Rivista "IBC" XXI, 2013, 1
musei e beni culturali / convegni e seminari, linguaggi, didattica, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Da qualche tempo il dialetto bolognese gode di un'attenzione rinnovata da parte della popolazione cittadina e di un interessante numero di cultori, diversi tra loro per estrazione sociale, profilo culturale e interessi. Dopo anni di politiche tese a emarginare il dialetto e a relegarlo in una dimensione eminentemente familiare e sempre più asfittica, assistiamo a un'attenzione crescente verso il linguaggio che per secoli, dal Basso Medioevo sino ai primi decenni del Novecento, ha rappresentato non soltanto lo strumento comunicativo dei cittadini felsinei, ma anche l'espressione più piena della loro identità, la cornice dei loro valori e punti di riferimento.
Oggi questo tema rivela un'insospettata vitalità anche nel confronto tra chi desidera indagare il percorso storico del vernacolo e la sua evoluzione letteraria, e chi invece desidera viverlo qui e ora, nella faticosa ma ripagante complessità del quotidiano. Certo, è possibile ritrovare ragioni favorevoli e contrarie presso entrambe le posizioni, ma chi scrive propende per un'assunzione ampia del dialetto nella vita di ogni giorno, per una sua presenza pervasiva che possa affiancare l'italiano e avvicendarsi con esso in tutti i contesti comunicativi. La scuola rappresenta l'agenzia formativa per eccellenza e sarebbe opportuno affiancare questa materia alle altre: ormai la fase dell'apprendimento spontaneo è tramontata, ma non per questo va proclamata la resa senza ricercare concreti rimedi, come questo.
In queste pagine vorremmo soffermarci su alcune delle persone e delle istituzioni che negli ultimi decenni hanno cercato di rivitalizzare il dialetto soprattutto vivendolo in prima persona negli ambienti più disparati (dalla famiglia al teatro, dalla piazza al palcoscenico televisivo) e poi invitando gli altri a condividere tale passione. La nostra trattazione non sarà certo né esaustiva né definitiva, semplicemente si propone di seguire alcune esperienze passate e presenti ritenute significative, e perciò vogliamo ringraziare Aldo Jani Noè e Gabriella Gallerani, fondatori del club "Il Diapason", e Roberto Serra, "avvocato del dialetto", per le informazioni preziose che ci hanno fornito.
Prima degli anni Sessanta, si parlava dialetto nelle vie, non si avvertiva ancora la necessità di salvaguardarlo da quella fase di declino che oggi ha invece assunto livelli preoccupanti. Poi l'uso del dialetto è calato sempre più e molte persone, tra cui Luigi Lepri e Fausto Carpani (dei quali diremo), presero atto della situazione e, in base alle proprie forze, idee e disponibilità di tempo, cercarono di riportarlo per le strade e le piazze.
Fu così che, nell'ultimo ventennio del secolo scorso, il dialetto a Bologna mostrò alcuni bagliori di rinascita. Poco prima della metà degli anni Ottanta, Aldo Jani Noè, allora presidente della commissione cultura al Quartiere Malpighi del Comune di Bologna, organizzò alcune serate di musica coinvolgendo giovani in esibizioni che spaziavano dall'ambito rinascimentale a quello jazzistico, con un più che lusinghiero successo di pubblico. Ben presto la passione per la musica, concepita entro l'intera gamma delle sue declinazioni, attrasse nella propria orbita l'emblema della "bolognesità": il dialetto locale.
Jani Noè, scrittore di canzoni in dialetto bolognese, pensò bene di appurare, tramite un annuncio sul "Resto del Carlino", quanti concittadini condividessero il suo talento creativo. L'invito a presentare canzoni originali ricevette riscontri di gran lunga superiori alle attese: in collaborazione con il Comune, nel 1986, al cinema Bellinzona venne organizzata una serata intitolata As canta anc a Bulåggna. Sull'onda dell'interesse dimostrato per l'iniziativa, l'assessore comunale alla cultura, Nicola Sinisi, propose di organizzare un festival della canzone in dialetto bolognese per l'anno seguente.
Il 14 agosto del 1987, dunque, in Piazza Maggiore si ebbe la prima edizione di questo festival. Tanto numeroso fu il pubblico presente che si optò per una sua riproposizione l'anno successivo, e poi anche per quello seguente. Ogni anno giungeva alla commissione esaminatrice poco meno di un centinaio di canzoni. Uno dei criteri di valutazione prevedeva di privilegiare le opere in cui la traccia del revival nostalgico dei tempi andati fosse assente, o quantomeno avesse una rilevanza minima. Membri della commissione erano, oltre a Jani Noè, Giorgio Vacchi (etnomusicologo e fondatore, nel 1947, del coro "Stelutis"), Roberto Leydi (docente di etnomusicologia al DAMS), Fabio Foresti (docente di dialettologia all'Università di Bologna), Annibale Modoni (musicista), Marco Guidi (giornalista), Luigi Lepri e i cantanti Francesco Guccini e Andrea Mingardi. Venivano eseguite dodici canzoni selezionate per ogni singola edizione del festival. C'era anche una non trascurabile copertura televisiva dell'evento, grazie a servizi di RaiUno che precedevano il telegiornale serale. Dalla prima e dalla seconda edizione nacquero anche due compilation in 33 giri.
Nel 1988, come ci ha raccontato Jani Noè, "nacque la stella Carpani", il più importante cantante in dialetto bolognese dei nostri tempi. Quell'anno Carpani vinse la seconda edizione del festival con Lucàtt Blues (divise il gradino più alto con L'aventûra di Cesare Manservisi). L'anno seguente vinse di nuovo con Prè ed Cavrèra. Ma, dopo quella terza edizione, non fu più possibile organizzarne altre.
Tra i cultori del bolognese c'era anche Luigi Lepri, a quel tempo "segretario particolare" del sindaco, oggi autore della rubrica Dî bän só fantèsma su "Repubblica". Ancora oggi il club "Il Diapason" condivide con Lepri una visione del dialetto come patrimonio culturale della cittadinanza. Secondo questa visione, il dialetto può continuare a svolgere una imprescindibile funzione, al contempo comunicativa e formativa, secondo le cadenze della quotidianità, e solo in questo modo può continuare a vivere, a rinnovare le sue ragioni. La sua rinascita può avvenire solo nel seno della comunità, mettendosi di nuovo al suo servizio, per ricevere da essa nuova linfa, nuovi territori in cui sperimentarsi, con l'ambizione di coprire tutti gli ambiti espressivi conquistati dall'italiano.
Dialetto e lingua nazionale non si muoverebbero, dunque, su aree complementari bensì quasi del tutto coincidenti. Ben vengano quindi i neologismi in dialetto! Per Lepri e per i membri del "Diapason" il dialetto "è sempre in trasformazione", è un organismo vivente e, in confronto all'italiano, è più incisivo e immediato. Non ritengono che la storia abbia destinato il dialetto a un ruolo subalterno alla lingua istituzionalmente riconosciuta, che esso possa trovare uno spazio adeguato esclusivamente in contesti orali e che debba essere oggetto solo di studio scientifico, perché avvertono che in questo modo si corre il rischio di sclerotizzarlo.
Nel 1990 Jani Noè iniziò a pensare a iniziative che, sulla scia del "Festival della canzone bolognese", tenessero desta l'attenzione sulla parlata locale, per troppo tempo esclusa dai luoghi della comunità. Ipotizzò quindi l'organizzazione di un corso di dialetto bolognese e la stesura di una sorta di baedeker del tipo Il bolognese per chi viaggia e chi lavora: avrebbe dovuto fornire agli stranieri e agli italiani non nativi di Bologna, ma anche agli stessi bolognesi, un piccolo prontuario grammaticale e un succinto vocabolario che aiutassero a orientarsi e a capire meglio la città e il suo vernacolo.
Intanto, anche generazioni più giovani iniziavano a dare il loro contributo al rilancio del bolognese. Negli anni 1999-2000 Daniele Vitali (poliglotta, attualmente impiegato come traduttore a Bruxelles presso la Comunità Europea) fece la conoscenza di Roberto Serra, avvocato persicetano, nel quale riconobbe il medesimo amore per il dialetto. Così iniziò la loro collaborazione nella gestione del sito www.bulgnais.com: ideato e costruito in primis da Vitali, esso si è avvalso del costante aggiornamento da parte di Serra per quanto concerne la sezione dedicata agli spettacoli e, più in generale, agli incontri pubblici.
I due sodali si accorsero che gli strumenti scientifici esistenti per lo studio del dialetto erano ormai datati e andavano profondamente ripensati. Si sentiva soprattutto l'esigenza di una grammatica e di un dizionario moderni: in particolare, non era mai stato pubblicato un dizionario dall'italiano al bolognese. Al 1999 risale dunque la prima edizione Vallardi del dizionario tascabile curato da Lepri e Vitali, il Dizionario italiano-bolognese, bolognese-italiano che da allora a oggi ha richiesto ben nove ristampe.
Poi, nel 2007, presso l'editore Pendragon, è uscito un vocabolario ancora più impegnativo, anch'esso bidirezionale, che nella seconda edizione ha aggiunto il rimario dei lemmi bolognesi organizzato da Amos Lelli, altro appassionato e rigoroso custode del bel petroniano intramurario. Due anni dopo, grazie all'editore Perdisa e alla cura di Daniele Vitali, è stata pubblicata una grammatica moderna e innovativa, non strutturata secondo la classica ripartizione tra "fonetica-morfologia-sintassi-lessico", bensì come una serie di lezioni, ciascuna delle quali parte da una situazione verosimile e poi fornisce delucidazioni linguistiche e culturali a corredo. Questi due prodotti editoriali poggiano entrambi su di un ottimo strumento per divulgare o conservare il dialetto bolognese: il cosiddetto sistema "OLM", acronimo di "Ortografia Lessicografica Moderna", concepito nel 1990 dal professor Canepari insieme a Vitali.
Si può ben dire che Luigi Lepri abbia proseguito l'opera di divulgazione della cultura bolognese, non solo vernacolare, inaugurata da Alberto Menarini. A partire dai primi anni Novanta, insieme a Fausto Carpani, Lepri ha proposto innumerevoli serate con musica, letture pubbliche e aneddotica varia, tutte dedicate alla tradizione locale e alla lingua petroniana.
Tra il 1999 e il 2000, ricevendo tante email di giovani desiderosi di apprendere il bolognese, Serra e Vitali iniziarono a pensare seriamente all'allestimento di un corso. Ne parlarono con Lepri, che diede loro l'idea di rivolgersi a Jani Noè. Quest'ultimo fu ben lieto della proposta e diede un sostanziale contributo alla pianificazione. Risale al 2001 l'inizio della collaborazione tra il club "Il Diapason" e il Teatro Alemanni, già specializzato nelle rappresentazioni dialettali. Il primo corso fu realizzato nel 2002. Gli organizzatori volevano che divenisse un "dialettificio", e in effetti lo diventò.
È interessante notare come negli anni, al corso, si siano accostate persone di altre regioni italiane, che a volte avevano serie difficoltà a interloquire con gli anziani di Bologna, perché questi ultimi tendevano a utilizzare termini totalmente sconosciuti ai primi. Tra i corsisti, per esempio, ci sono stati una ginecologa/guardia medica di origine sarda e un geriatra greco. Ma non si possono non menzionare un ragazzo appartenente alla famiglia regale del Bhutan, due fratelli (maschio e femmina) del Massachusetts e un docente inglese di russo trasferitosi a Bologna!
Ogni lezione del corso di primo livello è suddivisa in una prima parte a carattere didattico e in una seconda di intrattenimento, per non affaticare troppo i presenti, che spesso desiderano semplicemente trascorrere una serata spensierata. Al corso di secondo livello, invece, il docente Roberto Serra tenta un maggiore coinvolgimento degli allievi, senza comunque trascurare i rudimenti grammaticali e l'obiettivo primario: la comunicazione interpersonale.
La tutela e la valorizzazione del dialetto si esplica, oltre che nella canzone e nell'insegnamento, anche in altre forme. Per esempio, la collaborazione tra la Bâla dal bulgnais e il Museo della storia di Bologna si è rivelata molto proficua: oltre alla consulenza per l'allestimento dell'area relativa al dialetto, coordinata da Luigi Lepri, dall'estate 2012 sono state organizzate alcune visite guidate in bolognese, nove conferenze e un'audioguida realizzata appositamente in dialetto.
Cinque anni fa vennero organizzate visite guidate, in dialetto, anche alle Collezioni comunali d'arte presso Palazzo d'Accursio: dopo quelle nelle principali lingue straniere, si tenne il primo tour in bolognese; il museo fu ben contento di assistere a un afflusso di persone davvero cospicuo e per certi versi inatteso: furono quasi duecentocinquanta, tra curiosi e cultori. RaiTre riprese l'evento. Dopo di allora, sono state compiute altre visite guidate, sempre a opera di Roberto Serra: tra le altre, al Museo internazionale e biblioteca della musica e al Museo del Risorgimento per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
A Bologna, oltre al club "Il Diapason", tra le organizzazioni che contribuiscono attivamente alla tutela e al rilancio del dialetto desideriamo ricordare la già citata Bâla dal Bulgnais (un gruppo di amici che coltivano la comune passione, tra cui appunto Fausto Carpani, Aldo Jani, Luigi Lepri, Roberto Serra, Daniele Vitali, Amos Lelli e Claudio Mazzanti, autore dei primi due cartoons in dialetto bolognese: Pizunèra e Pizunèra 2) e l'associazione "Ponte della Bionda", fondata da Carpani con sede fuori Corticella. Contiamo di occuparci prossimamente di queste organizzazioni, con l'intento di fornire un quadro più dettagliato delle iniziative che la città di Bologna dedica al proprio vernacolo.
Concludiamo questa breve rassegna rivolgendo un sentito augurio a questo manipolo di studiosi e appassionati, perché possa allargarsi sempre di più e offrire nuove prospettive al nòster dialàtt.
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