Rivista "IBC" XXII, 2014, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Dal 1938 il “Concorso nazionale della ceramica d’arte di Faenza” continua a stimolare la sperimentazione degli artisti affermati e le energie creative dei più giovani.
Vasi d'autore

Maria Telesca
[laureata in Storia dell'arte all'Università di Perugia]

Il “Concorso nazionale della ceramica d’arte di Faenza”, istituito nel 1938 e apertosi al circuito internazionale nel 1963, ha segnato una notevole sperimentazione sul mezzo ceramico per importanti artisti e artigiani (non solo italiani). In Italia, negli anni compresi tra le due guerre mondiali, questo genere di manifestazione ha favorito l’impiego del materiale ceramico oltre il settore delle arti applicate e decorative e, di conseguenza, una grande rivalutazione e un considerevole apprezzamento. Anche motivazioni di carattere economico, in quegli anni, hanno concorso all’incremento della terracotta, in particolare, e in generale delle arti applicate: nella microproduttività artigianale, infatti, si è vista un’occasione di rilancio dell’economia del paese grazie al sorgere di numerose fornaci in tutta Italia.

L’istituzione di concorsi nazionali e internazionali di ceramica d’arte in diversi centri di antica tradizione artigianale ha dunque determinano il riscatto di un medium considerato “povero” ponendolo al centro del dibattito artistico del tempo; iniziative di questo genere, inoltre, hanno avuto il merito di contribuire all’abbattimento di barriere tra le arti: così la ceramica si fa scultura, assume la legittimità e la dignità proprie di un’operazione artistica tout court.

Intorno alla metà degli anni Trenta, in particolare, indebolita la tendenza ornamentale e pittorica caratteristica dei decenni precedenti, la ceramica italiana si è orientata sempre più verso le creazioni plastiche: in questa prospettiva risultano emblematiche le ricerche di ceramisti e artisti del calibro di Pietro Melandri, Angelo Biancini, Guido Gambone, Carlo Zauli, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Leoncillo Leonardi e Aligi Sassu, solo per citarne alcuni, di cui molti vincitori dell’ambìto “Premio Faenza”. Al riguardo conviene ricordare le parole di Gian Carlo Bojani: “Non a caso avverrà che negli anni Trenta lo stesso Concorso nazionale della ceramica [di Faenza] prenderà le mosse e sarà segnato da questa scelta fondamentale”.1

Nel corso del XX secolo, in alternativa ai tradizionali valori estetici dell’arte ceramica, soprattutto quelli legati alla classica forma del vaso o della ciotola, si esplorano le potenzialità dell’argilla, con specificità e limiti non diversi da quelli del marmo o del legno. È la materia che Luciano Caramel definisce “la ceramica degli artisti”.2 E attraverso le opere vincitrici del concorso faentino è possibile seguire le diverse fasi di sviluppo anche di questo particolare filone produttivo.

In Italia, nell’arco degli anni presi in esame, anche in altri centri sono state promosse manifestazioni volte a dare impulso all’arte ceramica, vera protagonista di un’intensa stagione espositiva, che la vede celebrata al pari della pittura: in primis Faenza, modello per le altre iniziative nate negli anni Cinquanta a Messina (1952), a Pesaro (1952), ad Albisola (1954), e in Umbria: a Deruta (1954), a Gubbio (1956) e infine a Gualdo Tadino (1959). A queste seguono, tra gli anni Sessanta e i Settanta, i concorsi nati a Cervia, a Rimini e a Caltagirone. Sono solo alcuni esempi, che documentano la diffusione capillare su tutto il territorio nazionale di iniziative sostanzialmente affini. Trattandosi spesso di contesti provinciali, queste, se da un lato hanno offerto nuovi stimoli e nuove proposte a piccole realtà artigiane, dall’altro hanno contributo alla grande diffusione e valorizzazione della ceramica.

Mentore del concorso faentino è stato lo storico Gaetano Ballardini, già direttore del Museo internazionale delle ceramiche istituito nel 1908; il suo allievo e successore Giuseppe Liverani lo ricorda così: “Studioso e uomo d’azione: due qualità, è bene affermarlo, difficili a trovarsi riunite e che invece in lui apparivano mirabilmente fuse al gran fuoco di uno spirito elevato e vibrante [...]. Uomo che nel travaglio della sua vita riuscì a realizzare, in gran parte per suo solo merito, il sogno delle giovanili e forse temerarie speranze [...]. L’esempio di una vita lunga e operante, spesa a un solo e nobilissimo scopo, senza deviazioni, incertezze o dispersioni, ma sempre sorretta dal sentimento del proprio dovere rimarrà certo assai lungamente fra quanti si occupano delle cose dell’arte e dello spirito. Per il vibrante suo temperamento e malgrado la radicata consuetudine alla ricerca dotta, fu lungi dall’essere o dal diventare soltanto uno studioso assorbito dalle indagini storiche: egli seguiva il travaglio creativo dei nostri tempi e ne condivideva le istanze apprezzandone i maggiori valori. Tutti difatti sappiamo con quale entusiasmo il Maestro postulò e accolse i rari e preziosi doni ceramici di Matisse e di Picasso che ora arricchiscono il Museo!”.


Tornando al concorso, si tratta della prima manifestazione europea dedicata all’arte ceramica, inizialmente a tema, con un preciso programma organizzato periodicamente. Il “Premio Faenza” è il riconoscimento più alto del concorso che, insieme agli acquisti gestiti dal comitato direttivo della manifestazione e dal Museo e grazie a diverse donazioni, ha arricchito sempre più la sezione della ceramica contemporanea del Museo stesso.

È importante notare che i temi proposti nelle edizioni degli anni della guerra, in particolare nella terza (1941) e nella quarta (1942), sono tipici di un’arte celebrativa e di propaganda, (La madre del legionario e Pannello decorativo a soggetto di carattere nazionale),3 mentre dal 1946 ci si indirizza piuttosto verso la libertà d’invenzione e verso la perfezione dell’esecuzione, princìpi su cui si fonderanno le successive edizioni del concorso. Nonostante i limiti imposti dal regime è importante considerare come il sistema delle arti fascista, capillarmente strutturato, abbia favorito la nascita di una rassegna che ha dato ampio spazio anche alle arti applicate, e come lo stesso Mussolini si sia personalmente interessato alla buona riuscita offrendo premi e visitando la mostra del concorso nel 1939.

Nel 1948, dopo essere stata ospitato nel salone del Consiglio comunale, la manifestazione tornerà a occupare i locali a piano terra dell’ex convento di San Maglorio (che al piano superiore ospita le sale del Museo internazionale delle ceramiche), originaria sede del concorso. All’indomani della Seconda guerra mondiale, anche altre realtà italiane si aprono al mondo ceramico: per esempio la Lombardia, dove l’attenzione per la ceramica si era manifestata fin dalle biennali di Monza e poi con le prime Triennali di Milano, ma anche Vicenza, con la Fiera campionaria; iniziative che hanno puntato l’attenzione alla produzione ceramica di tipo seriale e commerciale. Faenza, invece, con il suo premio è stato e resterà il luogo privilegiato del confronto tra la ceramica nelle espressioni meno applicative del fare arte.

Con il “Premio Faenza”, nel corso degli anni, si è sempre cercato il confronto diretto con l’arte contemporanea; esso ha testimoniato il rapporto sempre più stretto e il legame sempre più diretto tra la ceramica (quella dei ceramisti autori di “pezzi unici”, non destinati alla produzione seriale) e la ricerca plastica, una ricerca che si è concentrata sulla tradizionale forma del vaso, sottoponendola a radicali cambiamenti. Spesso al concorso si sono affiancate molte altre esposizioni che, di anno in anno, hanno contribuito ad aumentarne la ricchezza e il valore; si ricordano, per esempio, le mostre personali dei vincitori (allestite l’anno successivo a quello della vittoria), mostre commemorative, mostre dei maestri stranieri (tra le tante la più significativa è sicuramente quella del 1960 dedicata all’opera ceramica di Picasso) e diverse altre. Una di queste risale al 1961, quando a lato del Concorso è stata allestita una mostra-mercato della ceramica d’antiquariato, a testimonianza dell’interesse dei promotori a far conoscere il legame che intercorre tra la ceramica antica a quella moderna.

Altro elemento importante da sottolineare è che dal 1954, tra i tanti premi previsti dal concorso, uno è riservato agli allievi di istituti o scuole d’arte (come prevedeva, già due anni prima il “Premio Giorgio Ugolini” di Pesaro e il “Premio Deruta” a partire dal 1963): da qui deriva il cambiamento nella denominazione, che dal 1967 diventa “Concorso internazionale per allievi di istituti e scuole d’arte”. Secondo le indicazioni del bando del XII concorso, “dovranno presentarsi opere (senza limitazione di numero) a carattere pittorico o plastico su tema libero, di fresca ispirazione e di perfetta esecuzione”: ai giovani si riconosce la possibilità di sperimentare e ideare le loro opere al di là dei vincoli del tema: si scommette sulle nuove generazioni guardando al futuro.

Così come si è guardato al futuro quando gli organizzatori, a partire dal 1967, hanno pensato a una sezione internazionale separata, da dedicare ai prodotti ceramici di disegno industriale. Proprio perché il concorso, come si è detto, fin dalle prime edizioni, ha rappresentato un’importante opportunità per la valorizzazione, per il rinnovamento e per la promozione della ceramica in tutti i suoi aspetti, esso, soprattutto dalla metà degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta e Settanta, ha considerato il materiale ceramico anche sotto l’aspetto funzionale e tecnico, aprendosi all’industria e al design.

Il “Concorso internazionale della ceramica d’arte contemporanea di Faenza” è arrivato nel 2013 alla cinquantottesima edizione: esso è stato, e continua a essere, un nuovo e valido strumento per un approccio diverso e più stimolante all’arte ceramica.


Note

(1) G. C. Bojani, Faenza, in Scultura e ceramica in Italia nel Novecento, Milano, Electa, 1989, pp. 18-19.

(2) La ceramica degli artisti, 1910- 1997, a cura di L. Caramel, Roma, N. Vespignani, 1997. Lo storico dell’arte a questi contrappone “gli artisti della ceramica”, che utilizzano il materiale ceramico esclusivamente per la produzioni di oggetti d’uso pratico: vasi, tazze, piatti, piastrelle decorate, lampade o altro.

(3) A questo proposito è possibile notare un parallelo con i temi legati alla propaganda fascista proposti nei premi di pittura, in particolare nel “Premio Cremona”, la cui prima edizione è del 1939. Roberto Farinacci, promotore della manifestazione, “insegue il mito di un’arte latina e antimoderna”, illustrativa del regime, tutta italiana. A questa si oppone un’arte aperta alle istanze europee, che cerca di salvaguardare la propria autonomia, proposta, nel “Premio Bergamo”, istituito sempre del 1939. Qui l’unica condizione posta agli artisti è “la sincerità, l’immediatezza d’espressione”. La prima edizione del “Premio Cremona”, invece, prevede la realizzazione di temi come: Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce e Stati d’animo creati dal fascismo. Sarà Mussolini stesso a indicare i temi delle edizioni seguenti (La battaglia del grano nel 1940 e La gioventù italiana del Littorio nel 1941).


 

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