Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

musei e beni culturali / mostre e rassegne

"Lavoro, figura, paesaggio. Immagini di Sant'Ilario e della Val d'Enza negli anni e nelle opere del Premio di Pittura", Sant'Ilario d'Enza (Reggio Emilia), Centro culturale Mavarta, 16 novembre - 20 dicembre 2013.
Lavoro, figura, paesaggio

Orlando Piraccini
[IBC]

Anno di grazia, il 1953, per Sant'Ilario d'Enza. Sono arrivati insieme il gas (dal metano dell'AGIP di Enrico Mattei) e l'arte (con un bel premio di pittura). E proprio di quella remota arte si ricorda ora il paese, a mezzo secolo più un decennio dall'inizio di una "stagione" di certo radiosa anche se non di lunga durata. Alle origini del proprio "premio", Sant'Ilario torna con una mostra intitolata "Lavoro, figura, paesaggio", che vede riunite opere presenti alle prime edizioni del concorso, oggi conservate nella raccolta comunale.

Ho visitato l'esposizione trovandola curata con garbo (con gli scorci paesaggistici di allora posti a confronto fotografico con la realtà ambientale di oggi), anche se magari un poco "fitta"; ma certo talune opere (penso a quelle di Giovanni Cappelli, di Vittorio Cavicchioni, di Nello Leonardi, di Eugenio Barbieri, di Bruno Olivi) sono altamente rappresentative di quei giorni dell'immediato dopoguerra, che Ezio Raimondi ci invita ancora adesso a considerare come "tempi di passioni e di illusioni ideologiche, di certezze e di proposte globali, ma anche di dubbi, inquietudini, contrasti, lacerazioni, insofferenze nei confronti di una verità totale assegnata anche all'universo avventuroso e precario dell'arte".

Insomma, anche una mostra come questa ci fa ricordare ancora che quegli anni Cinquanta furono i tempi del dilemma, o della dialettica, fra astrattismo e realismo; un realismo che tra Bologna, l'Emilia e anche la Romagna, ha provato a sottrarsi alla retorica di una cultura nazionale popolare piegata alle ragioni pur plausibili della propaganda politica, per essere più autenticamente pittura di verità e di sentimento. Per i rimandi che questa mostra propone si può poi osservare che il "caso Sant'Ilario" è assolutamente preminente se ci si riferisce a quel capitolo dell'arte del secolo scorso ormai nota come la "stagione dei premi", allorché proprio all'arte fu affidato dalle istituzioni pubbliche un compito preciso, quello di contribuire alla rinascita, alla "ricostruzione" del nostro paese.

Sul "Sant' Ilario", in particolare, ha scritto in forma retrospettiva Mario De Micheli, al quale si deve il maggior sostegno offerto al concorso. Egli giustamente ne ha esaltato la funzione di trampolino di lancio per tanti giovani pittori di terza generazione, emiliani e provenienti da altre città d'arte. E ha ricordato il premio come un punto d'eccellenza del dibattito sulle arti di quel tempo, per la presenza di critici e studiosi di alto profilo: un nome per tutti, quello di Francesco Arcangeli. Ma dentro la "stagione dei premi" esiste oggi una sorta di fil rouge che congiunge Sant'Ilario con gli altri concorsi nati specialmente nei centri minori della nostra regione nei primi anni Cinquanta e che, con alterne vicende, hanno avuto vita fin verso la fine del decennio successivo. Appunto, una stagione.

Il filo è stato steso nell'ambito di una ricerca dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna denominata "Archivi dell'Arte", ricerca volta a ricostruire la formazione di nuclei artistici novecenteschi "diffusi" sul territorio. Ed è un filo che arriva in aree anche lontane dal Reggiano: basti citare qui, per pari importanza e periodo del "Sant'Ilario", il premio "Campigna" di Santa Sofia, il premio "Silvestro Lega" di Modigliana, la Biennale di San Marino, il "Cesenatico" di Cesenatico, il "Cassiano Fenati" di Cesena, il "Morgan's Paint" di Rimini e di Ravenna, il "Copparo", l'"Argenta", i concorsi sulla Resistenza di Ferrara e di Marzabotto.

Come per il premio "Sant'Ilario" anche per alcuni di questi concorsi la fine della stagione è stata segnata dalla contestazione sessantottesca. Chi si poteva più permettere di giudicare l'arte, allora? Chi mai poteva azzardarsi ad attribuire meriti e premi? Quel vuoto desolante, gonfiato dall'indistinto, che s'era prodotto dopo il '68, fu avvertito nel profondo da Francesco Arcangeli. Poco tempo prima della sua dolorosa scomparsa ha lasciato scritto: "Abbiamo la coscienza di avere svolto un lavoro non inutile, sostanzialmente non per crearci delle baronie ma per scelta intellettuale e per amore autentico. Abbiamo vissuto con gli artisti. Ecco tutto". E ancora: "Certo la contestazione ha servito o almeno dovrebbe aver servito a snebbiarci la mente e la capacità d'azione da qualche nostra possibile mitologia. Ma nei suoi risultati fin troppo acquisiti, la contestazione ha servito, insieme a qualche forse non eccezionale risultato, a creare anche nuove e odiose mafie, ampiamente privilegiate in sede nazionale e internazionale, e ben spalleggiate da nuovi interessi di mercato. Dopo tanta contestazione contro il solito quadro da appendere al muro, contro la mercificazione, non c'è male, non c'è male davvero".

La storia ha dato ragione ad Arcangeli, l'arte per troppo tempo è stata governata dal mercato, giunto persino a infiltrarsi nelle istituzioni culturali e museali con la malleveria di certa critica compiacente. Ma è tanto, invece, ciò che resiste di quella remota "stagione dei premi": in primo luogo un lascito importantissimo di patrimoni, opere d'arte, memorie. E poi sono nati musei, e collezioni formidabili sono divenute pubbliche: come qui a Sant'Ilario, o come a Santa Sofia, o a Cesenatico, o a Copparo.

Si potrebbe concludere, persino, che quella storia non si è affatto interrotta. Ma è certo che i "premi" hanno lasciato il segno, hanno alimentato altre esperienze, generato nuovi percorsi nel variegato campo della creatività. Così oggi ci son centri nella nostra regione che possono davvero presentarsi tra i più ricercati e invitanti "luoghi d'arte".

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