Rivista "IBC" XIV, 2006, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
Era il 1952 quando Michel Tapié, con la pubblicazione del saggio Un Art Autre, sancisce e consegna alla storia il variegato movimento dell'Informale. Talmente variegato che più che di un movimento si preferisce parlare di una sensibilità diffusa, di uno stato d'animo generalizzato che pose allora sulla stessa lunghezza d'onda personalità artistiche distinte e distanti anche geograficamente ma che seguendo traiettorie autonome giunsero a esiti spesso affini. Nell'oscillazione delle loro ricerche, esistenziali prima che artistiche, trovano posto una varietà di poetiche talvolta anche in conflitto ma che hanno alla base la medesima matrice. Ogni stile, del resto, è frutto del suo tempo e dobbiamo credere a Baudelaire quando dice che bisogna essere artisti del proprio tempo. E quello di questi artisti fu il tempo delle illusioni mancate, il secondo dopoguerra, quello che si vide calpestare tutte le sue magnifiche sorti e progressive dai pesanti stivali del totalitarismo, prima, e poi dall'incombere della guerra fredda.
In una società minata alle fondamenta, che aveva appena eletto il progresso a proprio dio e già quel dio le si stava rivoltando contro, l'artista, forse più di altri disperso e confuso nei meandri di un senso tragico senza più certezze, tenta di ritrovare se stesso battendo strade mai battute e si ritrova ripartendo da zero, risalendo al lato più recondito e ancestrale di sé, liberandosi di ogni figurazione, di ogni rapporto con il mondo e di ogni interpretazione del mondo stesso, superando gli astrattismi e i funzionalismi precedenti a colpi di spatola, di colori, di gesti violenti, irrazionali e automatici, di materia che esibisce solo se stessa per ricongiungersi con il primitivo, l'elemento ctonio ribollente al di sotto dell'equilibrio apparente.
Un art autre appunto, un'arte altra, dove "informale" è da intendersi non come "informe" ma come "priva di forma". Su quest'arte ha acceso i riflettori la nuova mostra organizzata dalla Fondazione Cassa di risparmio di Modena al Foro Boario (dal 18 dicembre 2005 al 9 aprile 2006, ingresso gratuito, www.mostre.fondazione-crmo.it/2005-2006). Un'esposizione ancora una volta realizzata in collaborazione con la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia ( www.guggenheim-venice.it) e curata da Luca Massimo Barbero. Punto di partenza e centro dell'intera rassegna, uno dei massimi esponenti del movimento: Jean Dubuffet. Definito da Jackson Pollock come il nuovo Picasso, a Dubuffet, al pari di Burri o Fontana, la definizione di informale va senz'altro stretta: circoscrivibile alla prima fase della sua attività, sarà poi sostituita da un'indefessa sperimentazione, mutevole tanto nei modi quanto nelle idee (l'art brut, l'arte dei malati di mente, il ciclo de L'Hourlope, i cosiddetti Lieux abrégés).
Intorno a Dubuffet una serie di capolavori che sanno dar conto delle diverse declinazioni assunte dal movimento in Europa: dal gruppo CoBRA (Jorn, Alechinsky, Appel, Corneille), a quello parigino, il più agguerrito (Soulages, Mathieu, Riopelle, Hartung - manca Fautrier), agli italiani Vedova, Santomaso, Tancredi, Bacci, particolarmente amati da Peggy Guggenheim che li chiamava "i miei nuovi Pollock". E poi, immancabili, i tagli e i buchi di Fontana, i sacchi e i catrami di Burri, oltre a Accardi, Capogrossi, Novelli, formalisti, astrattisti concreti, astrattisti geometrici: tutti sul limitare dell'universo Informale, tutti interpreti attivi di un fermento culturale irripetibile.
Continua così, dopo Alberto Giacometti e Max Ernst, Modigliani e l'Action Painting, la fruttuosa collaborazione tra la Fondazione Cassa di risparmio di Modena e la Fondazione Guggenheim, un pozzo da cui attingere per indagare protagonisti e tendenze dell'arte del XX secolo. E dopo l'Action Painting dello scorso anno, il curatore, Luca Massimo Barbero, decide qui di completare l'opera con quel movimento che, rispetto all'Action Painting, può essere considerato la solida risposta europea. Il parallelo tra nuovo e vecchio continente rimane senza dubbio come una delle più riuscite chiavi di lettura dell'intera rassegna, un parallelo che negli anni a seguire sarebbe continuato: New Dada da un lato e Nouveau Réalisme dall'altro. Non a caso tra le più interessanti opere esposte figura anche un rullo di pittura industriale di Pinot Gallizio, da vendersi al metro: quasi un'anticipazione delle celeberrime cow-wallpapers di Andy Warhol.
Informale. Jean Dubuffet e l'arte europea 1945-1970, a cura di L. M. Barbero, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, 2005, 376 p., _ 35,00.
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