Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, storie e personaggi

A un anno dalla scomparsa, gli occhi di Renzo Renzi sono ancora aperti su di noi, con il loro pudore e la loro forza nell'interpretare il mondo.
Uno sguardo sottovoce

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Dal 18 ottobre 2005 la Biblioteca della Cineteca comunale di Bologna è intitolata a Renzo Renzi, che già trent'anni fa sognava questo "Palazzo dei suoni e delle visioni" e lo immaginava come un "tempio della coscienza critica". Per ricordare a un anno dalla morte lo scrittore, regista e critico cinematografico che ha animato la scena culturale bolognese e nazionale dal dopoguerra, il 19 e 20 ottobre la Cineteca ha organizzato un convegno, realizzato in collaborazione con la Provincia, il Dipartimento di musica e spettacolo dell'Università, l'Ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna e l'Istituto regionale per i beni culturali. Il ruolo dell'intellettuale bolognese è stato approfondito mettendo in luce aspetti inediti della sua attività, attraverso le carte d'archivio conservate presso la Cineteca e catalogate grazie all'intervento dell'IBC. Pubblichiamo per l'occasione l'intervento pronunciato dal professor Raimondi l'11 dicembre 2002, durante la festa di compleanno organizzata in onore di Renzi dalla Provincia di Bologna.

 

Quando ci si trova a ricordare un amico che non è più presente, non ci si interroga soltanto sulle memorie del passato, ma si rivede l'altro, finendo per riconoscerne aspetti che sino a quel momento si erano ignorati: da un certo punto di vista, anzi, quell'amico diventa più vivo e più vero, è di nuovo dinanzi a noi, e a noi non resta che di ritrovare a poco a poco, nella nostra storia, molte cose che forse si legavano alla sua.

Renzi è stato un grande giornalista-scrittore, un narratore e un regista nello stesso tempo, che ha sempre portato in tutte le sue opere, fossero di parole o di immagini - statiche e in movimento - una straordinaria attitudine compositiva, frutto della sua intelligenza inventiva e insieme riflessiva. Mentre come uomo di cinema ha giocato sulle immagini, sulle ombre, sulle grandi finzioni, come studioso ha accompagnato a questa costruzione una riflessione critica altrettanto lucida e ferma. Ed è stato narratore e regista perché non ha fatto altro che raccontare qualche cosa di sé e del mondo circostante, con una volontà permanente di indagare, scoprire, definire la verità di ciò che è intorno, che diventa anche la verità di colui che indaga e si interroga su se stesso e sulle proprie ragioni critiche.

Quello di Renzi è certamente l'occhio cinematografico di una generazione - la mia arrivava di lì a poco, quasi a spalla - che nel cinema trovava qualche cosa di straordinario: un occhio che permetteva di guardarsi intorno, di dire la verità rispetto a ciò che era l'apparenza, consentendo di inventare nel quotidiano un'avventura che nello stesso tempo proiettava in un altro universo. Ma l'occhio cinematografico di Renzi, così come nasce e come ce lo ha raccontato, è anche un occhio eminentemente critico, che si contrappone agli stereotipi, alle immagini già date, che si fissa sul reale con una furia, un entusiasmo fervido di giovinezza e di estro, capace anche, all'occorrenza, di andare di là dall'immagine filmica.

L'indagine di Renzi si è sempre legata in effetti a un senso di solidarietà - una parola che egli ha usato tante volte, - a un sentimento di comunità, al gusto degli altri che fanno parte della nostra esistenza e coi quali si cammina in una sorta di avventura comune. E può essere che tutto questo dovesse proprio nascere in una tradizione come la nostra: è una sorta di forza che appartiene a quella che egli ha chiamato più volte la storia profonda dei luoghi da vivere attraverso l'esperienza personale, in modo che diventi anche una microstoria in cui però si riscopra il vero più vero, quello che ci sta intorno e che spesso ci sfugge se diventiamo troppo poco umani, indifferenti o semplicemente disattenti.

Ecco perché la visualizzazione di Renzi è sempre critica: proprio perché in lui non c'è una scelta fra immagine e parola, ma l'una porta all'altra e viceversa, in un circuito fecondo e inesauribile. Egli è sempre alla ricerca di quello che si potrebbe chiamare l'invisibile del visibile, qualcosa che è storia, ma che è insieme proiezione, in qualche modo, verso il futuro. E tutto questo con una integrità morale che diventa talvolta una dolce fermezza, una dignità virilmente malinconica che è il segno della sua saggezza, un momento della sua volontà di fare, poiché il fare chiede sempre il riferimento di una verità valida per chi la ricerca e per quanti lo accompagnano nel suo cammino.

La moralità di Renzi è così un sigillo di stile, di autenticità, una sorta di riserbo: è quel momento dei nostri luoghi in cui la verità viene mormorata. Vi sono due parole che mi hanno colpito in certe pagine di Renzi, "pudore" e "sottovoce": la sua è una tenacia tranquilla ma intransigente, che serba un rapporto diretto con le cose e con gli altri uomini; è un occhio che sa sempre interpretare, che racconta e insieme costruisce, e l'impressione diventa, a ogni momento, sentenza, proposizione, invito a riflettere.

Ma vi è anche un altro atteggiamento che colpisce: spesso, alla fine di un lavoro, egli conclude con un dubbio, oppure con una sorta di "insoddisfazione", di interrogativo. L'indagine è, per così dire, un farsi continuo, l'invenzione porta ad altre invenzioni, con la volontà di guardare in avanti, aprendo sempre nuovi orizzonti. Per questo, egli ci ha consegnato, attraverso il suo occhio, elementi, ragioni, sostanza di quello che è il nostro vivere. E quanto gli dobbiamo, anche da incompetenti, nello sfogliare le pagine, sempre alla fine costruite da lui, dei volumi della straordinaria collana di Cappelli "Dal soggetto al film".

L'occhio cinematografico è un occhio per definizione non locale, legato a nuove ragioni tecniche, è un occhio che si integra di continuo tra linguaggi diversi: parola, immagine, musica, movimento. E Renzi posa questo sguardo ampio sopra ciò che è intorno a lui, che di colpo diventa testimonianza esemplare di un movimento più ampio, in cui si rivela, alla fine, il senso della storia.

Se c'è uno scrittore che non ama l'enfasi, quello, come si può intuire, è Renzi, sempre misurato sulle cose, proprio perché il suo occhio è educato a rilevare gli oggetti e a chiedersi che cosa significhino. Si può capire allora perché di Bologna e dell'Emilia egli abbia dato un'immagine straordinariamente critica, consegnandocela viva ancora nel presente, e problematica per il futuro. Ho in mente, per esempio, attraverso il lungo racconto che si dipana tra le testate di "Bologna Incontri" e "2000 Incontri", le sue riflessioni sulla "ragione probabilistica e solidaristica" che a suo modo di vedere contraddistingue il nostro vivere sociale: una ragione probabilistica, e dunque cauta, sa bene come l'errore è sempre in agguato, e si colloca in opposizione a quella che, già diversi anni fa, egli chiamava "la società più avanzata delle merci e del loro spettacolo".

In modo sommesso, Renzi porta avanti una sua polemica: è il segno di quella giovinezza antica che si era battuta per un ideale integro, pieno, non legato ai falsi lustrini della retorica, ma portato invece sulla superficie scabra delle cose, sulla pelle degli uomini. Tutto questo lo fa sentire straordinariamente vicino a quello che, in un'altra circostanza, egli riconosce come "il tratto laborioso e propositivo delle nostre parti", l'inclinazione alla pratica, la volontà di costruire e di pensare attraverso il confronto con le cose. Una volta, il grande Goethe parlò della "delicata empiria", ossia la capacità di stare dentro i fenomeni e di ricavarne la loro specifica, concreta, adeguata teoria. Anche Renzi è un uomo della "delicata empiria", comunque egli si muova, soprattutto quando poi si interroga sopra il suo ambiente più reale, più storico, più concreto, che è anche, a questo punto, il nostro, con un occhio straordinariamente lucido, in cui si congiungono il rigore e gli affetti di una storia tutta sentimentale.

E il suo pathos represso esprime alla fine un'idea di umanità, quella di un uomo comune che diventa nello stesso tempo eroe, testimone partecipe di un destino che appartiene anche ad altri uomini. Sente profondamente, Renzi, questa tradizione, che appartiene al passato, ma deve continuare ancora a vivere nel momento stesso in cui corre il rischio di appannarsi. Ecco perché il suo racconto non va verso il passato ma si muove verso di noi e verso il nostro presente: è l'invito a guardare le cose, a sentirle nella loro molteplicità, nella loro specificità, nella loro nascosta preziosità; ma anche a farle elementi di un discorso comune, di una capacità di intendersi, magari in silenzio, e tuttavia con un'autentica solidarietà. Un occhio, dunque, umano, che parla dal profondo del cuore: è lui stesso, del resto, ad aver detto che i luoghi di cui parlava sono "visti dalla parte del cuore".

Ma quello di Renzi è un amore difficile, esigente, capace di vedere ciò che è vivo là dove gli altri passano con indifferenza, determinando in questo modo la misura della nostra dignità. E proprio qui viene alla luce lo scrittore: vi è una moralità dello stile che è una moralità dell'osservazione, un rigore che riguarda le cose e, insieme, gli uomini. È per questo che, a un certo punto, egli può affermare che "non possiamo non dirci emiliani e romagnoli": non sono parole legate alla retorica - la sua stessa storia l'ha affrancato da questo pericolo - ma restituite alla loro verità d'ogni giorno che non tramonta, alla verità degli uomini che camminano, che faticano, che hanno un'ipotesi, un progetto comune, che vogliono inventare nel momento stesso in cui sanno che il loro dovere è di costruire e di rapportarsi alla propria terra con misura, con fedeltà, con pazienza.

Ecco perché la sua lezione fa parte a tutti gli effetti del nostro presente, consolidata da una lunga storia di fedeltà, di fermezza, qualche volta di sacrificio, da intellettuale che non ha mai voluto aggiungersi al coro, ma ha sempre sentito la propria solitudine come un elemento necessario per capire gli altri. E, a questo punto, è il suo occhio ciò di cui abbiamo ancora bisogno, è questa sorta di fede nascosta che si trasferisce anche su di noi. Più ritroviamo le sue pagine, più riprende il dialogo, e Renzi è di nuovo qui a parlare con noi, con la forza che viene da una lunga fedeltà, da quel pudore, da quel sottovoce che è invece una voce autentica, piena, integrale. Tocca ora a noi, al nostro impegno e alla nostra responsabilità, amministrare la lunga, faticosa, fragile verità della sua storia che ancora continua.

 

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