Rivista "IBC" XIX, 2011, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, storie e personaggi

A Savignano sul Rubicone la fotografia lascia spazio alle persone. Per comunicare il loro lavoro, raccontarne la storia, lasciarne testimonianza e sorprenderle mentre guardano il proprio futuro.
Censimento per immagini

Paola Sobrero
[direttrice dell'Istituzione Cultura Savignano, Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena)]

Forte di una storia ventennale, il progetto "Savignano Immagini" (www.savignanoimmagini.it) fa il punto sull'ingente patrimonio iconografico accumulato nel tempo. Tra le realizzazioni più preziose ci sono gli esiti di un compito affidato, di volta in volta, a fotografi diversi: lasciare una traccia dei volti e dei luoghi di un paese della Romagna. Il numero 4-2011 di "IBC" documenta una parte di questo straordinario censimento. Ringraziamo Paola Sobrero, direttrice dell'Istituzione Cultura Savignano, e Giuseppe Pazzaglia, che hanno curato la selezione delle immagini.


Il progetto di un censimento in immagini della città di Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena) nasce nel 2007 e si inserisce nella programmazione della XVI edizione del festival fotografico savignanese, allora diventato "SI FEST - Savignano Immagini Festival" e proiettato, con la direzione artistica di Laura Serani, in una dimensione europea e internazionale. Non a caso, mentre da un lato la prospettiva del festival si allargava a un orizzonte più vasto, dall'altro enfatizzava la dimensione dell'identità e del radicamento territoriali, lanciando un progetto a lungo termine - un work in progress per realizzare un vero e proprio catalogo in immagini, non tanto dei luoghi quanto delle persone - e affidandolo alle diverse modalità di rappresentazione estetica di artisti e fotografi di chiara fama.

Il primo a cimentarsi è Malick Sidibé, africano del Mali, vincitore del Leone d'oro alla LII Biennale d'arte di Venezia nel 2007, già insignito nel 2003 del premio "Hasselblad", autore da una vita di specialissimi ritratti in bianco e nero della sua gente, più noto per quelli della gioventù maliana degli anni Sessanta, da cui emerge l'aspirazione a emanciparsi e a emulare le mode dell'Occidente. "Scoperto" da non più di un quindicennio, il fotografo africano, considerato oggi uno dei più grandi ritrattisti, ha iniziato a scattare alla metà degli anni Cinquanta, conservando tutti i negativi di una storia percorsa attraverso i volti e gli sguardi dei suoi concittadini. Ricreando a Savignano il suo celebre studio di Bamako, Sidibé ha lanciato il censimento in immagini ritraendo per giorni, rigorosamente con negativi 6x6, i savignanesi che si mescolavano alla "tribù" del festival; sempre con il suo stile esemplare, attento ai particolari e alla composizione grafica, unito a una spontanea empatia e a un'ineguagliabile delicatezza nei confronti dei soggetti fotografati.

Non c'è nulla di originale né di nuovo in questo progetto di censimento che volutamente richiama un concetto di classificazione e di repertoriazione, sottintendendo comunque la rilevanza, la qualità e le diversità stilistiche apportate dai fotografi prescelti. Senza addentrarci nella citazione di antesignani famosi di imprese analoghe, tra cui basterebbe citare August Sander e Diane Arbus, Walker Evans e Duane Michals, esempi più o meno illustri scandiscono la storia della fotografia, che dalle origini si impone come il mezzo destinato per eccellenza a predisporre e generare quella testimonianza individuale e soggettiva da sempre perseguita dal genere umano come un bisogno ancestrale. Un bisogno che traduce il desiderio e la necessità di lasciare una traccia della propria esistenza. Ma anche l'aspirazione a possedere sé stessi e la propria immagine tramite un oggetto tangibile, capace di evocare la materialità del soggetto in quel qui e ora.

Già alla fine del XIX secolo, i ritratti presso le botteghe e gli studi di fotografi ancora pittori erano talmente diffusi da innescare un fenomeno quasi di massa, che poi a sua volta ha dato luogo al recupero di collezioni locali, alla valorizzazione di fondi, a pubblicazioni a volte ibride ed eterogenee che hanno preso in considerazione le fotografie essenzialmente come documenti, testimonianze di valore antropologico e sociale in cui ogni collettività, ogni dimensione comunitaria e civile ha ambìto a racchiudere e ripercorrere le proprie vicende, mediante l'impatto e la suggestione che le immagini suscitano e trasmettono.

Una tendenza, questa, confermata dai mostri sacri della fotografia, dai reportage e dalle campagne dei fotografi di nuova generazione, dai progetti didattici promossi negli ambiti universitari e delle scuole specializzate: solo per fare qualche citazione, più o meno datata, "La famiglia italiana in 100 anni di fotografia", "Formato famiglia", "Ritratti. Cento anni di famiglie italiane", e poi il vasto archivio di immagini di famiglia creato nell'ambito del corso di laurea su Culture e tecniche della moda dell'Università di Bologna (sede di Rimini), sino al più recente archivio in progress di "Razza Umana / Italia" realizzato dai giovani dell'agenzia di comunicazione "La sterpaia" diretta da Oliviero Toscani, che da Aosta a Salemi hanno raccolto migliaia di ritratti fotografici e di interviste degli italiani di adesso.

Chissà perché, in questo mondo di immagini che invade la nostra quotidianità, nell'universo globalizzato che ci ha abituato a una percezione anestetizzata e superficiale, così come nell'impero onnivoro del digitale, in cui tutto è a portata di mano e tutto si perde, in cui il tenere e il buttare divengono opzione implicita e istantanea all'atto del fotografare, chissà perché quella duplice, ancestrale aspirazione alla testimonianza e al possesso non si è perduta. Anzi, nel dilagare di soluzioni e di tecniche, e nell'incertezza che ne consegue, l'aspirazione si è forse dilatata alla tentazione di ricercare, fra le tante possibili, una testimonianza di sé "vera", capace di rappresentare e di far scaturire aspetti di interiorità e di rivelazione: una testimonianza da conservare, fra le tante banalità, come una reliquia.

Questa è la percezione che abbiamo riscontrato nell'evoluzione del progetto, proseguito, dopo Malick Sidibé, con Marina Alessi, Mario Cresci, Mario Dondero, Simona Ghizzoni, Franco Vaccari, Silvia Camporesi. Gli splendidi ritratti in bianco e nero di Sidibé che, realizzati durante il festival, alternavano cittadini, visitatori, collaboratori e operatori della manifestazione, hanno scatenato una vera e propria frenesia del possesso, forse dovuta anche alla ritualità di cui il fotografo di Bamako ha ammantato l'esecuzione delle sue immagini.

Da Sidibé, ritrattista per eccellenza, il testimone è passato a Marina Alessi, fotografa di origine romana specializzata nei settori del cinema, del teatro, delle produzioni televisive, della letteratura, nota per i suoi ritratti di scrittrici e artiste effettuati con una speciale tecnica, che utilizza una Polaroid Giant Camera, una macchina fotografica del peso di oltre cento chili, alta un metro e mezzo e lunga due, costruita in pochissimi esemplari al mondo, con cui è possibile realizzare ritratti in formato 50x60 che sono veri e propri pezzi unici. A Savignano, nell'aprile 2008, con un banco ottico 4x5 pollici e pellicola Polaroid 55P, Marina Alessi ha eseguito scatti esclusivamente al femminile, ritraendo, per lo più in gruppo, donne appartenenti al mondo della scuola, della pubblica amministrazione, dell'associazionismo culturale e sportivo.

In concomitanza con il "SI FEST 2008", il lavoro di Mario Cresci, più che noto fotografo e visual designer internazionale, si è strutturato su di una geniale ideazione, che non ha interferito con il festival ma ha scelto di visitare le case dei savignanesi, prescelti secondo un criterio di rappresentatività e di appartenenza sociale. Il progetto "Oltre la soglia" ritrae le persone nelle loro case e nei luoghi di lavoro, mettendo in scena lo spazio in cui i soggetti sono consapevoli di essere fotografati e di cui sono parti integranti, un insieme di segni, cose e oggetti che si rivelano nei volti e nelle posture di coloro che li vivono. I 25 ritratti di famiglia, realizzati da un fotografo distante dal reportage quanto dal ritratto, sono il risultato di uno scenario preparato e costruito, in cui l'immagine del soggetto risulta esaltata dall'inserimento, in fase di postproduzione digitale, in uno schermo bianco.

Il mitico Mario Dondero, uno dei più noti fotoreporter italiani, presente a quella stessa edizione del festival con la mostra allestita in omaggio ai suoi ottant'anni di vita spericolata e agli oltre cinquanta dedicati al fotogiornalismo e alla fotografia sociale, ha a sua volta prodotto per il "SI FEST" la propria interpretazione del "censimento". Solo di recente convertito al digitale, Dondero ha fotografato ancora con pellicola bianco e nero 24x36, catturando con la sua macchina, e la sua altrettanto leggendaria simpatia, singoli e gruppi, conoscenti e sconosciuti, luoghi comuni e aggregativi della città, gente del festival. Sempre seguendo l'indole del suo stile, che ha ritratto nel tempo manifestazioni politiche di ogni genere e luoghi del lavoro e della socialità, eventi collettivi e momenti quotidiani, grandi personaggi e individui comuni.

Con Simona Ghizzoni, reporter reggiana dell'agenzia Contrasto, tornano di nuovo in scena le donne. Autrice di lavori premiati da riscontri internazionali (i reportage sulla città di Sarajevo e sui disturbi dell'alimentazione, le serie di autoritratti basati sullo spazio come percezione soggettiva), con il progetto "Piccole mani" - intrapreso nel marzo 2009, in un momento particolarmente difficile per la vita delle imprese - Ghizzoni realizza singoli ritratti di lavoratrici in ambienti di lavoro di piccole e grandi fabbriche savignanesi legate al mondo della moda.

In concomitanza con il "SI FEST 2009", l'artista modenese Franco Vaccari prosegue il lavoro di censimento con una riproposizione, adattata per l'occasione, dell'intervento "Esposizioni in tempo reale", ideato per la Biennale di Venezia del 1972: una sorta di contaminazione tra fotografia, arte concettuale e performance art, in cui i visitatori divenivano contemporaneamente attori utilizzando la macchina Photomatic. Il progetto "Volti e indizi" rappresenta l'esito dell'invito, rivolto da Vaccari a cittadini e visitatori del festival, a "lasciare un segno del proprio passaggio" autoritraendosi in alcune cabine interattive per la produzione di foto istantanee, predisposte in spazi strategici del centro cittadino.

Nei primi mesi del 2011, Silvia Camporesi, giovane, originale e affermata artista forlivese, realizza con "Sink or float" un progetto dedicato agli adolescenti savignanesi, ritratti immersi nell'acqua o sospesi nell'aria, elementi che connotano la produzione della fotografa esprimendo l'essenza di un'arte leggera, fatta di silenzio e di attesa, di corpi armonici in assenza di gravità, trasfigurati nel simbolo dell'età sospesa, nel limbo acquatico o aereo della fluttuazione.


Senza coltivare presunzioni di novità o di primato, è sembrato naturale e inevitabile che un progetto come quello del censimento in immagini dovesse essere inaugurato in una edizione del festival che per tre anni consecutivi avrebbe dedicato a "Identità e percezioni" la declinazione di percorsi e tematiche. Così come è ovvio che le implicazioni del progetto non possano essere solo fotografiche ed estetiche ma coinvolgano aspetti antropologici, sociali, produttivi, contestuali: tutti quegli aspetti, insomma, che connotano l'identità di un territorio, nelle sue omologazioni e nelle sue peculiarità, nella sua fisionomia contemporanea di realtà aperta, in rete con il mondo, ma anche nella specificità che ne ha delineato la tradizione, la cultura, la storia.

Detto in altri termini, non poteva non entrare nel programma del "Savignano Immagini Festival" un work in progress che si rivolgesse alla città dove per tanti anni la fotografia aveva transitato e sostato, dove aveva diffuso impressioni e suggestioni, entrando anche indirettamente e inconsapevolmente nelle percezioni e nelle aspettative delle persone come un appuntamento periodico e irrinunciabile, conosciuto, compreso, partecipato, vissuto in maniere diverse. Abbiamo avuto la presunzione di immaginare che questa piccola città sia stata forse, negli ultimi 20 anni, la più fotografata d'Italia. Non perché lo sia stata effettivamente, oggettivamente e quantitativamente, ma perché lo è stata costantemente e frequentemente in maniera progettata, consapevole, condivisa, mai strumentale e occasionale.

Il lancio del censimento in immagini è stato preceduto, negli anni, da altri progetti, ricerche, esperienze rivolti alla città e al territorio: un percorso che, insieme a quello sedimentato da 20 anni di festival e di "Savignano Immagini", costituisce oggi un cospicuo patrimonio non solo di fotografia contemporanea, ma di documentazione, di memoria, di socialità, di costume e di vita. È il sorprendente spaccato visivo di una città che in oltre vent'anni, più o meno deliberatamente, ha fatto della fotografia lo strumento primario ed eccellente per comunicare, raccontarsi, lasciare testimonianza di sé, guardare al proprio futuro.

La presenza del circolo fotografico "Cultura e Immagine", che a sua volta ha superato vent'anni di ininterrotta attività, in collaborazione costante con le istituzioni culturali cittadine e in sinergia con i protagonisti e i processi evolutivi del mondo fotografico, ha di fatto creato un punto di osservazione continua sulla realtà locale. Un osservatorio che ha utilizzato occasioni circoscritte e ricorrenti (feste, fiere, anniversari, celebrazioni) per allestire sale di posa, set fotografici, scenari costruiti, in cui la gente è stata ritratta con tecniche e modalità diverse (con la scomparsa della Polaroid e della pellicola, questi documenti diventeranno presto preziosi anche sotto l'aspetto tecnico).

Nel periodo di più intensa collaborazione con Mario Cresci è stato attivato un laboratorio della memoria visiva, da cui è scaturito un progetto di "Archivio del territorio" che ha prodotto una ricca documentazione dell'area del Rubicone. Sotto il profilo più didattico, le relazioni intrecciate con l'École Nationale Supérieure de la Photographie di Arles, l'École d'Arts Appliquées di Vevey e la George Eastman House di New York hanno generato significativi scambi, anche di rispettivi allievi e fotografi. In particolare, il progetto "Learning Through Art / Imparare con l'Arte", nel 1998 ha visto coinvolti "Savignano Immagini" e il Solomon Guggenheim Museum di New York in un lavoro sul territorio che ha avuto come protagonisti alunni delle rispettive classi elementari sotto la guida di fotografi professionisti inviati dalle rispettive località.

Nell'ambito del progetto "Savignano Novecento. Una città si racconta", inaugurato nel 2000 per indagare e documentare la memoria del secolo recente, la campagna fotografica "Grandangoli. Savignano vista dai Savignanesi", ha coinvolto 150 cittadini, impegnati a dare, con le macchine usa e getta, una risposta comune alla domanda: "Quale immagine della tua città vorresti lasciare a coloro che la vivranno tra 100 anni?". Ci auguriamo di non dover aspettare il 2100 per far conoscere gli esiti di questo straordinario lavoro, risultato dell'occhio della mente e dell'occhio del cuore di una collettività che ci ha consegnato la memoria del futuro.

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