Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni, restauri

Riccione ha la sua nuova Galleria comunale di arte moderna e contemporanea. Si chiama Villa Franceschi, è a due passi dal mare, e promette di rimanere fedele al suo territorio...
Contemporanei in Riviera

Miriam Fusconi
[laureanda in Storia dell'arte contemporanea all'Università di Bologna]
Orlando Piraccini
[IBC]

Incastonata tra gli alberghi e il mare, ha riaperto le sue porte Villa Franceschi, Galleria comunale di arte moderna e contemporanea di Riccione, inaugurata il 22 dicembre 2006. L'edificio ospita due importanti raccolte artistiche: quella comunale, in cui confluiscono la donazione "Casadei" e altre opere derivanti dai premi di pittura del secondo dopoguerra, la prestigiosa Collezione "Arcangeli", e le opere del parco urbano di sculture all'aperto. Si tratta della prima istituzione provinciale rivolta all'arte contemporanea, frutto dell'impegno dell'Assessorato alla cultura e alla pace del Comune di Riccione, in collaborazione con la Provincia di Rimini e l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC).

Le attività della nuova galleria vanno ad aggiungersi, integrandosi, alle iniziative site in altri edifici storici come Villa Lodi Fè, Villa Mussolini e il Castello degli Agolanti, rilanciando con sempre più vigore il connubio tra vocazione turistica e arricchimento culturale. I lavori di progettazione e realizzazione si sono dunque svolti con l'intenzione di rispondere ai bisogni reali della comunità, la cui identità non è rappresentata solo dalla dimensione del divertimento consumistico, ma anche da una realtà culturale e artistica fortemente legata al territorio. A tal proposito, alquanto significativa risulta essere la scelta del sito: un suggestivo villino balneare in stile liberty, che dai primi del Novecento testimonia, architettonicamente e storicamente, il fiorire della cittadina.

A metà Ottocento, infatti, Riccione era ancora un piccolo insediamento che viveva principalmente di pesca e di agricoltura. Fino al 1861, quando la costruzione della ferrovia diede vigore al territorio favorendo il turismo balneare e la nascita di numerose case di vacanza, costruite dalle famiglie dell'alta società. Riccione divenne in breve tempo un'ammirata "città giardino", animata da eventi culturali e sportivi, che si consumavano tra ville, teatri ed eleganti alberghi. Fu proprio in quel periodo, nel 1919, che la famiglia bolognese Franceschi acquistò quella che allora veniva chiamata villa "marina", andandoci però ad abitare solo nel 1926. L'edificio entrò a far parte dei beni del Comune di Riccione per volontà testamentaria di Clementina Zugno che, dopo la morte del marito Federico Franceschi nel 1927, vi aveva vissuto fino al 1953.

La vedova dispose che l'abitazione fosse destinata alla cura e all'educazione delle bambine orfane di guerra, cosa che non fu possibile realizzare per insufficienza di fondi al momento del lascito. Il Comune di Riccione, volendo comunque rispettare lo spirito di tale desiderio, destinò per lungo tempo la villa a servizi pubblici quali la biblioteca comunale e l'ufficio di collocamento, fino alla chiusura per dichiarata inagibilità. Ora, dopo i lavori di restauro, l'edificio rinasce come bene storico-artistico fortemente legato al territorio, attento alle sue esigenze e, in fondo, in sintonia con quanto la donatrice aveva espresso: una destinazione di pubblica utilità.

Infatti, accanto alla importante funzione di "contenitore" di opere d'arte, Villa Franceschi vuole essere soprattutto un polo vivo di attività culturali diversificate: esposizioni temporanee, laboratori didattici, attività di sperimentazione e ricerca, offriranno al pubblico della Riviera, e non solo, sempre nuove occasioni per rapportarsi all'arte del Novecento e del nuovo millennio. Vi troveranno spazio, quindi, i vari linguaggi della nostra epoca: pittura, scultura, fotografia, videoarte, webart, per i quali si potranno studiare sempre nuovi modi di fruizione. Ogni evento vuole essere proposto con la giusta attenzione agli aspetti promozionali, cercando di fare breccia nella probabile disattenzione di un pubblico in vacanza, ma allo stesso tempo senza cedere al rischio della spettacolarizzazione, sempre in agguato in una città sotto i riflettori come Riccione. Finora i riscontri sono stati positivi, anche grazie all'attività informativa e di sensibilizzazione attuata dall'efficiente sito web "Radio villafranceschi", una sorta di rivista on line continuamente aggiornata sulla vita culturale riccionese, uno spazio dinamico di proposte e confronti (www.villafranceschi.it).

I lavori che hanno reso concreta questa ambiziosa proposta comprendono anche la lunga e accurata opera di restauro della villa stessa. Il progetto, iniziato negli anni Novanta, ha mantenuto l'impianto originario, pur nella necessità di "forzarlo" per adeguarlo alla nuova funzione. Con questo obiettivo è stato realizzato un piano interrato che ospitasse i servizi e dei "percorsi visivi" adatti a un museo; naturalmente, il tutto è stato poi adeguato alle vigenti norme di sicurezza per i locali di pubblico spettacolo. Per quanto riguarda gli interni, volendo mantenere le tecnologie costruttive originarie, si sono resi necessari lo smontaggio dei pavimenti, la loro classificazione e integrazione con materiali odierni, e la sostituzione di colonne in pietra artificiale con altre realizzate con stampi tratti da calchi di quelle originarie. Il lavoro è stato portato avanti assicurando la piena riconoscibilità degli elementi nuovi e preesistenti.

Ma come si presenta l'edificio agli occhi dei suoi visitatori? Villa Franceschi appartiene al patrimonio balneare nato nei primi decenni del XX secolo, e da un punto di vista stilistico risponde a quel modello di eclettismo che all'epoca trionfava in tutta Europa. La prima fase di costruzione risale al periodo tra il 1900 e il 1912, mentre la seconda, di ristrutturazione e ampliamento (furono aggiunte la parte posteriore con la torretta, il garage e l'abitazione del custode), avvenne verso gli anni Venti. Stefano Guidi, tra i responsabili del progetto di restauro architettonico, spiega nel catalogo come le due diverse epoche siano rilevabili sia dalle fondazioni, giuntate a due quote diverse, che dalla muratura esterna, differente nei due corpi dell'edificio.1 Nel giardino, il piccolo capanno cela una dotazione indispensabile per i riccionesi dell'epoca: il pozzo, àncora di salvezza nella carenza di acqua, fino all'inaugurazione del nuovo acquedotto nel 1929.

Entrando nell'edificio si assiste alla familiare vista della scala sull'asse centrale e delle stanze ai lati, mentre più originale risulta l'ambiente finestrato al pian terreno con terrazzo soprastante, e la torretta sul retro, dalle cui vetrate si può ammirare il mare. Tra occhio e mare, ecco i pini marittimi, naturali ostacoli ben graditi alla vista. Le pregiate decorazioni esterne - ispirate agli eclettici motivi decorativi nordeuropei di fine secolo, e liberamente contaminate da stilemi neogotici, neoclassici e art nouveau - sono il frutto di un'abilità fuori dal comune se si pensa che furono realizzate in un materiale povero come il cemento. La fascia festonata a ritmare la facciata, le colonnine ad anfora con motivi floreali dei parapetti, la complessa decorazione della panca che accoglie leoni alati, volti di putti e grappoli d'uva intrecciati, rispondono allo stesso tempo alla cura del particolare e a un'armoniosa soluzione d'insieme, probabilmente opera del cementista riccionese Guerrino Giorgetti.

Per quanto riguarda l'interno, elemento di decorazione per eccellenza è sicuramente il pavimento in piastrelle di graniglia, che presenta una raffinata varietà di motivi passando da un ambiente all'altro: esagoni bicolori, greche geometriche o stilizzate con angoli a fiori, losanghe e quadroni di varie tinte. I soffitti sono invece animati da semplici cornici in stucco in due stanze del primo piano, e da un dipinto in trompe-l'oil a cassettoni nella stanza grande a piano terra. L'intero volume viene poi attraversato dall'elegante e sinuosa scala con parapetto dai montanti in ghisa e corrimano in legno. L'impronta di un'intera epoca è resa viva anche da alcuni elementi di arredo, come mobili e stampe, che richiamano il gusto fin de siécle, allora diffuso su tutta la costa romagnola. La consapevolezza dell'importanza storico-artistica dell'impresa è stata accompagnata anche dal perseguimento di soluzioni pratiche efficienti, come testimonia la scelta di dotare l'ultimo piano di un attrezzato luogo di deposito dove riporre le opere, senza però nasconderle alla vista degli interessati.

Villa Franceschi si presenta dunque come testimone di una porzione di storia che la sfrenata crescita turistica sembrava avere cancellato, ma anche come occasione per guardare avanti offrendo dei percorsi di confronto culturale nel variegato panorama dell'arte contemporanea. La prima impressione può essere quella di un luogo non adatto all'esposizione di opere d'arte contemporanee, a causa degli spazi ridotti e dello stile pronunciato a cui appartiene, così lontano dalle attuali tendenze al minimalismo più spoglio. A questa pur legittima impressione subentra però una convinzione: le caratteristiche di contaminazione e fluidità dell'attuale panorama artistico appaiono pienamente simboleggiate dall'edificio stesso, in cui forma e contenuto (architettura e opere d'arte) si incontrano-scontrano risaltandosi a vicenda. Una luminosa villa d'arte apre i cancelli alla vita della Riviera, a testimonianza di un'identità storica che prosegue tuttora, forte di uno spirito di accoglienza e di impegno per la propria terra apprezzato da visitatori vicini e lontani.

[Miriam Fusconi]

 

Riccione & Regione. Nel nome di Francesco Arcangeli

Il patrimonio artistico novecentesco conservato a Villa Franceschi è composto da due "fondi" assai diversi fra loro, ma che pure presentano alcuni elementi di contatto nell'ordinamento espositivo del nuovo museo: nel primo sono aggregate le varie "acquisizioni" del Comune di Riccione a partire dall'immediato dopoguerra, mentre il secondo è formato da un nucleo unitario di opere provenienti dalla raccolta d'arte della Regione Emilia-Romagna.

Da una parte un insieme non uniforme di opere, ma con singole componenti di buon livello e d'interesse non esclusivamente locale, dall'altra un corpus organico di dipinti riferiti ad artisti che, gravitando nella sfera del "pensiero" critico di Francesco Arcangeli, sono stati tra i protagonisti della vicenda figurativa italiana del secondo Novecento: e non è irrilevante constatare che proprio nel nome del celebre studioso le due componenti del museo trovano un qualche punto in comune, basti pensare alle frequentazioni "adriatiche" di Arcangeli già negli anni Cinquanta e all'apporto offerto all'attivazione di significativi contatti con l'ambiente artistico bolognese nel momento della difficile "ricostruzione" turistico-culturale della città balneare.

Si torna dunque, all'interno di Villa Franceschi, alla Riccione rinascente città d'arte. Tanti, infatti, sono gli artisti che rimandano a quella lontana stagione, ripartendo dall'estate 1947 che fu così magnificamente impreziosita da una mostra dal pretenzioso titolo di "Pittura italiana d'oggi" promossa dalla locale Azienda di soggiorno e curata dal pittore imolese Mario Guido Dal Monte con la collaborazione del critico milanese Stefano Cairola. In esposizione, all'interno del centralissimo Palazzo del Turismo, figurarono opere di venti noti artisti - fra i quali Bruno Cassinari, Ennio Morlotti, Renato Birolli, Emilio Vedova, Giulio Turcato, Antonio Corpora, Gianni Dova, Renato Guttuso, Luciano Minguzzi - per un'iniziativa dal carattere assai poco vacanziero e mondano stando all'impegnativo proclama degli organizzatori: "Astrattismo, surrealismo, postpicassismo sono certamente le correnti pittoriche più discusse di oggi, e riunire in una mostra i pittori che oggi in Italia sono all'avanguardia darà certo motivo di interesse e susciterà l'attenzione del pubblico e della critica ufficiale che sarà convocata a Riccione".

Fu tuttavia nella successiva estate che si videro i primi effetti della nuova linea sul percorso artistico felsineo-adriatico. Ed ecco infatti offerta al pubblico balneare una "retrospettiva" sui pittori bolognesi Flavio e Luigi Bertelli curata da Luigi Cervellati, ma specialmente la "I Mostra del paesaggio emiliano-romagnolo" dotata di premi e con una vendita all'asta delle opere partecipanti. Al concorso, che ebbe tra i componenti della giuria i pittori Angelo Protti, Giovanni Romagnoli, Guglielmo Pizzirani e Bruno Saetti, partecipò un alto numero di artisti. Da Bologna arrivarono a Riccione, tra gli altri, Dino Boschi, Paolo Manaresi, Rezio Buscaroli, Pompilio Mandelli, Gino Marzocchi, Ilario Rossi, Giuseppe Gagliardi, accanto a qualificati esponenti della pittura romagnola come Giovanni Sesto Menghi, Demos Bonini, Luigi Pasquini, Giannetto Malmerendi, Roberto Sella.

Anche nel 1949 fu la Bologna artistica a fornire un valido sostegno a Riccione nell'organizzazione di una grande rassegna pittorica "a premi" intitolata "Marine d'Italia": basti solo pensare che la commissione giudicatrice fu composta da Virgilio Guidi, Corrado Corazza, Alessandro Cervellati, Farpi Vignoli e che a Carlo Corsi venne assegnato uno dei maggiori riconoscimenti in palio. Qualche anno dopo fu chiesto a Francesco Arcangeli di curare l'organizzazione di una qualificata rassegna d'arte emiliana e romagnola. Nell'estate del 1955 fu così promossa la "I Mostra regionale d'arte moderna" con una commissione di esperti e di artisti composta da Francesco Bellonzi, Raffaele De Grada, Virgilio Guidi, Bruno Saetti, Giovanni Ciangottini, Francesco Nonni. I principali premi in palio toccarono in quell'occasione al reggiano Gino Gandini, ai bolognesi Natali, Rosalba, Tartarini e Gagliardi, ai romagnoli Spada e Crispini.

Al dopoguerra riccionese e ai due decenni successivi, così animati da importanti eventi espositivi, rimandano alcune significative "presenze" di artisti romagnoli a Villa Franceschi. Senza trascurare il fatto che alla formazione della civica raccolta d'arte avevano validamente concorso i dipinti (una notevole Gita in Barca di Raffaele Faccioli e tre "ritratti" dell'imolese Amleto Montevecchi) e gli arredi del villino balneare in stile liberty donati nel 1956 alla comunità riccionese dalla famiglia Franceschi Zugno, vanno senz'altro ricordati i più recenti incrementi promossi dall'Amministrazione comunale con alcuni appropriati acquisti (tra le altre, opere prevalentemente grafiche dei santarcangiolesi Federico Moroni e Giulio Turci, del cesenate Alberto Sughi, degli urbinati Arduini e Bruscaglia, ma anche "cartelle" litografiche di Vedova, Veronesi, Pomodoro, Sebastian Matta) e, specialmente in questi ultimi anni, con un'intensa e sistematica programmazione espositiva (alle pareti di Villa Franceschi è così possibile ammirare opere di Baj, Schifano, Piraccini, Pozzati, Ceccobelli, Bertini, e di altri esponenti dell'attualità artistica).

A questa storia artistica della Riccione novecentesca (nella cornice della vicenda figurativa italiana della seconda metà del secolo scorso) è solidamente ancorato il nucleo delle opere di proprietà della Regione Emilia-Romagna che qui a Villa Franceschi ha trovato una conveniente sede espositiva. Si tratta di un complesso di 59 dipinti, disegni e sculture, tra i più rappresentativi della raccolta regionale d'arte moderna recentemente "riscoperta" e valorizzata grazie al lavoro condotto dall'IBC. Oltre ad alcune opere di più recente accesso (come nel caso dei due bozzetti per gli arazzi commissionati nel 1985 al maestro Alberto Burri), della componente aggregata alla galleria civica riccionese fa parte quasi per intero la cosiddetta Collezione "Arcangeli", la cui acquisizione, nel 1973, aveva rappresentato il primo significativo atto costitutivo della "quadreria" dell'ente.

La collezione si era costituita nell'ambito di una mostra a sostegno della fondazione intitolata al poeta e scrittore Gaetano Arcangeli. Oltre sessanta artisti, in larga parte riconoscibili nella sfera critica del fratello Francesco Arcangeli, avevano dato luogo all'esposizione "per ricordare Gaetano Arcangeli", fortemente voluta e promossa dai pittori Giovanni Ciangottini, Ilario Rossi, Aldo Borgonzoni e dallo scultore Minguzzi. Ai "cari amici e colleghi" essi scrissero tra l'altro che "la scelta dei nomi cui perviene l'invito a dare un'opera per questa iniziativa non nasce dalla volontà di escludere nessuno; ma ci è parso opportuno limitarla agli artisti che ebbero rapporto diretto con Gaetano Arcangeli, e che perciò lo stimano e lo ricordano (e questo spiega la relativa abbondanza degli inviti bolognesi); o quelli la cui opera, a nostro avviso, non ebbe caratteri difformi, almeno moralmente, della sua lunga lotta per la poesia e per la vita".

La mostra, inaugurata il 10 giugno 1971 nella sala del Trecento del Palazzo del Podestà di Bologna, ottenne un interessamento immediato da parte della Regione Emilia-Romagna, se è vero che non fu dato luogo alla vendita di singole opere in esposizione. Certo è che in data 2 maggio 1972 la giunta regionale approvò due atti deliberativi "per la costituzione di una speciale commissione incaricata di presentare una proposta organica per un piano di acquisto e di collocamento di opere d'arte figurativa da destinare all'ornamento e all'abbellimento con appropriato stile e con valide soluzioni artistiche dei locali della nuova sede della Regione" e per l'assegnazione alla suddetta commissione dello "specifico compito di accertare la convenienza dell'acquisto delle opere d'arte che un gruppo di artisti bolognesi, unici comproprietari a parti uguali delle stesse, intende cedere alla Regione per la formazione, col ricavato della vendita, del patrimonio dell'istituenda Fondazione Gaetano Arcangeli". Nell'aprile 1973, mediante un apposito atto di compravendita, la "Raccolta Arcangeli" venne finalmente acquisita dalla Regione.

[Orlando Piraccini]

 

Nota

(1) S. Guidi, Villa Franceschi: l'edificio e il recupero, in Villafranceschi. Le collezioni permanenti della Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Riccione, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale, 2005, pp. 35-40.

 

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