Rivista "IBC" IX, 2001, 4
musei e beni culturali / mostre e rassegne
Le grandi culture precolombiane, eccetto quelle nordamericane, sono spesso protagoniste di grandi mostre-evento in cui la presentazione dei reperti, la cosiddetta "scenografia", ha la funzione prevalente di strabiliare il visitatore, sottolineando la eccezionalità "estetico/artistica" degli oggetti prodotti da quelle lontane civiltà: citiamo, ad immediato lampo di memoria, la mostra sui Maya al Palazzo Grassi di Venezia nel 1999, e quella sui reperti prelevati nei più recenti scavi condotti presso il sito moche di Sipán, "Oro dell'antico Perù. Le tombe reali di Sipán", allestita a Bonn presso la Kunst-und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland durante la primavera dell'anno in corso.
Oltre la fascinazione, raramente al pubblico vengono presentate anche le differenze storiche e culturali di quei contesti, pure estremamente importanti ed utili per la loro comprensione, a favore di una rappresentazione monolitica e stereotipata - solo Inca, Maya, Aztechi, che non conoscevano la ruota, non conoscevano la scrittura alfabetica, facevano sacrifici umani, e via di questo passo - di quelli che in realtà sono caratteri hic et nunc di processi storici ed evolutivi, per usare un termine obsoleto ed equivoco, complessi che si sono verificati, e si verificano, secondo modalità differenti nelle varie aree del nostro pianeta. Presentare la complessità e la diversità culturale, e farlo correttamente, anche in riferimento a contesti storici remoti è, crediamo, una dimostrazione di rigore intellettuale, e ovviamente etico.
Per queste ragioni è ancor più apprezzabile l'esposizione "Inca. L'impero del Sole e i regni preincaici", allestita a Rimini presso il Museo della Città dal 30 giugno 2001 al 7 gennaio 2002, promossa dal Museo delle culture extraeuropee "Dinz Rialto" (Musei comunali di Rimini), in collaborazione con il Dipartimento di Paleografia e medievistica dell'Università di Bologna, e con il patrocinio ed il contributo dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Sono posti in mostra, oltre agli oggetti appartenenti alle raccolte della ben nota sezione precolombiana del museo riminese, anche quelli della collezione privata di Ugo Canepa, attualmente depositata presso il museo stesso, ed in via di acquisizione pubblica. Anche in questo caso, come avviene sempre più di frequente in Italia, il collezionismo privato, acquisito da o affidato ad istituzioni pubbliche, ha contribuito ad arricchire un patrimonio fruibile da tutti, risvegliando l'interesse per, e rivitalizzando, una museografia delle culture extraeuropee rimasta troppo spesso confinata negli istituti universitari di antropologia, oppure negli spazi meno valorizzati, e dunque meno frequentati, dei musei civici.
Il complesso ed ormai lungo lavoro di riallestimento delle varie sezioni extraeuropee del Museo nazionale preistorico etnografico "Luigi Pigorini" a Roma, ma soprattutto la prossima istituzione di un Centro delle culture extraeuropee a Milano, nell'area dell'ex Ansaldo - in cui saranno esposti gli oltre tremila oggetti, tipologicamente disparati, che costituiscono le civiche raccolte extraeuropee di quella città, acquisite attraverso donazioni e più recentemente per acquisto, la maggior parte delle quali in deposito presso i magazzini del Castello Sforzesco e non visibile -, sono i segni del vivace dibattito epistemologico in corso su questo ambito museale. Questo dibattito, avviato da tempo nel resto d'Europa - sebbene dicotomizzato tra scelte espositive che privilegiano o le valenze estetiche degli oggetti, offrendo ai visitatori le (presunte) migliori realizzazione artistiche di popoli e culture (il controverso progetto del futuro Musée des Arts Premieres a Parigi), oppure quelle puramente etnografiche (l'apertura delle Sainsbury African Galleries del Britsh Museum a Londra) - testimonia che un ripensamento museografico, significativo di uno più ampiamente disciplinare, è in atto anche dalle nostre parti.
Nella mostra riminese gli oggetti, raggruppati per aree tematiche, permettono di documentare, e di comprendere, il rapporto tra due tradizioni culturali poco consuete al grande pubblico e precedenti all'affermarsi dell'impero Inca, da quest'ultimo inglobate ed assimilate, vale a dire la cultura Chancay (1000 circa -1450), ed il più articolato regno Chimù (1100 circa -1450), illustrando, inoltre, l'aspetto simbolico, oltre l'immediato valore d'uso, che possedevano nel loro contesto originario. I materiali utilizzati, ceramica, tessuto, metallo ci guidano attraverso le varie attività sociali o rituali per cui tali oggetti venivano prodotti ed utilizzati, sottolineando gli stilemi dell'una o dell'altra cultura alla fine fatti propri da quella trionfante: la Inca.
Alla cultura Chancay ci avvicina la caratteristica ceramica a stampo con la superficie opaca e, quasi senza eccezioni, con le decorazioni nero su bianco, il cui prodotto più noto e peculiare è il "cuchimilco", una figura antropomorfa, per lo più femminile, nella inequivocabile postura dell'orante con le mani levate, e con la parte superiore del corpo decorata con disegni geometrici, prodotta per il corredo funebre; oppure la "china", un contenitore dalle forme di un personaggio, probabilmente maschile, in posizione assisa, con decorazioni geometriche o riproduzioni di particolari degli ornamenti del vestiario, recante un piccolo recipiente cerimoniale appoggiato sul davanti. La bicromia e l'apparente semplicità dei motivi decorativi della ceramica Chancay contrasta con la viva policromia ed il virtuosismo tecnico che riscontriamo nella realizzazione dei suoi tessuti, come le delicate garze, o i tessuti in lana o cotone dipinti con la consueta iconografia zoomorfa o geometrica, il cui simbolismo aveva anche la funzione di individuare e segnalare il rango o la funzione sociale di chi li indossava.
Lungo il percorso della mostra scopriamo che anche i Chimù furono abilissimi artigiani: nella tessitura, in cui utilizzavano con effetti straordinari piume variopinte, ma soprattutto nella lavorazione dei metalli, dell'oro in particolare, ma anche l'argento, il rame ed il bronzo. Questa produzione è documentata dalla presenza di una grande varietà di oggetti, di uso quotidiano come pure rituale: coltelli, punte di lancia, pinzette depilatorie, coltelli sacrificali con la caratteristica lama semilunata, i tumi, nonché pettorali, spilloni, orecchini, tazze, coppe.
E non si può tralasciare di segnalare la piccola sezione dedicata al quipu, il complesso sistema di comunicazione incaico basato su un insieme di cordicelle multicolori (il colore assumeva un preciso significato), collegate ad una corda maestra, sulle quali si facevano dei nodi che a seconda della posizione significavano un numero da uno a nove in un sistema decimale.
Tutti questi oggetti - insieme agli altri inca, nazca, e via dicendo pure esposti a completare la mostra - sono presentati senza "invenzioni" scenografiche particolari, in una semplicità che restituisce non tanto, o meglio non solo, la loro valenza estetica, quanto piuttosto il significato culturale complessivo del loro contesto originario. Essi sono corredati da un agile apparato didascalico estremamente efficace nella sua chiarezza e semplicità: brevi pannelli costituiti da testo ed immagini introducono ed illustrano gli argomenti delle sezioni fornendo al visitatore le coordinate per orientarsi nella sequenza cronologica e tra i vari aspetti del mondo incaico: la religione, la musica, la ritualità funeraria, l'attività militare. E a percorso completato, essendo le collezioni del Museo delle culture extraeuropee Dinz Rialto attualmente chiuse alla visita, l'auspicio che il visitatore si sente di formulare è che altre iniziative simili continuino a far conoscere al pubblico le straordinarie raccolte che questa istituzione conserva, non solo limitatamente all'America precolombiana. In attesa di vederle tutte riallestite, forse insieme a quella di Ugo Canepa, presso la nuova sede del Museo: Villa Alvarado di Covignano di Rimini.
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