Rivista "IBC" XXI, 2013, 1
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, itinerari, pubblicazioni
Il n. 1-2013 di "IBC" propone una piccola selezione del vasto fondo che raccoglie le fotografie di Marco Pesaresi conservate dall'Istituzione Cultura Savignano di Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena). Ringraziamo Giuseppe Pazzaglia per la preziosa collaborazione nella ricerca d'archivio e nella contestualizzazione delle immagini.
Marco Pesaresi era nato a Rimini nel 1964, dove è mancato in circostanze tragiche nel dicembre 2001, dopo aver attraversato il mondo. La sua carriera di fotografo professionista, a seguito della frequentazione a Milano dell'Istituto europeo di design, era iniziata nel 1990 con l'ingresso nell'agenzia Contrasto, dove si è occupato di aspetti sociali difficili e complessi, come l'emarginazione, la droga, l'emigrazione, la prostituzione.1 Lo conoscevamo e lo vedevamo, fra un viaggio e l'altro, fra una pausa e l'altra del suo lavoro, nella cerchia di quei fotografi con cui si era dato vita al progetto di "Portfolio in Piazza", che si sarebbe poi evoluto in quello di "Savignano Immagini" e del festival di fotografia.
Dal 2002, dodicesima edizione del festival, il premio - borsa di studio "Marco Pesaresi", promosso dal Comune di Savignano sul Rubicone, dall'agenzia Contrasto e dai familiari a pochi mesi dalla scomparsa, è stato un modo di continuare a farlo vivere attraverso i progetti di giovani fotoreporter: ai book annualmente selezionati da una giuria specializzata viene attribuita una somma di 5000 euro con l'intento di proseguire e sviluppare un progetto di reportage. Quindici i premi conferiti in undici edizioni, a cui hanno concorso e che si sono aggiudicati - per fare qualche nome senza far torto ad alcuno - autori di spessore internazionale come Alex Majoli e Paolo Pellegrin, oggi rispettivamente presidente e membro di Magnum, esclusiva e autorevole agenzia fotografica a livello mondiale.2
Marco continua a vivere nell'iniziativa inesausta della mamma Isa, dell'agenzia Contrasto che detiene i numerosi reportage realizzati in varie parti del mondo, nell'attività di "Savignano Immagini", che nel proprio archivio di fotografia d'autore conserva oltre settantamila suoi documenti tra negativi, diapositive, provini, stampe. Ci ha lasciato un grande patrimonio di immagini in cui si riflette quasi tutta la sua vita, e poco altro di sé, se non poesie, annotazioni e brani di racconti di viaggio contenuti in un paio di agende.
"Più soffro e più mi affanno nella ricerca della poesia, più sento che dentro di me vivo situazioni difficili, più il mio sguardo si addolcisce e più cerca la serenità e l'armonia dell'immagine. E qualche volta la trova". Che cosa unisce l'insaziabile e dolorosa ricerca del viandante della fotografia ai ritorni malinconici alla sua terra, alla sua città, al suo mare, in un percorso parallelo, intimo e riservato, schivo e complice al tempo stesso, di situazioni colte e restituite con un significato sempre profondo e partecipato?
La sua fotografia racconta circostanze estreme da un capo all'altro del mondo, fra gente e genti diverse, il cui esito esemplare è raccolto nel libro che lo ha consacrato alla fama internazionale: Underground è un reportage realizzato nelle metropolitane di dieci delle più grandi città del mondo, pubblicato in America da Aperture e in Italia da Contrasto nel 1998.3 Un viaggio durato due anni di infinite ore vissute nel sottosuolo, a contatto con una umanità fatta per molta parte di emarginati, di reietti, di disperati, di deformi, di gente perduta e senza speranza, attraverso la quale Marco dava "forma ai suoi demoni, andandogli incontro e guardandoli in faccia" (Renata Ferri). Immagini rapide, colori forti, ritmo vorticoso e straordinariamente moderno per raccontare dieci storie del sottosuolo che gli avevano procurato la celebrità e insinuato una sofferenza interiore tremenda, perdurante e irreversibile, non solo per ciò che aveva visto e subìto fisicamente, ma perché in qualche modo tutto il peso di quella umanità dolente gli era entrato dentro per non lasciarlo più. Dopo Underground "tutto sembrava niente", come se quel viaggio gli avesse contato come mille vite.
E invece il viaggio era continuato, alla ricerca di storie e avventure nuove. Come Transiberiana, o come il grande reportage fra Stati Uniti, Giappone e Russia sui Megastore che si ergevano come giganti nei paesi trainanti così come in quelli emergenti. Era penetrato nel tessuto sociale lacerato e contraddittorio della Berlino del dopo Muro, delle case occupate e della creatività artistica giovanile, negli anfratti di colossi decadenti come la Roma di Cinecittà. Era andato e ritornato più volte a catturare realtà e dimensioni sfuggenti che lo affascinavano, da Londra a New York, da Calcutta ad Amsterdam, seguendo anche percorsi marginali e inusuali come il tragitto del Po, i parchi acquatici, le Cinque Terre, o indagando macro e microcosmi come i raduni alpini, la solitudine degli anziani, il piccolo borgo di Cetona. Tutti percorsi intrapresi e incompiuti, uno dei più affascinanti e intriganti quello sul mondo notturno riminese. Marco "non era un fotografo adatto ai lavori su commissione" (Roberto Koch) e, malgrado l'universo che gli si era aperto con Underground, aveva bisogno di seguire un istinto naturale, di assecondare motivazioni intrinseche e profonde.
Ho visto per la prima volta le immagini di Rimini nel 1998, o più probabilmente nel 1999, durante una delle migliori stagioni della fotografia a Savignano, quando Marco Pesaresi era venuto a sottoporre il suo book ancora in progress a Mario Cresci, allora nostro compagno di viaggio nel percorso di "Savignano Immagini" e direttore artistico di "Portfolio in Piazza". Non entravo nel merito di valutazioni, anche se di progetti e di portfolio mi ero abituata a vederne tanti, e mentre Marco sfogliava le sue stampe in bianco e nero rigorose e perfette in un gruppo silenzioso e raccolto sono rimasta folgorata da quelle immagini. Immagini che nel 2003 sarebbero diventate il suo secondo e ultimo libro cult, edito da Contrasto un anno e mezzo dopo la sua morte.4
Ero rimasta folgorata perché nelle sequenze di Rimini gli aspri e complicati aspetti della marginalità, della droga, della prostituzione, della pornografia affioravano delicatamente, non con la drammaticità di altri reportage realizzati nelle tante circostanze estreme con cui si era confrontato e che aveva frequentato. C'era il mondo globale della vita notturna giovanile, dei locali e delle discoteche, colti nel periodo della consacrazione di Rimini a capitale di una "movida" ante litteram, all'avanguardia di mode tanto audaci quanto anticipatrici e trasgressive. Una stagione di Rimini caput mundi che conviveva con la periferia e gli echi folkloristici delle balere ruspanti, del ballo di coppia, degli ultimi ruggiti del machismo e del gallismo, esautorati dalla ricorrente ostentazione del corpo femminile.
Nulla di pornografico in quelle sfilate di fondoschiena emergenti da torsi insaccati, di seni pesanti di anonime incappucciate, nell'esibizione di membri virili, di prostitute, di gay e di trans che popolavano strade, feste e locali. Quelli che trasparivano erano ritratti di malinconia e solitudine interiore, di riti collettivi lontani da valori condivisi e comunitari eppure carichi di una valenza estrema e iniziatica. A Renata Ferri, sua collega nell'agenzia Contrasto, Marco era sembrato il fotografo giusto per un lavoro sul porno allora dilagante, nei siti e nel business. Lui ci aveva provato con una missione a Budapest e aveva dovuto rinunciare, disgustato dalla dissolutezza di potere e di denaro che alimentava quel mondo.
Non c'è pornografia nelle sue immagini di una Rimini pur dissoluta e perversa; c'è piuttosto l'anima nera, notturna, oscura di una città suo malgrado metropolitana, in cui universi licenziosi e appariscenti convivono con le atmosfere pacate del mare d'inverno, di luminose feste di borgata, di una linea di costa che non ha ancora tagliato il cordone ombelicale con il territorio rurale che ne ha alimentato lo sviluppo, di un entroterra gravitante sull'universo balneare ma ancora legato a una fisionomia contadina. Il volto di quella Rimini che era la sua città e che aveva ritratto e interpretato, quella Rimini dell'ostentazione, della trasgressione, dell'esclusività e del sorprendente a tutti i costi, gli apparteneva di meno.
"La mia fotografia nasce da tradizioni contadine e si accompagna alla poesia del mare d'inverno. Io amo questa terra, la amo con tutto il cuore, mi piace questa terra perché muta in continuazione, nulla è mai uguale all'anno precedente, tutto è in evoluzione continua. I miei occhi, la mia persona sono eccitati dalla sinuosità, dalla dolcezza e dal vissuto: nell'istantanea ci sono queste condizioni, ci sono questi attimi che convergono e tu li fermi". C'è un altro grande progetto incompiuto di Marco, un progetto che, a differenza di altri, avrebbe voluto realizzare; lo chiamava "cultura popolare". Non ne aveva parlato con nessuno, non ha lasciato un appunto, una traccia, ma su molte custodie delle strisce di negativi compare questa dicitura.
Sono migliaia di negativi che ritraggono un paesaggio romagnolo variegato, trapuntato e scandito da avvicendamenti stagionali, calendari festivi, ritmi pacati e lenti, dove riti e comportamenti antichi (l'uccisione del maiale, il barco eretto a fine trebbiatura) si affiancano a consuetudini e appuntamenti collettivi di una tradizione più recente (feste dell'Unità, ballo liscio, fiere e sagre popolari) e dove il mare rappresenta uno scenario e un riferimento costante, anche per quegli aspetti tradizionali, poi banalizzati dalla propensione turistica, più connotati in alcune realtà dell'entroterra. È il caso della "cuccagna" di Cesenatico, che si svolge in estate lungo il portocanale, sullo sfondo del Museo della marineria all'aperto; è il caso dei falò di San Giuseppe, gli antichi lom a merz che si accendevano nelle campagne in coincidenza con il passaggio stagionale, arcaici segnali di comunicazione nelle campagne che più di recente si sono traferiti a illuminare il litorale costiero.
Accanto a queste, le feste recenti, reinventate o inventate. Come "Gradisca", la lunga tavolata che univa in un'unica spiaggia il litorale della costa romagnola, con le "rustide" di pesce sul porto. O le feste di borghi marinari come la "Borgata che danza", dedicata alla musica popolare, che da oltre vent'anni ha luogo a Bellaria, durante la quale gruppi di suonatori provenienti da varie parti d'Italia si incontrano e si avvicendano nelle strade e nelle osterie del vecchio borgo marinaro. O come la "Festa de Borg", che si svolge da quasi vent'anni nel borgo più antico, popolare e marinaro per eccellenza di Rimini, San Giuliano.
Se considerato nella sua qualità di progetto in nuce, il repertorio variegato e apparentemente occasionale di questi reportage e di queste sequenze fotografiche risulta invece coerente con una tradizione popolare romagnola attraversata più di altre da innovazioni e mutamenti. Un repertorio in cui, non a caso, spiccano alcuni eventi rituali che, se non tipicamente romagnoli, sono da tempo connotati come tali dalle comunità locali e che sussistono tuttora, in una dimensione comunitaria, celebrativa e ideale profondamente cambiata.
Rito di interpretazione complessa, il Carnevale di Cerreto di Saludecio, nella Valconca, è stato scoperto e studiato a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, e si presenta ricco di riferimenti arcaici nonostante il periodo di interruzione nel secondo dopoguerra. Elementi e personaggi identificanti di questo carnevale sono le buffonate, le storie, la Vecchia, i Nirèt, il Pagliaccio, l'Uomo coperto di foglie.
La Pasquella è un rituale che si svolge nel periodo dell'Epifania in molte località dell'Italia settentrionale e centrale. Molto diffuso in Romagna, consiste in un canto di questua in cui i pasquaroli si recano di casa in casa a portare l'augurio di buon anno, ricevendo in cambio offerte di beni alimentari. I "pasquaroli" sono accompagnati e preceduti dalla coppia mascherata del Vecchio e della Vecchia, tipiche figure carnevalesche.
La processione del Venerdì santo a Montefiore Conca, piccolo borgo di confine tra Romagna e Marche, è una sacra rappresentazione di tradizione secolare. Intimamente legata alla comunità locale, rappresenta quasi un'anomalia in una Romagna, più che antireligiosa, anticattolica, e, se ha certo qualcosa da invidiare ad analoghe rappresentazioni del Sud-Italia, conserva come un gioiello una liturgia che ha mantenuto molti elementi della tradizione pur mutando ruoli e significati sociali originari.
Della Pasquella, del Carnevale di Cerreto e del Venerdì santo di Montefiore Conca si sono occupati ricercatori e antropologi locali, ne esistono documentazioni orali, musicali, filmate e visive realizzate anche da fotografi professionisti, in una stagione in cui la fenomenologia popolare destava un interesse e un fermento che ora sono un labile ricordo anche per chi li ha vissuti.5
Di questa fervida stagione ci rimangono molte testimonianze, di documentazione e d'autore, e non pochi grandi fotografi hanno ritratto espressioni di ritualità popolare pur se in margine alla loro attività prevalente. Impossibile che Marco ignorasse le splendide immagini di Ferdinando Scianna, che proprio alla sua interpretazione delle feste siciliane deve il suo ingresso quale primo italiano nell'agenzia Magnum; improbabile che non conoscesse le immagini realizzate rispettivamente per la Campania, la Puglia e la Basilicata da Franco Pinna, Ando Gilardi, Mimmo Jodice, Mario Cresci; forse è meno facile che avesse visto quelle di Marialba Russo, di Francesco Faeta, di Lello Mazzacane, di Annabella Rossi.
Dubito che Marco Pesaresi avesse conoscenze di antropologia e delle dinamiche delle espressioni di ritualità popolare che fotografava, così come accade per la ridda di fotografi di strada o della domenica che da sempre le hanno prese d'assalto. Marco però era un professionista di genio e di talento, appassionato della sua terra, che senza saperlo e senza volerlo aveva lo sguardo dell'antropologo. Non sappiamo che cosa volesse fare, quale fosse la sua idea di cultura popolare, quale fosse la percezione di quella Romagna che aveva nel cuore; può darsi che intravedesse in questa scelta una alternativa al suo disagio o anche un ulteriore modo di essere sempre dalla parte della marginalità, dell'esclusione, in ogni caso dalla parte di un mondo non emergente e non protagonista. Da queste foto ci separano ormai vent'anni, vent'anni che sembrano una voragine e una distanza enormi. Forse vale la pena di ripensarci.
Note
(1) Fotografie e reportage di Marco Pesaresi sono apparsi più volte su testate internazionali come "L'Espresso", "Panorama", "Geo", "Sette", "El Pais", "The Observer", "The Indipendent".
(2) Le mostre relative al premio - borsa di studio "Marco Pesaresi" sono documentate, dal 2006, nei cataloghi annuali editi in occasione di "Portfolio in Piazza - Festivalfoto" e di "SI FEST - Savignano Immagini Festival". In occasione del decimo anniversario della scomparsa del fotografo e dell'istituzione del premio, il "SI FEST" ha presentato il volume: M. Pesaresi, Qui e altrove, presentazione di R. Koch, Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena) - Verucchio (Rimini), Savignano Immagini - Pazzini Editore, 2011.
(3) M. Pesaresi, Underground. Un viaggio metropolitano, introduzione di F. Ford Coppola, Roma, Contrasto, 1998.
(4) M. Pesaresi, Rimini, Roma, Contrasto, 2003.
(5) Per approfondire si segnalano, tra gli altri contributi: M. Carli, Siamo qua da voi signori. La pasquella nel territorio cervese, contributi di E. Baldini e A. Sistri, Ravenna, Longo, 1996; G. Zaffagnini, Siamo qua con canti e suoni. I rituali dell'Epifania e di Calendimaggio in Romagna, introduzione di C. Ghirardini, Ravenna, Longo, 2010; A. Sistri, Strutture di festa, carnevale e cultura carnevalesca a Cerreto di Saludecio, "Romagna arte e storia", IV, 1984, 10, pp. 75-94; G. Granaroli, Processioni e sacre rappresentazioni, San Marino, AIEP, 2002 ("Archivio della memoria", 3); La processione del Venerdì santo a Montefiore Conca, Rimini, Raffaelli, 2009.
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