musei, alle loro reazioni di fronte alle opere. Quale luogo poteva essere più ad hoc del Museo degli sguardi?
Sguardi inconsapevoli di essere fissati, rubati, forse. Come quelli che emergono nel video realizzato per il museo da Mauro Santini, che ha selezionato i filmati girati in Africa da Delfino Dinz Rialto nel corso dei suoi viaggi, e li ha digitalizzati con Camillo Rocca dello Studio Aliante. Il video, che si intitola Lo sguardo nascosto, è il risultato di un assommarsi e riflettersi di occhi: da quelli del viaggiatore a quelli frontali, un po' sbarrati, che entrano nell'obiettivo, a quelli di Santini che li ha montati in sequenze che rispondono alla sensibilità del suo sguardo, che li consegna infine agli occhi dei visitatori.
È interessante il metodo seguito per esporre gli oggetti, dove si alternano spaccati diacronici e sincronie di caratteri. Come pure ben si evidenziano nelle sezioni tematiche alcune delle contraddizioni che hanno configurato l'incontro tra l'Europa e le culture altre: attrazione/repulsione, collezionismo/estetismo. Nella sezione etnografica, l'Africa nera propone una documentazione di grande interesse anche sul piano artistico, ma rilevante proprio per comprendere le manifestazioni religiose, l'organizzazione sociale delle popolazioni, per lo più dedite alla caccia e alla guerriglia. Straordinarie e di raffinatissima fattura, oltre le maschere, sono proprio le armi.
Altrettanto coinvolgente risulta la parte archeologica che va dall'area mesoamericana fino a quella peruviana e amazzonica.6 Particolarmente ricca, grazie anche alla neoacquisita collezione "Canepa", la sezione raccoglie oggetti e tessuti che si prestano a fornire una lettura contestualizzata, e non esotica, di quelle culture di cui anche i violenti fenomeni di colonizzazione hanno accelerato la scomparsa o una marginalizzazione profonda. Forse, in qualche circostanza, di fronte alla vitalità che queste culture ancora esprimono, dovremmo abbassare lo sguardo.
Note
(1) R. Copioli, Villa des Vergers. Adolphe Noël des Vergers e il suo "casino delle delizie", Rimini, Guaraldi, 1993.
(2) Sul ruolo di Rimini in età romana si veda: Pro poplo arimenese, Atti del convegno internazionale "Rimini antica. Una respublica fra terra e mare" (Rimini, ottobre 1993), a cura di A. Calbi e G. Susini, Faenza (Ravenna), Fratelli Lega Editori, 1995.
(3) Si veda in proposito: A. Salvi, Collezione "Canepa": andiamo a "vedere"..., "IBC", XIII, 2005, 3, pp. 30-33.
(4) M. Augé, Il Museo degli Sguardi, in Museo degli Sguardi. Raccolte Etnografiche di Rimini, a cura di M. Biordi, Rimini, Provincia di Rimini, 2005, p. 10.
(5) Per maggiori approfondimenti e per informazioni sul museo, si può consultare il sito: www.comune.rimini.it/servizi/ comune/cultura/museo_degli_sguardi/.
(6) Sulle collezioni di materiali provenienti da culture extraeuropee conservate in Emilia-Romagna, l'Istituto regionale per i beni culturali sta conducendo un'indagine conoscitiva con il progetto "Etno". Per maggiori dettagli: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/h3/h3.exe/aprogetti/t?titolo=etno.
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