Rivista "IBC" XVII, 2009, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / immagini

Le fotografie di Marco Pizzoli propongono due progetti di ricerca sull'immagine della città. E sulla fotografia in sé, al tempo del digitale...
Nero su bianco

Vittorio Ferorelli
[IBC]

L'autore del percorso fotografico in bianco nero che presentiamo in questo numero di "IBC" è il bolognese Marco Pizzoli. Il percorso unisce due progetti di ricerca sull'immagine della città, entrambi condotti sulla strada o comunque all'esterno e in spazi pubblici. "Cadaveri alla deriva, anche", realizzato a Bologna e provincia tra il 2006 e il 2008, affianca in uno stesso "piano sequenza" frammenti urbani diversi, innescando una riflessione sull'inquadratura inedita che ne scaturisce. "City.zen" propone una serie di immagini scattate nel capoluogo tra il 2003 e il 2004: la città fatta dagli uomini e dalle donne che la abitano ogni giorno, ma anche dai segni, più o meno comprensibili, che lasciano sulla sua pelle.

Abbiamo chiesto all'autore di raccontarci come procede quando lavora: "Dal mio punto di vista la fotografia è prima di tutto un linguaggio e, nell'adoperarlo, la mia attenzione è rivolta sempre e comunque al mondo. Dopo lo scatto fotografico, che preleva un'impronta della realtà, segue una fase che consiste nel leggere analiticamente la struttura digitale di quell'impronta, traducendola poi nella forma di base del linguaggio binario. Il risultato finale è un testo scarnificato, ridotto all'osso, che dichiara in modo evidente la propria struttura: una tessitura di zero e di uno, in cui si intrecciano pixel spenti o accesi, bianchi o neri". Le immagini, che alla fine appaiono come disegni al tratto, ricordano da vicino le incisioni xilografiche che i giornali pubblicavano ancora alla fine dell'Ottocento, specificando di averle "tratte da una fotografia".

Questo procedimento digitale può essere assimilato, in qualche modo, allo sviluppo chimico che si effettua in camera oscura? "Credo di sì" - ha risposto Pizzoli - "anche se l'oggetto che ne deriva non è più una matrice, da cui è possibile ricavare un certo numero di copie, ma un codice che si può clonare all'infinito. Le parole, come le immagini, sono fatte di strati di senso: possiamo quindi intendere lo sviluppo nel suo significato letterale di accrescimento, ma anche, in senso fotografico, come rivelazione di un'immagine latente, e ancora, in senso lato, come articolazione più estesa di un'idea. Il mondo contenuto in una parola è davvero vasto, così come quello contenuto in un'immagine: in entrambi i casi propongo di assumerlo nella sua interezza".

Al di là di ciò che le immagini rappresentano, prima o dopo il discorso sulla città e sul modo di abitarla, insomma, il procedimento con cui il fotografo realizza queste immagini permette qualche riflessione sulla cosiddetta rivoluzione digitale. Il dibattito vede opposti, da anni, entusiasti e catastrofisti. Con l'avvento della fotografia numerica, secondo Bruno Di Bello, si avvererebbero finalmente gli auspici calviniani per la letteratura del nuovo millennio: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità... Messo in scacco dal digitale, obietta invece Jean Baudrillard, "il mondo non ha più bisogno di noi, né della nostra rappresentazione, e d'altra parte non c'è più una rappresentazione possibile".1 Ma c'è anche punto di vista meno estremistico, che rifiuta contrapposizioni così nette per cercare di capire a cosa serva (ancora) la fotografia.

Secondo Michele Smargiassi, uno degli interpreti più lucidi di questo punto di vista, se ci limitiamo a celebrare tra le lacrime i funerali della "vecchia regina deposta" e a incoronare al suo posto "la sua antipatica erede deviante", nascondiamo a noi stessi una verità scomoda: che "la fotografia ha sempre intrattenuto col reale un rapporto ambiguo e complesso".2 L'epoca digitale, in altre parole, ci offre una buona occasione per capire meglio il rapporto tra noi e le immagini, e tra queste e la realtà. Dovremmo cercare di coglierla. La fotografia di Marco Pizzoli, per esempio, che parte da una moderna acquisizione elettronica per giungere a un'immagine che sa di antico... a che cosa può far pensare?


Note

(1) B. Di Bello, FCDRA. Fotografia, cultura digitale e ricerca estetica, in È contemporanea la fotografia?, a cura di R. Valtorta, Milano, Museo di Fotografia Contemporanea - Lupetti Editori di Comunicazione, 2004, p. 22; J. Baudrillard, Il digitale e l'egemonico, "Internazionale", 674, 29 dicembre 2006, p. 44.

(2) M. Smargiassi, Un'autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso, Roma, Contrasto Due, 2009, p. 18.

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