Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Un lungo percorso di eventi ha celebrato Aldo Borgonzoni, artista internazionale che nelle sue opere ha narrato anche momenti epocali della storia dell'Emilia-Romagna.
Le stagioni di un maestro

Orlando Piraccini
[IBC]

Sul centenario della nascita dell'artista Aldo Borgonzoni si potrà dire, alla fine, che ben di rado celebrazioni sono state di così lungo corso e durata. Il fatto è che all'anno di grazia millenovecentotredici, e al culmine tra Bologna e Medicina, si è arrivati dalla linea adriatica di Riccione, e dall'"antologica" allestita addirittura quattro estati fa nella Galleria comunale d'arte di Villa Franceschi. Va poi ricordato che a Dozza, due anni or sono, si era riscoperto un Borgonzoni pittor di muri, lì cantore di un socialismo romanticamente arcaico, e con le radici sempre ben piantate nel terreno del realismo sociale, che era stato coltivato nelle lontane stagioni artistiche dell'immediato dopoguerra.

Nella "perla" delle vacanze balneari Aldo Borgonzoni era arrivato già allora sotto l'egida dell'Istituto per i beni culturali, per un evento "ispirato" dal presidente Ezio Raimondi, allorché ci invitava a considerare quell'eccellente figura di artista come un "testimone" autorevole di una storia bolognese ed emiliana ancora in parte da raccontare, o da rivedere, anche sul piano sociale.

Su questo aveva peraltro scritto lo stesso Raimondi, sottolineando che "oggi verrebbe fatto di dire, sia pure con la prudenza a cui invitano sempre le formule, che anche la pittura di Borgonzoni si muove sin dalla giovinezza tra questi due poli della protesta e della nostalgia, della denuncia e del riscatto, della deformazione e della testimonianza, del furore e della quiete, dell'urlo e della riflessione, del ritorno pacificato a un universo materno forte e felice anche nella sofferenza di un corpo piegato nella bruma verde della pianura. La storia di un'invenzione stilistica che copre più della metà di un secolo si stratifica laboriosa tra episodi, dialoghi, consonanze e insieme contraddizioni".1

A Villa Franceschi, dunque, e sotto il titolo non casuale di Testimone del tempo, è andato in scena per la regia di Claudio Spadoni il primo atto, o se si vuole l'anteprima, del centenario di Aldo Borgonzoni. Per quella circostanza, cominciando a tendere il fil rouge che avrebbe poi legato fra loro gli eventi più centrali delle celebrazioni, abbiamo scritto che "dalla sua specola bolognese, con il suo spirito sinceramente 'popolare' l'artista ha in effetti osservato e interpretato la realtà nel suo continuo mutare e ha parlato alle coscienze degli uomini. Non può dunque stupire se la sua arte, con la forte attinenza ai luoghi, ai fatti e alle circostanze che hanno segnato il percorso di vita dell'artista, senz'essere per questo strettamente autobiografica, ha saputo esercitare una così forte attrazione oltre i limiti della provincia padana. Al punto che non è certo azzardato affermare che, prima ancora che critica, la fortuna acquisita da Borgonzoni è stata di natura e di sostanza etica".2

Borgonzoni e la storia, dunque: questo il tema che è andato emergendo sempre più come speciale, nel percorso di avvicinamento al 2013. A Dozza, sotto il voltone del palazzo comunale, per un'edizione del "Muro Dipinto", con la storia Aldo Borgonzoni era tornato a decorar pareti; si era nel 1985, oltre trent'anni dopo i grandi cicli murali di Medicina e di Vignola.

Con il suo stile che si era così rinnovato rispetto agli anni della militanza realista fino all'approdo sulla costa europea dell'espressionismo internazionale, il pittore aveva qui reso omaggio alla grande (e migliore) tradizione socialista, facendo corona di immagini alla scultorea effigie di Andrea Costa, collocata proprio al centro della parete a lui e ai suoi pennelli affidata.

Per Franco Solmi, che l'artista aveva accompagnato in quell'avventura dozzese, ne era venuta fuori una rappresentazione intrisa di citazioni storiche della "leggenda della fratellanza socialista che qui in Romagna, nelle campagne, ha avuto i suoi primi profeti e - diciamolo senza timor di retorica - i suoi primi eroi. Le loro immagini reggono speranze che ci ostiniamo a credere non inattuali ancor oggi, quando sembra che cinismo e pragmatismo feroce abbiano gettato ai margini dell'irreale anche il ricordo di quegli uomini e di quelle lotte generose a cui Aldo Borgonzoni dedica tanto scoperto e convinto omaggio. Ne recupera volti e vicende, cercando di ritrovarli nella cronaca che giunge ad accomunare nell'immagine d'arte il passato e il presente, i contadini de 'La Boje' alle mondine di Medicina, gli arrestati durante i moti di un secolo fa agli artisti di oggi che ne spartiscono idealmente la sorte. È come un diario accalcato ma non confuso, che si dipana seguendo i corsi e i ricorsi di una storia che ci è familiare e vicinissima e di cui riscopriamo la crudeltà e il fascino attraverso quel potente strumento di rimembranza e di attualità che resta l'arte quando non abdica al suo diritto di essere anche documento".3


"Storico" dunque si può davvero titolare questo centenario borgonzoniano, giocando un po' con le parole: sulla non comune lunga gittata e ricchezza degli eventi che lo stanno distinguendo, ma specialmente per il suo principale filo tematico.

Note sono certamente le cose appena accadute e quelle che stanno accadendo sul "pianeta Borgonzoni", con mostre e convegni doverosamente divulgati e largamente partecipati dal pubblico; in campo, tra comitato scientifico promosso dall'Istituto regionale per i beni culturali (IBC) e convegni di studio (Bologna e Medicina), bei nomi della critica e della storia dell'arte, come quelli di Gloria Bianchino, Arturo Carlo Quintavalle, Gianfranco Maraniello, e dell'ateneo bolognese (Franco Farinelli) e del giornalismo (Vittorio Tonelli); esposizioni a Bologna (quella del Museo di arte moderna, ridotta ma efficace, sulle tematiche contadine, e quella della Galleria d'arte "Raccolta Lercaro", ovviamente sul ciclo conciliare) e a Medicina (al Palazzo della Comunità, con una bella "dedica" al paese natale dell'artista, riuscita grazie all'incrocio di dipinti e disegni della civica pinacoteca e di opere provenienti dallo CSAC di Parma, e all'ex Camera del lavoro, dove Paolo Barbaro è riuscito magistralmente a collegare il murale borgonzoniano lì conservato alle fotografie di un altro medicinese famoso, Enrico Pasquali, e alla cultura di immagine di metà Novecento).

Si deve poi ricordare l'apporto di enti autenticamente sostenitori come Coop Adriatica e Granarolo. Esemplare il loro sostegno, che ha consentito anche la produzione di strumenti divulgativi e multimediali da parte dello stesso IBC, impreziositi da "loghi" importanti e anche da patrocini illustri, come quello della Commissione Europea. Non ultimo, da citare, è l'impegno profuso dall'Archivio "Aldo Borgonzoni" di Bologna: fondato alcuni anni or sono da Alfonsina e Giambattista, moglie e figlio dell'artista, questo organismo si sta validamente adoperando per la classificazione dell'opera borgonzoniana. Alla "celebrazione" ha portato in dote alcune notevoli riscoperte, come quelle relative alla presenza di fondi di opere grafiche in importanti musei e raccolte d'arte in ambito nazionale e internazionale.

Si sbaglierebbe però a pensare a un centenario a fine ricorrenza. In previsione, fin oltre la primavera prossima, c'è da mettere sotto i riflettori il grande pannello dipinto da Borgonzoni nel 1988, intitolato Il tramonto del mondo contadino, di proprietà della Granarolo Spa, attualmente esposto nella sede centrale della Regione Emilia-Romagna; a seguire, si farà ritorno a Dozza per un confronto ravvicinato fra la decorazione borgonzoniana (nel frattempo restaurata) e i "muri dipinti" di altri noti autori italiani sulle tematiche sociali.

Saremo infine al Museo Cervi per una rivisitazione delle tematiche resistenziali svolte da Borgonzoni (non mancheranno ovviamente quadri e disegni sull'eccidio di Marzabotto), ma con un'estensione alla sua pittura di denuncia di regimi totalitari, di guerre e di terrori che hanno segnato il corso del secondo Novecento; e nello stesso contesto si potrà ammirare la serie grafica dedicata al paesaggio agrario, nella quale si è inserita la vicenda della Famiglia Cervi (la serie è oggi conservata nel Museo Polironiano di San Benedetto Po, che ancora risente dei gravi danni subìti dall'ultimo terremoto).

Quadri di resistenza, murali sul proletariato e sul lavoro, ritratti dell'Italia socialista e, infine, il ciclo sulla grande stagione conciliare: sarà tutto in un libro edito dall'IBC, su Borgonzoni e la storia, appunto, con i pensieri dell'artista e un'antologia di vecchie cronache e testi critici, oltre ad apparati documentari. Il tema, dopo che a esso si era riferito Arturo Carlo Quintavalle durante il convegno bolognese, è stato al centro dell'incontro pubblico dell'11 novembre a Medicina (e qui vanno ricordate la capacità e la dedizione del giovane assessore Matteo Montanari e la bella accoglienza riservata da un pubblico straordinariamente folto alla ricercatrice Benedetta Rutigliano per la sua ancor fresca tesi di laurea incentrata proprio su Borgonzoni e gli ultimi "frescanti" del Novecento italiano).


Storia, dunque; che l'artista ha vissuto in presa diretta, e che si è proposto di narrare come capitoli nuovi di una mai compiuta e definitiva storia dell'umanità. Storie ambientate nel mondo del lavoro, popolate di mondine, braccianti, operai; uomini e donne nelle tragedia e nei patimenti della guerra, vittime di massacri orrendi; donne e uomini coraggiosi, eroi di un risorgimento d'Italia lungo un secolo dall'Unità fino alla vittoria sul nazifascismo. E, ancora, storie di donne e uomini partecipi della grande stagione conciliare.

Su questo, la galleria di opere in costruzione è rivelatrice di una sempre insorgente tensione morale del loro autore, di una presa di coscienza mai allentata, di un insopprimibile desiderio di esserci comunque nella vicenda storica del suo tempo: basterebbe soffermarsi sulle scene della guerra e della lotta partigiana del ciclo che narra la storia di Medicina dagli anni Venti alla fine del conflitto mondiale, e che si conclude con una straordinaria allegoria del male, dalle sembianze di belva feroce che però viene vinta dall'uomo giusto, e con una declamata esortazione all'unità dei lavoratori.

Orrori di guerra ed episodi resistenziali erano anche presenti nell'ancor più ampia pittura sulla storia del movimento operaio iniziata da Borgonzoni nell'estate del '50 all'interno della Casa del Popolo di Vignola. Si guardano vecchie fotografie in questo caso, perché quell'opera più non esiste, andata distrutta appena sette anni dopo la sua realizzazione, con la trasformazione della "Sala Gramsci" in balera.

Cento metri quadrati di pittura (pittura che aveva fatto notizia in Italia come una delle ultime grandi imprese figurative) finiti in briciole e polvere: una perdita gravissima, inaudito episodio per troppo tempo "silenziato" e sul quale si dovrà far luce, mentre ancora si odono le parole risentite di un Borgonzoni rattristato e rassegnato, lui che nel far quell'opera tanto complessa aveva vestito volentieri la tuta dell'operaio-pittore: "ma come in molte storie felici, sette anni dopo arrivò la bufera, e la parete dipinta fu demolita in una notte, come se il terremoto avesse scosso le fondamenta della Casa Antonio Gramsci. L'atto fu reso possibile da un ignoto, forse da un burocrate, da un dirigente che ha macchiato, distruggendo un documento con un gesto, un brano della nostra storia, che come tale doveva essere patrimonio della collettività di Vignola. Chiudo, perché l'amarezza mi accompagna".

Eppure, quale accoglienza aveva ricevuto Aldo Borgonzoni da parte della comunità vignolese, stando anche alla testimonianza autorevole di Mario De Micheli pubblicata sull'"Unità (Le tempere murali della Casa Gramsci) del 30 agosto 1950: "A Vignola lo conoscono tutti. Per la strada molti lo salutano e gli chiedono come vanno le sue pitture. Verso sera poi il salone si anima di visitatori. Sono i contadini e gli operai che, finita la giornata di fatica, vanno a trovare il 'loro' pittore. Essi guardano la parete coperta di figure e di colori e parlano con Borgonzoni, esprimono il loro parere, discorrono con calma, domandano spiegazioni. E Borgonzoni risponde: è felice di questo dialogo così ricco di insegnamenti. Ogni parola, ogni gesto acquista un sapore naturale, spontaneo. L'artista ritorna uomo in mezzo agli uomini, preoccupato delle loro passioni e delle loro ragioni".

Di quell'opera, come si diceva, restano solo vecchie fotografie (ma anche alcuni bozzetti originali): vi si vedevano Antonio Gramsci tra gli operai torinesi durante la rivolta del 1911, e poi nella sua cella carceraria; misfatti delle camicie nere, vittime dei bombardamenti; momenti di lotta partigiana e rappresaglie dei nazifascisti; e a seguire, nella fascia inferiore, scene di insurrezione popolare e dell'occupazione delle terre incolte. Infine, la più festosa e partecipata delle marce per la Pace.

Chiaramente, si dovrà ritornare sullo stile di un Borgonzoni artista che a Medicina e a Vignola straordinariamente si sovrappone allo stile di Borgonzoni uomo; come pure sul suo modo di vivere la grande stagione del realismo, che ha segnato la vicenda figurativa italiana di metà Novecento, poiché la prospettiva di lotta per l'arte che Renato Guttuso andava allora postulando fu affrontata da Borgonzoni e da altri coetanei bolognesi e della Romagna con spirito militante, ma libero (si pensi al ravennate Ruffini e al cenacolo dei cesenati di Sughi, Cappelli e Caldari).

E ritornerà qui, ancora una volta irrinunciabile, il suggerimento raimondiano a "rileggere" quello specialissimo tempo che fu di illusioni ideologiche e di certezze esibite dalla retorica della cultura nazionale popolare, e nel quale Borgonzoni e altri seppero intuire che una moderna pittura realistica non poteva che fondarsi su una nuova coscienza morale dell'esistente, nel quale l'arte non poteva che compromettersi intimamente con la vita, per essere vera arte.

La vita e l'arte, appunto. A Borgonzoni scriveva Francesco Arcangeli nel 1972, in occasione di una sua mostra romana: "Caro Aldo, man mano che la vita passa apprezzo sempre più te e la tua pittura. Ti vedo definitivamente in forma; proteso, alla tua età non più fresca, verso un futuro in cui ci sorprenderai tante volte. Siamo, tu e io, per la libera sinistra, non per la sinistra dei miliardari e dei profittatori. E chissà che il maggio, speriamo, non ci dia qualche soddisfazione. Quanto alla tua pittura, ho creduto a lungo che le tue doti vere fossero soltanto quelle d'un illustratore; ed è un giudizio che oggi non disconosco, ma solo se illustrazione vuol dire libero aggancio dell'animo con l'infinito, polivalente racconto che è la vita".

E in effetti, sarà poi il percorso artistico individuale di Borgonzoni (al pari di altri suoi coetanei realisti) a dimostrare che da un comune sentire e dal vivere intimamente la realtà si era andata alimentando una nuova figurazione, una nuova espressività nutrita di esistenza e di sentimento. Ecco perché questo centenario racconta dell'artista medicinese una storia "che resiste", che ancora continua, e ancora si rinnova. Pochi anni prima della scomparsa, su una sua composizione pittorica, Borgonzoni aveva pennellato la scritta Guerra uguale a morte: un manifesto, un monito per tutti noi.


Note

(1) E. Raimondi, Forma come esistenza, in Borgonzoni. Concilio Vaticano Secondo, catalogo della mostra (Bologna, Aula Magna di Santa Lucia, 28 maggio - 26 giugno 1994), Bologna, Calderini, p. 122.

(2) O. Piraccini, Presentazione, in I maestri dell'arte italiana a Villa Franceschi. Aldo Borgonzoni. Testimone del Tempo. Opere dagli anni Trenta al Duemila, a cura di C. Spadoni, catalogo della mostra (Riccione, Galleria comunale d'arte moderna Villa Franceschi, 27 giugno - 31 agosto 2009), Ozzano Emilia (Bologna), Fa&Ba, 2009, p. 6.

(3) F. Solmi, Il socialismo romantico nelle opere di Aldo Borgonzoni, catalogo della mostra (Rocca di Dozza, 8-22 settembre 1985), Dozza (Bologna), Edizione d'Arte "La Rocca", 1985, p. 5.

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