Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, pubblicazioni, storie e personaggi

L. Ghirri, Lezioni di fotografia, a cura di G. Bizzarri e P. Barbaro, Macerata, Quodlibet, 2010.
Sparire in un istante

Vittorio Ferorelli
[IBC]

Dopo tante mostre, elucubrazioni critiche, tomi patinati e qualche operazione un po' pretenziosa (per non dire sgarbata) si sentiva davvero il bisogno di riascoltare la voce di Luigi Ghirri, finalmente libera dalle "manie estetiche" che egli stesso detestava. Merito di un libro che recupera le lezioni di fotografia da lui tenute tra il 1989 e il 1990 all'Università del Progetto di Reggio Emilia. Il volume, realizzato nell'ambito della terza "Biennale del Paesaggio" promossa dalla Provincia di Reggio (www.biennaledelpaesaggio.it), è stato curato da Giulio Bizzarri, che invitò Ghirri a tenere quelle lezioni, e da Paolo Barbaro, del Centro studi e archivio della comunicazione dell'Università di Parma, la prima istituzione che promosse le ricerche del fotografo alla fine degli anni Settanta. Con discrezione esemplare, i curatori lasciano spazio al protagonista, trascrivendo le registrazioni audio originali e integrandole con le immagini, le note e i riferimenti bibliografici essenziali per seguire le sue parole.

Nel primo incontro con gli studenti, colpisce in Ghirri la generosità di chi, con disinvoltura, regala una scoperta che doveva essere costata anni di esperimenti e di frustrazioni: nell'ultimo quarto del Novecento, fare della fotografia un'attività di ricerca autentica costringe a muoversi al di fuori degli steccati professionali, a mettersi in viaggio con poco bagaglio. Mettendo in chiaro i rischi di incomprensione e le possibili accuse di dilettantismo che questa scelta comporta, il maestro ammette di sentirsi più vicino ai fotoamatori lì in ascolto, che ai professionisti degli studi fotografici, dell'editoria o del giornalismo. Professionisti a cui oggi, forse, avrebbe aggiunto i fotografi quotati in borsa.

"Bisogna essere liberi" suggeriva Ghirri. "Prima di tutto nella testa". Lui, che non si era mai comperato un armamentario completo ma adoperava un sistema piuttosto parco, preferiva concentrarsi sul significato dell'immagine. Cercava lo stupore nei racconti che nascono dalla sequenza di scene diverse. Senza impazzire dietro ai marchingegni tecnologici e senza inseguire la diversità a tutti i costi. In fondo, spiegava ai suoi allievi, il regista Igmar Bergman aveva scoperto la magia delle immagini da bambino, quando, chiuso in un armadio, spostava gli occhi dal buio alla fessura dell'anta, e la sua camera diventava improvvisamente misteriosa. La macchina fotografica, aggiungeva, funziona come il nostro occhio, e per capirlo meglio proponeva una visita al castello di Fontanellato, vicino a Parma, dove un piccolo foro nel muro proietta l'immagine del paesaggio esterno attraverso un prisma, trasformando la stanza in una grande camera oscura.

Per imparare a fotografare, dunque, occorre semplicemente imparare a guardare. Scegliere tra ciò che includeremo nell'immagine e ciò che rimarrà fuori dalla soglia. Distinguere tra le zone illuminate dalla luce e quelle sottratte dalle ombre. Stringere sui piani più vicini, o allargare lo sguardo in lontananza. Tutto questo fa parte della tecnica, e non se ne può fare a meno. Ma poi, suggerisce Ghirri, nel guardare, come nel fotografare, ciò che conta è sparire. Come accade quando un muro, una strada, un angolo di mondo mai visto, diventano improvvisamente familiari: in un istante, quella sintonia totale tra la visibilità manifesta (dell'esterno) e la visibilità segreta (dell'interno) ci fa dimenticare che quel muro, quella strada, quell'angolo esistevano anche senza di noi, e che continueranno a esistere al di là dei nostri sguardi.

"Ci sono cose che dovreste cercare voi girando per la città": l'invito del maestro ai suoi studenti reggiani era orientato al fare, molto più che al teorizzare. La fotografia, per Ghirri, resta un enigma da risolvere con il cuore. Qualcosa, insomma, che non si può davvero insegnare. Perché, altrimenti, addio enigma. Il fotografo che viaggiava su Volkswagen scassate consumando i nastri di Bob Dylan (come ricorda Gianni Celati alla fine del libro) cercava le sue ispirazioni camminando al ritmo suggerito da un poeta: "Tanto piano che il mondo vi appartenga di nuovo, tanto piano che appaia chiaro che il mondo non vi appartiene".


L. Ghirri, Lezioni di fotografia, a cura di G. Bizzarri e P. Barbaro, Macerata, Quodlibet, 2010, 268 pagine, 22,00 euro.

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