Rivista "IBC" XIII, 2005, 3

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni, leggi e politiche, storie e personaggi

Nel marzo 2005 la raccolta archeologica precolombiana di Ugo Canepa è stata ufficialmente donata al Museo "Dinz Rialto" di Rimini. Si conclude così una lunga vicenda, fatta di pazienti tessiture e improvvisi colpi scena.
Collezione 'Canepa': andiamo a 'vedere'...

Antonella Salvi
[IBC]

L'odissea dell'"affaire Canepa" si è conclusa, en fin! E si è conclusa nel migliore dei modi, con grande soddisfazione di chi nel mondo accademico e istituzionale emiliano-romagnolo vi ha creduto: il 7 marzo 2005, a Biella, presso lo studio del notaio Giovanni Fulcheris è stata infatti perfezionata la donazione di una preziosa e rara collezione a favore del Comune di Rimini e a beneficio del patrimonio museale della nostra regione, che ne risulta considerevolmente incrementato.

Si tratta della raccolta archeologica precolombiana del collezionista biellese Ugo Cànepa: non è esagerato definirla fra le più importanti collezioni in Europa di questa tipologia di beni rimasta ancora in mano a un privato. Ora ne è divenuto titolare il Museo delle culture extraeuropee "Dinz Rialto" del Comune riminese, e peraltro con un incredibile tempismo: queste 514 opere rare sono state acquisite giusto in tempo per essere considerate nel progetto allestitivo attualmente allo studio per l'apertura del Museo nella nuova sede di Villa Alvarado, prevista il prossimo 3 dicembre. Sono pezzi strepitosi, manufatti di vari materiali prodotti da culture e civiltà scomparse e un tempo disseminate nel continente americano, prima dell'arrivo dei Conquistadores spagnoli nel XVI secolo.

La formalizzazione della donazione ha alle spalle una vicenda che merita di essere raccontata, e non per mero compiacimento di quanti vi hanno preso parte attiva, ma soprattutto per lasciare memoria di un excursus retrospettivo che il voluminoso fascicolo "Canepa" consente di tracciare, delineando gli imprevedibili meandri che hanno caratterizzato la storia e l'impegno e la costanza profusi da parte di chi l'ha seguita nel corso della sua decennale durata.

La destinazione della collezione Canepa costituisce un'operazione culturale che sin dal suo esordio ha assunto sempre più i caratteri di una "sfida", da condurre con paziente e assieme caparbia determinazione. E forse non è una forzatura se si paragona l'atmosfera di questa sfida al clima di crescente tensione e alla imprevedibilità che si creano in un tavolo da poker dove i giocatori alzano la posta e puntano al "buio". Sono sempre stata un'estimatrice del poker, lo ammetto, e credo sia anche per questa ragione che ho seguito con particolare interesse e coinvolgimento la questione sin dal 1999, anno che corrisponde al mio ingresso all'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e all'incarico "collezione Canepa", uno dei primi che mi ha affidato Nazzareno Pisauri, all'epoca direttore dell'IBC. "Non so cosa se ne potrà tirare fuori, la questione è molto ingarbugliata" disse Pisauri, con un tono che era tutt'altro che un invito a un'arrendevole trattativa.

Così conobbi il "Cavaliere solitario", come veniva chiamato il geometra Ugo Canepa; nato a Biella nel 1915 diviene presto un personaggio molto noto nella città: oltre a occuparsi assieme alla sorella Lea della propria impresa edile, non tarda ad appassionarsi di viaggi e di collezionismo: si avvicina alle culture del bacino del Mediterraneo, dell'Asia, dell'America e si lancia, pur senza specifiche conoscenze, nell'acquisto di un gran numero di opere d'arte archeologiche ed etnografiche che poi distingue in "collezione orientale" e "collezione precolombiana".

Il pregio archeologico ed etnografico che esperti e studiosi riconoscono alle opere d'arte raccolte induce il collezionista a maturare negli anni Ottanta l'idea di allestire un museo di arte precolombiana per farne dono alla propria città natale. Perseguendo quest'idea acquista Villa Rivelli, una magnifica struttura liberty completa di parco e di dépendance, per adibirla a sede del museo biellese, e coinvolge addirittura Gae Aulenti per lo studio allestititivo. Ma il "generoso" progetto non va in porto. Alcune difficoltà sollevate dallo Stato dell'Ecuador circa la liceità di acquisto delle opere archeologiche provenienti da quel Paese, inducono il Comune di Biella a rinunciare alla donazione.

Quando la vertenza ecuadoriana si risolve positivamente la collezione precolombiana non è più disponibile in quel di Biella: nel 1989 nasce infatti a Brescia, per volontà dello stesso Ugo Canepa, la Fondazione "Caterina Fileppo", così chiamata in onore della madre, in capo alla quale trasferisce la proprietà della collezione precolombiana per assicurarne in tal modo maggiore tutela. Il trasferimento a Brescia non è casuale: la presenza del Centro studi di archeologia precolombiana, presieduto dall'archeologo americanista Giuseppe Orefici, appare al Canepa la concreta possibilità di vedere finalmente realizzato il desiderio di costruire un "Museo della cultura e dell'arte dei continenti" con attività di valorizzazione collaterali a Brescia o a Cremona.

Passano alcuni anni, ma nulla si realizza. Così quando nel 1993, in occasione di un convegno internazionale di studi americanistici a Perugia, il Canepa conosce Maurizio Biordi, dirigente del Museo delle culture extraeuropee "Dinz Rialto" di Rimini, e Laura Laurencich Minelli, titolare della cattedra di Civiltà indigene d'America all'Università di Bologna e consulente scientifico del "Dinz Rialto", ha inizio un sodalizio fondato su un rapporto di amicizia, di stima e di collaborazione che poi non è mai venuto meno. E qui ha inizio "l'odissea" che ci riguarda.

A partire dal 1995 viene infatti depositata a Rimini l'intera collezione archeologica precolombiana e, nel prevederne un deposito quinquennale rinnovabile, il collezionista pone come sola condizione l'esposizione di una parte della raccolta nel Museo "Dinz Rialto" e una mostra temporanea. La città di Rimini onora gli accordi relativi all'impegno di valorizzazione dei preziosi manufatti. Le opere vengono esposte a rotazione a Castel Sismondo, dove allora era ospitato il Museo, e immediatamente l'anno successivo al deposito viene inaugurata la mostra "Sulle orme del passato americano. La Collezione archeologica precolombiana Ugo Canepa".

Di lì a breve, poi, viene coinvolto l'IBC, che promuove e finanzia l'intera campagna di schedatura scientifica con relativo rilevamento fotografico dei reperti. Di fronte a tanto impegno e metodo Canepa, anche in qualità di presidente della Fondazione "Caterina Fileppo", matura l'idea di trasformare il regime di deposito della collezione precolombiana al "Dinz Rialto" in donazione a titolo gratuito. Siamo agli inizi del 1999, il cavaliere Canepa propone all'amministrazione riminese l'acquisto dell'altra sua raccolta, la collezione orientale, oltre un migliaio di pezzi, custodita nella propria abitazione biellese. Il Comune di Rimini prende in considerazione l'offerta e rivolge all'IBC la richiesta di un contributo finanziario per poter sostenere l'onere dell'acquisto. Tramite apposita convenzione, viene concesso un consistente concorso finanziario che consentirebbe l'incremento del patrimonio museale regionale, finalità che, attraverso l'IBC, la Regione Emilia-Romagna persegue applicando la legge 18/2000.

In quel periodo si lavora su due fronti in stretta collaborazione con Maurizio Biordi e Marcello Di Bella, dirigente dei servizi culturali di Rimini: da una parte vengono eseguite tutte le operazioni inventariali e di stima della collezione orientale, oggetto di compravendita; dall'altra, proseguono le delicate mediazioni per giungere a definire i termini della donazione della collezione precolombiana.

Se inizialmente le notevoli difficoltà di reperire i componenti del comitato della Fondazione e qualche ritrosia locale non sembrano costituire seri motivi di preoccupazione, ben presto ci si accorge che a dispetto della convinta volontà di procedere con la donazione manifestata dallo stesso collezionista nel suo ruolo di presidente della Fondazione, gli altri membri in maggioranza rivendicano fermamente almeno la permanenza di un piccolo nucleo della collezione precolombiana. Si profila una puntata alta, si direbbe al tavolo di poker: occorre decidere se stare o lasciare...

Era meglio "stare": non vi erano margini per una soluzione diversa. Insistere nell'opporsi a questa richiesta poteva comportare un rischio maggiore: perdere definitivamente l'opportunità di ottenere in donazione la preziosa collezione precolombiana. Si riesce invece a organizzare un incontro collegiale, avvenuto il 22 dicembre 2000, a Biella, alla presenza del sindaco del Comune e dei componenti della Fondazione "Fileppo", dei rappresentanti del Comune di Rimini, di Pisauri e della sottoscritta per l'IBC, e dei rappresentanti della Regione Piemonte. Al termine dell'incontro viene steso un atto deliberativo che sancisce di donare la collezione precolombiana al Comune di Rimini a eccezione di un piccolo nucleo circa 200 pezzi da lasciare in donazione al Comune di Biella.

A questo punto bisognava operare d'intesa la selezione del piccolo nucleo, seppur rappresentativo, senza ledere l'integrità e l'organicità culturale della collezione precolombiana. Laura Laurencich Minelli è incaricata per parte riminese e Massimo Cavatrunci, del Museo Pigorini di Roma, per parte biellese. In quel mentre, primi mesi del 2001, giunge "qual fulmine a ciel sereno" la notizia dell'interdizione di Ugo Canepa. La tutela dei suoi beni viene affidata alla sorella Lea. Il gioco è al rialzo con un giro di buio. Iniziano ora le vere difficoltà. La signora Lea Canepa si dichiara concorde nel proseguire la transazione di compravendita della collezione orientale, ma si oppone alla soluzione che prevede, per la raccolta precolombiana destinata al Museo di Rimini, che un nucleo sia destinato a Biella.

Prende avvio un periodo di mediazioni e contatti piuttosto impegnativo per superare vari ostacoli nuovi e imprevedibili. La signora Lea si convince che conviene abbandonare posizioni di principio che rischierebbero di compromettere l'intera operazione. È solo nel giugno del 2002, a Rimini, alla presenza delle parti interessate (Comune di Rimini e Comune di Biella, IBC, Fondazione "Caterina Fileppo" e gruppo degli esperti nominati) che si giunge finalmente alla sottoscrizione del documento di accordo circa la destinazione delle opere precolombiane, corredato degli elenchi che riportano l'identificazione e la stima di ogni singola opera: le 200 selezionate per la città di Biella, tutte quelle che compongono la collezione principale destinata a Rimini.

Un sospiro di sollievo accompagnava il ritorno a Bologna di Laurencich Minelli, del direttore dell'IBC Alessandro Zucchini e della sottoscritta. Vi erano tutte le premesse per giungere al perfezionamento di una incredibile doppia transazione: ottenere in donazione la collezione precolombiana e acquisire in compravendita la collezione orientale. Prontamente si interpella un notaio di Biella, Giovanni Fulcheris, che su incarico del Comune di Rimini avvia la stesura degli atti transattivi. Ma ecco che, proprio come accade a un tavolo di poker, arriva inattesa una mano di buio! Si palesa sulla scena una matura signora che, dichiarandosi sentimentalmente legata a Ugo Canepa, si fa assistere legalmente per dimostrare l'infondatezza dell'interdizione del predetto. Il Tribunale di Biella decide, dunque, la sospensione di qualsiasi azione di alienazione dei beni di proprietà dei fratelli Canepa fino all'avvenuta decisione circa la revoca o meno dell'interdizione. Va da sé che tale disposizione congela la vendita della collezione orientale.

L'interdizione di Ugo Canepa verrà poi revocata due anni dopo, e siamo nel marzo del 2003. Questi due anni non hanno giovato al lavoro di squadra, ma l'evento della riabilitazione rimette tutto in gioco. Di lì a breve la signora di cui sopra si sposa con il riabilitato ottantottenne Ugo Canepa e assume un ruolo di primo piano nei rapporti e nelle decisioni del marito, con l'apporto e il sostegno delle sue due figlie, assai interessate ai risvolti economici della collezione orientale.

L'IBC e il Comune di Rimini, alla luce della nuova situazione, ritirano i finanziamenti destinati all'acquisizione della collezione orientale con la doverosa segnalazione ai competenti uffici di Soprintendenza. Non sembrano invece sussistere motivi che giustifichino l'arresto del decorso di donazione da parte della Fondazione per la collezione precolombiana: tutto è in ordine. Il notaio Fulcheris ha comunicato da tempo che gli atti per la donazione, con allegati gli elenchi, sono in attesa di essere perfezionati.

L'attenzione dei pochi giocatori ottimisti si orienta esclusivamente su questa "partita" e l'aspettativa è alta. Eppure la questione è arrestata, anzi arenata. Tra le difficoltà in essere all'interno della Fondazione anche la mancanza del documento che attesta il trasferimento della registrazione della Fondazione dalla sede di Brescia a quella di Biella. I fronti da controllare, a questo punto, erano diventati davvero troppi. Ma la direzione dell'Istituto decide di non abbandonare il tavolo: avendo puntato così tanto in questi anni sulla chance di incremento del patrimonio museale regionale, con consistenti risorse ed energie, diventava doveroso andare a "vedere" fino in fondo. Un obbligo culturale. E così è stato.

L'azione dell'avvocato Ivan Bagli di Rimini incaricato dall'Istituto si rivela tutt'altro che accessoria: dall'esame del corposo dossier redige un "parere" che evidenzia i possibili scenari e impedimenti giuridici della vicenda. Ma a suggellare la débacle giunge nel frattempo anche la notizia della scomparsa di Ugo Canepa. Nel luglio 2004, in una mesta riunione nell'ufficio di direzione dell'IBC, l'avvocato ci spiega che non si tratta di "sollecitare" la Fondazione a dare seguito alle intese convenute e riportate nei propri atti deliberativi riguardo alla donazione. I vizi formali e sostanziali che l'attività istruttoria ha messo in luce possono essere sanati solo dall'azione di un comitato di Fondazione rieletto e riunito in maggioranza - possibilità, inutile dirlo, remotissima - o in alternativa da un commissario che le autorità nominino appositamente per decidere in ordine alla posizione della Fondazione e alla disposizione dei suoi beni...

A un tratto la geniale intuizione dell'avvocato delinea un spiraglio di strategia stragiudiziale forse capace di dare una svolta ai fatti nella direzione voluta. Al tavolo della direzione, in quel caldo pomeriggio del luglio 2004, ci si osserva senza segni di espressione. La parola al direttore. Pausa. "Vi do tempo fino alla fine dell'anno!". Riprende la sfida. Con forte determinazione riparte dall'Istituto il coordinamento dell'azione fra i responsabili dei Comuni donatari, gli esperti, i componenti della Fondazione di nuova nomina, la signora Lea Canepa; il tutto sempre in sintonia con l'attività notarile e con l'azione strategica delineata dallo studio legale.

Ci avviciniamo così ai passaggi finali, ai "giri fissi" come si chiamano al tavolo di poker. Verso la fine dell'anno giunge in Istituto la notizia dell'avvenuta regolarizzazione della posizione giuridica della Fondazione, essenziale per qualsiasi successivo passaggio formale e in ultimo per la donazione. L'odissea sembra volgere alla conclusione, e felicemente. Ma, e c'era da aspettarselo, altre istituzioni pubbliche regionali non tardano a manifestare un certo appetito di fronte alla prospettiva di "conquistare" una collezione archeologica precolombiana, potenzialmente ancora disponibile in quel momento. Il tempismo diventava quindi più che mai vitale.

Per rispetto di chi legge ometto infine una serie di altri incredibili, improvvisi risvolti e sussulti verificatisi. Sta di fatto che all'alba del 7 marzo 2005 i cinque della ricomposta "squadra strategica" partono assieme alla volta di Biella. Attorno al tavolo del notaio siedono per la firma: il direttore dell'IBC, il dirigente alla cultura del Comune di Rimini e i delegati della Fondazione "Fileppo". Ad assistere l'avvocato Bagli, Biordi e la sottoscritta. Scala reale! Non sembra ancora vero, ma qualche ora dopo, attorno a un altro tavolo, questa volta da pranzo, si può finalmente brindare perché l'estenuante, annosa avventura, l'odissea appunto, pare sia conclusa, e bene.

Così quando il prossimo 3 dicembre riaprirà a Rimini l'unico museo dell'Emilia-Romagna a essere interamente dedicato alle culture extraeuropee, sarà non solo totalmente rinnovato nei luoghi e nel nome - la sede è quella prestigiosa di Villa Alvarado, la denominazione è quella accattivante di "Museo degli sguardi" - ma sarà anche arricchito di un raro patrimonio di opere precolombiane di cui è ora divenuto titolare. Il come, oramai, non conta più.

 

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