Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, progetti e realizzazioni

L'anno internazionale della biodiversità si è concluso, ma l'allarme sulla perdita di questo indispensabile patrimonio rimane altissimo. Anche in Emilia-Romagna.
Capitale naturale

Alessandro Alessandrini
[IBC]
Teresa Tosetti
[IBC]

Gli esseri viventi si distribuiscono nel territorio in funzione delle caratteristiche climatiche, della struttura litologica e morfologica, organizzandosi in forme più o meno complesse e stabili nel tempo: le comunità e gli ecosistemi. Alcuni organismi, come avviene per gli alberi, formano la struttura fisica degli ecosistemi in cui si collocano gli altri esseri viventi alle diverse scale, da quelli di maggiori dimensioni fino agli organismi minuscoli e microscopici. Una parte preziosa e spesso poco apprezzata degli ecosistemi è quella degli organismi decompositori, che attraverso la loro azione riportano la materia vivente allo stato inorganico, chiudendo il ciclo degli elementi e rendendoli nuovamente disponibili per altri esseri viventi.

La biodiversità può essere definita come la varietà degli esseri viventi che popolano la Terra. Può essere percepita e apprezzata a diversi livelli, da quello della genetica fino a quello del paesaggio, inteso come insieme di ecosistemi tra loro in relazione funzionale e spaziale. Questo patrimonio comune, ricchissimo e ancora in gran parte sconosciuto, sostiene l'economia, fornisce molecole preziose per la medicina, è la base per l'alimentazione e per la produzione di materie prime, energia, fibre tessili. Ma questa complessità e questa ricchezza sono messe in pericolo proprio dalle attività dell'uomo, che diventano sempre più invadenti e distruttive.

La consapevolezza di questa crescente minaccia alla biodiversità è una delle motivazioni per cui sono stati ideati e in parte realizzati degli strumenti per tentare di conservarla: leggi di protezione sia a livello locale che nazionale, convenzioni internazionali, aree protette, banche del germoplasma. Tra questi strumenti, uno di quelli fondamentali è la conoscenza, che si realizza attraverso lo studio degli esseri viventi, la creazione e l'implementazione di banche dati, l'individuazione di aree di particolare valore per il loro contenuto. Le aree protette, come quelle della "Rete Natura 2000", sono state individuate proprio grazie alla conoscenza della distribuzione delle specie e degli habitat nel territorio. Si tratta quindi di una conoscenza utile e strumentale rispetto alle scelte di conservazione.

Il valore delle specie e degli ambienti si misura secondo parametri intuitivi-qualitativi, ma anche facilmente quantificabili: la rarità, la fragilità, il grado di minaccia. Il territorio viene valutato, per esempio, in base al contenuto in specie, alla fragilità degli habitat presenti, alla capacità di rappresentare un fenomeno. Tra le specie di particolare valore ci sono gli endemismi, cioè quelle che vivono in un territorio ben caratterizzato e di estensione limitata: alcune aree d'Italia, come le Alpi, le Apuane, l'Appennino centrale, ne sono più ricche. Alcuni ambienti, viceversa, sono particolarmente minacciati dalle attività umane e sono - o, meglio, sarebbero - da proteggere con particolare attenzione: le spiagge e gli apparati dunosi, i fiumi (specialmente nei tratti ancora naturali), le zone umide. Anche le foreste con struttura e composizione naturali o quasi naturali sono ormai rarissime, ma spesso sono anche da tempo conservate come riserve naturali o inserite in parchi nazionali o regionali.

La conoscenza organizzata in modo da permettere valutazioni è anche la base per confrontare le informazioni antiche con la situazione attuale. Per esempio, grazie ai dati che sono stati pubblicati dagli antichi naturalisti, e alle raccolte conservate nelle collezioni museali, è possibile conoscere le modificazioni del territorio e documentare la scomparsa di specie e di ambienti. Restando alla situazione dell'Emilia-Romagna, sono documentate almeno in parte le specie un tempo caratteristiche del Bosco della Saliceta, nella pianura modenese, o nel Bosco di Rubiera, nel Reggiano, boschi poi distrutti; oppure, grazie alla documentazione raccolta dal grande naturalista romagnolo Pietro Zangheri, è possibile quantificare la diminuzione di specie vegetali nel Bosco di Scardavilla o nella Selva di Ladino, nell'alta pianura forlivese.

È con questo spirito che, grazie al lavoro di tanti collaboratori e alle risorse regionali messe a disposizione con il "Fondo conservazione della Natura", è stata ideata ed è in corso di implementazione la banca dati della flora regionale, di cui si è già parlato a suo tempo.1 Grazie a questa banca dati è possibile valutare lo stato delle conoscenze a livello regionale o di singole province, identificare aree poco indagate o aree particolarmente qualificate. In base alle analisi e ai confronti è stato possibile, per esempio, quantificare la perdita di diversità floristica di aree particolarmente critiche della pianura regionale; con riferimento alla Flora del Modenese, recentemente realizzata,2 è stata documentata la perdita di ben 66 specie vegetali dall'intera provincia (in alcuni casi si è trattato di una scomparsa anche per l'intero territorio regionale). È in corso di realizzazione anche la Flora del Ferrarese, mentre è stato recentemente presentato un aggiornamento generale relativo alla Flora del Piacentino.

Altro strumento tipico di conoscenza utile alla conservazione è la redazione di "liste rosse", cioè elenchi di specie in condizioni critiche di conservazione. Le modalità più recenti per l'analisi dei dati, e per valutare se una specie sia o no minacciata, sono basate proprio sul confronto tra dati di presenza storici e dati attuali. Alcune specie un tempo frequenti sono infatti oggi divenute rarissime e rischiano di scomparire. Spesso, e non a caso, sono proprio specie di ambienti rari e minacciati.

Un aspetto poco noto, ma che solleva molte preoccupazioni, è la crescente incidenza di specie esotiche, sia animali che vegetali. Sono specie originarie di terre molto lontane, che arrivano in continuazione secondo le modalità più diverse, ma sempre per mezzo di attività umane. La loro immissione è molto spesso involontaria; ma in alcuni casi si tratta di introduzioni volontarie o accidentali, come nel caso della Nutria o del Gambero della Luisiana, che producono a loro volta modifiche e danni agli ecosistemi acquatici. Recentemente sono stati resi pubblici i risultati di un'analisi svolta a livello nazionale relativa alla componente esotica della flora italiana, analisi a cui ha collaborato anche l'IBC. È risultato che la flora esotica costituisce circa il 13,4% (oltre 1000 specie diverse); tra le regioni con maggior presenza di alloctone c'è l'Emilia-Romagna (12,2%), seconda solo alla Lombardia, dove si raggiunge un'incidenza di quasi il 17%.

Anche nel caso dei vegetali, le specie più dannose sono proprio quelle che entrano in competizione con la flora indigena, spesso occupando ambienti delicati e molto fragili, come le rive di ambienti umidi. È recente l'arrivo della Ludwigia hexapetala, che in pochi anni ha costituito estesissime popolazioni in alcune aree umide di grande importanza come Punte Alberete, nel Ravennate, e le ex vasche dello zuccherificio di Torrile, nel Parmense. Alcuni ambienti, come quelli perifluviali, sono oggi dominati da specie esotiche che ormai strutturano compagini vegetali composte esclusivamente da specie non indigene. Si pensi alle boscaglie riparie del Po, dominate dal Falso Indaco (Amorpha fruticosa) e invase da Sicyos angulatus e da Humulus japonicus. La situazione è meno preoccupante nella fascia collinare e montana, dove sono tuttora estesissime le aree che presentano elevati livelli di complessità ecologica e di diversità.

Le aree protette e la "Rete Natura 2000", oltre a costituire un sistema integrato di gestione conservativa della biodiversità, possono assolvere la funzione di rete di misurazione dei cambiamenti nel tempo del patrimonio biologico regionale. Il primo passo per poter gestire e conservare è infatti conoscere lo stato del patrimonio e tenerne monitorati i cambiamenti.

[Alessandro Alessandrini]


Il 2010, dichiarato dalle Nazioni Unite "anno internazionale della biodiversità", è stato un'occasione per promuovere la protezione della diversità biologica, sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sua importanza e incoraggiare le organizzazioni, le istituzioni, gli individui a intraprendere azioni concrete a livello locale, regionale e internazionale per ridurre la perdita di questo patrimonio.

A distanza di quasi venti anni dall'adozione della convenzione in cui la diversità ecologica veniva riconosciuta come "esigenza comune dell'umanità" e parte integrante dello sviluppo, la comunità internazionale si è fatta sempre più sensibile alla sua conservazione e all'utilizzo durevole delle risorse degli ecosistemi. Tra l'altro, vari studi hanno riconosciuto il valore anche economico degli ecosistemi e della biodiversità, mettendo in evidenza come l'impoverimento dell'ambiente naturale abbia ripercussioni economiche che vengono di gran lunga sottovalutate.

Nonostante i notevoli sforzi compiuti, ci sono tuttavia segnali evidenti che la perdita di biodiversità non è stata arrestata. L'obiettivo del "Countdown 2010" è di fatto fallito e gli esperti ci dicono che l'ammalata gode di pessima salute. Ma noi non sembriamo preoccupati. Il legame che sussiste fra natura, biodiversità e qualità della vita non è conosciuto a sufficienza e di conseguenza non percepiamo adeguatamente la responsabilità che i nostri comportamenti e le decisioni assunte dai diversi attori istituzionali, sociali ed economici hanno nella perdita di questa ricchezza. Così come non siamo pienamente consapevoli dei limiti dell'ingegno umano e della tecnologia, che non possono sostituirsi al sistema naturale di supporto della vita.

I dati relativi a un'indagine condotta nel 2007 dalla Direzione ambiente della Commissione Europea sulla conoscenza, la percezione e gli atteggiamenti degli europei verso la biodiversità, rendono bene l'idea della sottovalutazione in atto. Il sondaggio rivela quanto il termine in questione sia poco conosciuto, quanto sia scarsa la percezione del pericolo e quanto i cittadini ritengano di non essere adeguatamente informati. Sempre secondo l'Eurobarometro, tra gli stati europei l'Italia si colloca all'ultimo posto in questa poco onorevole classifica. E i dati forniti dal Ministero dell'ambiente nel 2006 fanno emergere la stessa scarsa consapevolezza: solo un italiano su due ha sentito parlare di biodiversità e appena il 13% dichiara di sapere qualcosa al riguardo.

È necessario quindi un ulteriore sforzo affinché le informazioni arrivino a un pubblico più ampio, per aumentare tale consapevolezza. Si può iniziare da alcuni dati piuttosto evidenti per comprendere la portata del problema. Il tasso di estinzione è oggi mille volte superiore a quello precedente alla comparsa dell'uomo; un terzo delle forme viventi sul nostro pianeta è a rischio di estinzione; due terzi degli ecosistemi sono in declino. Secondo Edward O. Wilson perdiamo 27.000 specie all'anno, 74 al giorno, 3 all'ora. L'occupazione del suolo è un fenomeno che avanza senza sosta, con un ritmo impressionante: in Italia, dal 1950, abbiamo perso, sotto asfalto e cemento, 3 milioni di ettari di territorio ricco di biodiversità (ogni anno perdiamo 240.000 ettari di territorio sottratto all'ambiente naturale). Il 7% del territorio è artificializzato (cementificato) e si ritiene che in tempi brevi possa arrivare al 10%: molti esperti sostengono che questo sia un valore limite, superato il quale si innescherebbe un processo irreversibile per biodiversità e habitat, ma soprattutto per i servizi naturali fondamentali alla vita sul pianeta, e quindi per l'esistenza della nostra stessa specie.

Molti scienziati ritengono che attualmente sia in corso la sesta estinzione di massa, le cui cause sono di origine antropica. Nel 2000 il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen ha proposto di definire l'era geologica che stiamo vivendo "Antropocene", proprio perché dominata dalla specie umana e dall'intervento umano, il fattore che incide maggiormente sui processi naturali, modificandoli in maniera significativa. È la prima volta che gli equilibri dinamici della Terra sono condizionati dall'uomo. Forse siamo ancora restii a interessarci e a comprendere il reale significato dell'estinzione di tanti animali e vegetali o di alcuni ecosistemi, ma gli esseri umani non hanno ancora raggiunto l'indipendenza dal mondo naturale e la fine delle altre specie e dei servizi ecosistemici da cui dipende il nostro benessere mette in serio pericolo la nostra stessa sopravvivenza.

Le strategie e gli impegni post 2010 dovranno quindi essere maggiormente incisivi: ci aspetta una nuova sfida per la salvaguardia della vita sul pianeta, un ulteriore fallimento sarebbe imperdonabile. Gli obiettivi rimangono quelli della Convenzione sulla biodiversità: la conservazione, l'uso sostenibile, l'accesso e la condivisione dei benefici che questo capitale naturale produce. Il 18 ottobre scorso, a Nagoya, i governi riuniti per la decima conferenza sulla Convenzione per la diversità biologica hanno varato un nuovo piano d'azione globale: "10 anni per salvare la biodiversità". In occasione dell'anno internazionale dedicato al tema, l'Italia ha varato una strategia nazionale, che però necessita di un adeguato impegno economico per avviare le azioni previste.3

Il processo evolutivo è un incessante creazione di diversità, un arricchimento incredibile e sconcertante di informazioni. Il loro mantenimento non può che passare dalla comprensione di quanto valgono. L'intervento dell'uomo deve avvenire quindi con la conoscenza reale dei meccanismi e dei processi biologici fondamentali, e non con presunzione e imprevidenza, ma ponendo attenzione anche alle realtà minori e meno significative, nella consapevolezza che i piccoli sistemi sono sempre in grado di determinare quelli grandi. È una sfida per tutti, e ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte.

[Teresa Tosetti]


Note

(1) A. Alessandrini, La banca delle piante, "IBC", XVI, 2008, 2-3, pp. 36-39.

(2) Flora del Modenese. Censimento, analisi, tutela, a cura di A. Alessandrini, L. Delfini, P. Ferrari, F. Fiandri, M. Gualmini, U. Lodesani e C. Santini, Modena - Bologna, Provincia di Modena - Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 2010.

(3) Dall'1 al 5 febbraio 2010, a Bologna, il Ministero dell'ambiente e Formez PA hanno organizzato il corso di formazione "Le politiche della biodiversità: i principali strumenti di attuazione". Per informazioni sulle altre attività coordinate dal Ministero: www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html%7Cbiodiversita_fa.html.

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