Rivista "IBC" XII, 2004, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / itinerari, pubblicazioni

M. Garuti, Il romanzo del Reno. Storia di un fiume inquieto, Bologna, Pendragon, 2004.
Un fiume da leggere d'un fiato

Carlo Tovoli
[IBC]

La storia del Reno nel corso dei secoli, dalla sorgente al suo gettarsi a mare, è quella di un fiume "randagio" che nasce in un bosco di faggi a 1.020 metri di altitudine sull'Appennino pistoiese, nei pressi di Prunetta, e muore in Adriatico in un letto non suo, ricevuto in prestito dal Po (Il Po di Primaro), vicino a Lido di Spina (Ferrara). Il racconto di questo fiume non può che ripercorrere le tappe di formazione di questo lungo percorso che va dagli Appennini al mare, così come i tentativi da parte dell'uomo di addomesticare il suo carattere "ribelle". Ma non basta: l'abilità sta nel rendere il tutto "come un romanzo". Compito riuscito a Maurizio Garuti in un agile volume che si legge tutto d'un fiato. Interessante il progetto grafico (curato dallo stesso autore): formato squadrato tascabile, immagini d'archivio e fotografie naturalistiche (gli autori sono Maurizio Brunazzi e Sergio Stignani) che accompagnano puntualmente il testo, ricostruzioni cartografiche. Il volume è il secondo titolo di una collana, "La Terra e l'Acqua", avviata di recente dalla casa editrice Pendragon di Bologna.

Ma ritorniamo alla narrazione per scoprire che "secondo i geologi, il Reno, in ere lontanissime, finiva il suo corso a Sasso Marconi [...]. Poi, il lavorio di erosioni e terremoti avrebbe consentito al fiume di [...] gettarsi nel grande mare padano, la mitica Padusa". Un capitolo centrale è dedicato a quel ramo artificiale del fiume che parte dalla Chiusa di Casalecchio, vero e proprio monumento la cui prima edificazione risale al XII secolo, e segna profondamente la storia di Bologna per oltre ottocento anni. Siamo alla fine del 1100 e in città "spira il vento favorevole dell'era comunale. Il Reno produce energia, e lungo il suo corso è un fiorire di attività. Con la ruota idraulica girano i mulini da grano. Ma l'acqua serve anche per le cartiere che macerano la carta, per le gualchiere che producono panni, per le segherie che lavorano il legname; e inoltre circola nelle botteghe di fabbri, arrotini, tintori, conciatori di pelle".

Grazie all'utilizzo delle acque del Reno (e di altri canali, oltre al torrente Aposa, unico corso naturale cittadino) il paesaggio urbano cambia velocemente e Bologna nel Cinquecento può vantare un'economia paleoindustriale dove oltre quattrocento mulini ad acqua occupano nella produzione della seta un quarto della popolazione (circa quindicimila persone su un totale di sessantamila). Il tramonto del modello economico bolognese giunge verso la fine del Settecento con la fine della produzione serica e i canali trasformati in cloache con tanto di divieto assoluto di balneazione. E arriviamo così al 1930, quando comincia la tombatura del canale del Reno. Del suo percorso resta oggi ancora visibile la Grada, nei pressi di porta San Felice, da dove il canale comincia il suo viaggio in città, e una finestrella in via Piella con uno scorcio "affascinante e triste come una fotografia del tempo che fu".

Siamo a metà del nostro racconto ed è proprio qui, nelle pianure intorno a Bologna, che scopriamo il vero "carattere" del fiume più inquieto della valle padana. Il Reno divaga per alvei vecchi e nuovi fino alla metà del Quattrocento quando stabilizza il suo corso fra Cento e Pieve di Cento, piegandosi in seguito verso sud-est, lungo il tracciato del cosiddetto Cavo Benedettino, dal nome di Papa Benedetto XIV che si fece promotore alla metà del Settecento di un progetto per scolare le acque nel Po di Primaro. Agli inizi dell'Ottocento entra in scena anche Napoleone con il progetto di immettere il Reno direttamente nel Po Grande con un cavo (il "Cavo napoleonico", anche se compiuto molti anni dopo Napoleone) il cui tracciato da Sant'Agostino punta verso Stellata di Bondeno.

Questi ed altri tentativi di incanalare il Reno per una via ideale non risolvono i problemi di un'area che si presenta a fine Ottocento come una palude cronica, infestata dalla malaria. E proprio per risanare il territorio nasce nel 1909 la Bonifica Renana, che in 15 anni realizza un vasto sistema idraulico e ha il quartier generale a Saiarino, presso Argenta, dove sorge il primo grande impianto idrovoro. E così il fiume, finalmente "ammaestrato", raggiunge il mare; lo fa però in sordina, "niente di paragonabile al lungo addio del Po, in un parco deltizio che è un trionfo della natura e di paesaggi spettacolari". Alla foce del Reno "non c'è un bar, non c'è una panchina. Al capezzale del fiume, nel momento del trapasso, non c'è nessuno e non c'è nulla".


M. Garuti, Il romanzo del Reno. Storia di un fiume inquieto, Bologna, Pendragon, 2004, 108 p., _ 12,00.

 

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