Rivista "IBC" XIX, 2011, 1

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni

A Rimini è stata completata la sezione archeologica del Museo della Città, che copre la storia del suo territorio dalla Preistoria al Tardoantico.
La città ritrovata

Valeria Cicala
[IBC]

"Si sa, le guerre rivoltano tutto, anche il sottosuolo: nella sua distruzione del 1944, Rimini ha conquistato una ricchezza immensa. Il patrimonio antico vi è pari a quello delle più strepitose città del mondo, Ostia, Siracusa, Aquileia, Lione, Tarragona, Londra, Colonia, Nicomedia. Si tratta di analizzarlo correttamente per farne partecipe, come di vestibolo necessario, alla comprensione della città e della gente di oggi, tutti i cittadini, e gli altri, i milioni di forestieri, di stranieri, che popolano questa città del mondo. Quindi "Analisi di Rimini antica" è un lungo programma di ricerche che storici e archeologi hanno avviato, che ha dato già frutti preziosi, che si è già estrinsecato in volumi e in monografie, che ha come meta finale, necessariamente lontana ma concreta, il nuovo grande museo di Rimini: il piano degli amministratori comunali ha mosso i suoi primi passi, ha fornito agli studiosi una garanzia di razionalità, gli studiosi hanno corrisposto, pare proprio che ci si avvicini a tracciare, negli anni, una nuova pagina della luminosa tradizione culturale riminese".


Era il 1980 e così scriveva, alla fine di luglio, sulle pagine del "Resto del Carlino", il professor Giancarlo Susini, che di quel progetto era uno dei protagonisti.1 In quelle righe del suo articolo ci sono una lucida lettura della realtà di quel momento, un auspicio per l'enorme impegno che si profilava, una nitida previsione degli ultimi tre decenni. Trent'anni dopo, e dopo un'intensa, complessa vicenda, segmento dopo segmento, Rimini ha, dunque, completato il suo percorso museale. Ultimando proprio la sezione che copre la storia del suo territorio dalla Preistoria al Tardoantico, alla quale si è lavorato negli ultimi due lustri. L'inaugurazione si è tenuta in occasione della XII edizione di "Antico/Presente. Festival del Mondo antico", che si è svolto dal 25 al 27 giugno 2010 (www.museicomunalirimini.it).

In molti ricordiamo ancora che fu proprio il lapidario romano con le sue inscrizioni, nel maggio del 1981, in occasione del convegno internazionale "Bartolomeo Borghesi. Scienza e libertà", il primo segno dell'intero progetto che riguardava il recupero dell'antico convento, divenuto ospedale, nel quale sarebbe stato allestito il museo che nel realizzarsi ha inglobato altri spazi circostanti, proponendo in misura quasi completa la storia e l'arte che nei secoli la città ha espresso ad altissimi livelli (manca il segmento altomedievale, di futuro allestimento, che andrà a introdurre la Sezione medievale).

L'impatto con la realtà museale che si è venuta realizzando riporta la memoria anche ai tanti nomi di una radicata e fervida tradizione di eruditi, studiosi e numi tutelari che hanno stimolato la conoscenza su Rimini antica - Jano Planco, Bartolomeo Borghesi, Adolphe des Vergers, Luigi Tonini - nonché all'articolata schiera degli specialisti e dei tecnici che nel corso del Novecento, e ancora adesso, dalle istituzioni pubbliche in cui hanno operato e lavorano - Comune, Soprintendenza archeologica, Università, Istituto regionale per i beni culturali - continuano ad alimentare, pure in una temperie assai penalizzante, un proficuo impegno quotidiano.

A Rimini, pur nella consapevolezza delle potenzialità del turismo culturale, che già da anni ha buone ricadute, ci si muove in una linea in cui salvaguardia e valorizzazione sono concetti che non coincidono con l'idea di "Disneyland culturale";2 piuttosto, si crede nell'importanza di educare al patrimonio, di far conoscere, anche in modo ludico, archeologia e storia, e di contaminare vocazioni culturali differenti. Il Museo della Città si è avvicinato attraverso tappe e iniziative assai importanti alla realizzazione della sezione antica: una serie di restauri, mostre, convegni e, da ultime, nel 2003, l'apertura della prima sezione dedicata al II-III secolo, quindi, nel 2007, l'inaugurazione dello straordinario complesso archeologico della domus del chirurgo, che in questi anni ha dimostrato quanto fosse efficace la fortunata contiguità della sua dislocazione rispetto al museo.3

La capacità affabulatoria del museo e della domus, alimentata da efficaci progetti didattici, ha messo a sistema i luoghi e gli oggetti della città antica. Ora è possibile effettuare un itinerario che ha tre componenti fondamentali: le architetture che parlano della colonia romana (l'Arco di Augusto, il Ponte di Tiberio, Porta Montanara e l'Anfiteatro), il paesaggio circostante, che nei profili delle colline lascia intuire anche il tempo precedente alla romanizzazione, e poi, entrando al museo, le quaranta sale espositive in cui tutto ciò che lo sguardo ha assorbito si proietta e si compenetra in un altro percorso. Un percorso che muove da una fase assai remota: quella che si collega alla presenza dell'homo erectus sul colle di Covignano. Si parla di un milione di anni fa, quando le acque del futuro Adriatico coprivano l'intera area di quello che poi sarebbe stato un insediamento fondamentale nella realtà della penisola. La città capace di assorbire gli influssi celtici e quelli che scendevano dalla dorsale appenninica, di avvicinare l'Italia tirrenica a quella proiettata verso le rotte dell'ambra e dei grandi fiumi.

Rimini, insomma, si impone ancor prima che da lì parta la via Emilia, perché lì arriva la via Flaminia, con un bagaglio di esperienze centroitaliche (di carattere sociale, etnico, religioso, politico) che costituiranno il preambolo alla vicenda postannibalica e alla creazione della via consolare che porta ancora oggi il nome di Lepido, e che fu alimentata dal sostrato locale e dalle élite municipali.

L'ordinamento della sezione antica, ormai completato con un'adeguata e fluida serie di pannelli esplicativi, come pure le considerazioni che traggono nelle pagine della cartella stampa le funzionarie del museo, Angela Fontemaggi e Orietta Piolanti, dimostrano la coerenza che fondamentalmente ha mantenuto la ricerca. E sembrano di oggi le affermazioni che, ancora Susini, sempre dalle pagine del "Carlino",4 scriveva nel 1982:


"L'analisi capillare di recente compiuta nell'immenso materiale protostorico e romano recuperato sia dal sottosuolo di Rimini sia dai villaggi sulle pendici del Covignano e verso i guadi sul Marecchia ha portato a individuare una presenza organizzata di gruppi umani sul sito della futura colonia latina (fondata come tale, cioè iscritta ufficialmente nel catalogo delle città col nome di Ariminum nel 268 avanti Cristo) forse già nel V secolo ma sicuramente nel corso del IV, con strutture murarie, impianti produttivi (fornaci vascolari), aree di stoccaggio, almeno un secolo prima della sua "fondazione". A frequentare questa precittà erano i locali (Celti, Piceni, i cosiddetti Umbri) e poi Etruschi, Fallisci, Sabini, Campani, e infine Latini e Romani: tutti a portare le loro mercanzie sull'alto e medio Adriatico, a scambiarle, a cercare nuovi mercati, a intavolare accordi commerciali, di cui è testimonianza in certi sistemi monetali".


Il visitatore avrà quindi l'opportunità di conoscere il territorio riminese dal Paleolitico a oggi: dai ripostigli dell'età del bronzo, ai depositi di oggetti in metallo appartenuti a commercianti-fonditori, dai corredi delle necropoli villanoviane cresciute sotto l'influenza di Verucchio, ai prodotti delle genti etrusche, greche, celtiche, che tra VI e IV secolo avanti Cristo hanno frequentato la valle e l'approdo dell'Ariminus, il fiume eponimo della colonia fondata nel 268 avanti Cristo dai Romani. Un'osmosi continua di genti e di culture, seppure attraverso fasi di forte conflittualità tra coloro che qui già vivevano e i nuovi arrivati, quei coloni che da un punto di vista sociale, economico e cultuale, portavano un cambiamento irreversibile.

Se è il paesaggio a modificarsi, proprio per quella progettazione del territorio che passa dalla centuriazione e dalla creazione delle vie consolari, altri elementi portano a riflettere su quale tipo di rapporti commerciali, ma non solo, si fossero stabiliti, per esempio con i Celti: alcuni esemplari di aes grave, la moneta fusa che propone l'effigie del nemico, ha vivacizzato il dibattito tra gli studiosi circa la responsabilità politica dell'emissione. Ma nella comprensione della fase arcaica della colonia, di forte pregnanza risultano anche i pocola deorum, le ciotole in cui, graffiti o suddipinti, figurano nomi e sigle delle divinità del pantheon coloniario, o indicazioni delle ripartizioni amministrative.

Queste ciotole costituiscono una fonte preziosa di conoscenza per la provenienza dei coloni, anche alla luce di ritrovamenti recenti in territori contigui: lo scavo di Cattolica e il rinvenimento di frammenti di ceramica a vernice nera - non pertinenti alla fornace, ma sigillati all'interno del butto - sono di rilevante interesse, in particolare quello con un'iscrizione sovradipinta databile al III secolo avanti Cristo. Non è questa la sede, ma certamente questi documenti parlano della religiosità dell'emigrazione, di un percorso di comportamenti e di pratiche non sempre codificate, che tra III e II secolo avanti Cristo, dal Centro-Italia tirrenico, valicano l'Appennino e si propagano sulla costa adriatica e poi verso la piana del Po.

Tornando alla bellezza e alla ricchezza delle sale del Museo, oggetti e manufatti, nei diversi risvolti del pubblico e del privato, raccontano la vita e le risorse della colonia nella fase repubblicana in cui la città, già difesa da una cerchia muraria, si disegna e si arreda, nelle domus come negli edifici religiosi e nei monumenti funerari.

Ma Rimini, nel suo tessuto urbano, è destinata a divenire anche più attraente in età imperiale, rientrando a pieno titolo nel progetto con cui Augusto mirava a valorizzare le città della Regio Octava e il rapporto di queste con la sua figura. Il centro della città attuale è cresciuto su Rimini antica; le fibre, i gangli vitali dell'attuale perimetro urbano si connettono a lacerti, a materiali preziosi che riaffiorano, sbalordendo, sotto i palazzi e le chiese successivamente innalzati, e poi sventrati dalla guerra. Stupiscono la varietà e il pregio dei mosaici e delle abitazioni, le proporzioni dell'anfiteatro, che presuppongono una frequentazione di pubblico non solo locale.

La continuità nell'ambito dell'edilizia, i livelli davvero eccelsi dell'arte musiva ancora nella fase tardoantica, così ampiamente testimoniati all'interno del percorso espositivo, preparano anche emotivamente il visitatore allo stravolgimento e al deteriorarsi rapido di un intero contesto nella temperie della guerra tra Goti e Bizantini. La vicinanza con Ravenna, la capitale, aveva proiettato sull'antica colonia, tra V e VI secolo, precisi influssi culturali, e forse aveva rinnovato le ambizioni e le prospettive di una città che, fin dai suoi esordi, aveva coagulato su di sé l'attenzione di alcuni dei grandi protagonisti della storia di Roma, come Flaminio, Cesare, Augusto. E che con Sigismondo Malatesta avrebbe ritrovato un nuovo principe da celebrare sull'epidermide delle sue pietre.


Note

(1) G. Susini, Tesori nel ventre di Rimini, "Il Resto del Carlino", 31 luglio 1980.

(2) Si veda l'intervista di Vittorio Zincone a Mario Resca, direttore generale della valorizzazione del patrimonio culturale: "Vorrei fare dell'Italia una Disneyland culturale", "Sette. Corriere della Sera", 13 gennaio 2011.

(3) V. Cicala, Quelle antiche stanze, "IBC", XVI, 2008, 1, pp. 34-35.

(4) G. Susini, Anche gli etruschi andavano a Rimini, "Il Resto del Carlino", 25 agosto 1982. Il professore è stato per molti anni tra i più prestigiosi collaboratori esterni della testata grazie alla sua non comune capacità divulgativa e all'attenzione che prestava a un'adeguata comunicazione sui media di argomenti culturali che potevano apparire riservati agli addetti ai lavori.

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