Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, leggi e politiche

Un progetto di ricerca e due mostre ribadiscono i princìpi fondamentali del concetto di tutela inventato in Italia: l'utilità pubblica prevale sull'interesse privato, l'apertura al mondo vince sulla chiusura.
Un patrimonio, molte identità

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Se dalle cronache politiche e sociali degli ultimi mesi si volessero enucleare i temi più frequentati, un posto d'onore spetterebbe senz'altro a quell'ambito dai contorni semantici frastagliati (eppur ricorrente ormai fino all'ossessione) che rientra sotto l'etichetta dell'identità. La pretesa difesa dei caratteri identitari non solo a livello nazionale, ma di ambito sempre più locale, appare in questo frangente storico, secondo talune versioni, obiettivo irrinunciabile e prioritario, ma per ampia condivisione rappresenta comunque un valore positivo a cui richiamarsi. Nella panoplia retorica che caratterizza la costruzione identitaria, naturalmente, storia e patrimonio culturale giocano un ruolo determinante, unanimemente considerato decisivo, anche se singolarmente evanescente e ambiguo in talune declinazioni.

A ermeneutiche decisamente di altro livello ci rimanda invece il progetto di ricerca "Municipalia. Tutela e percezione del patrimonio culturale", intrapreso dall'Università di Bologna e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, e finanziato dalla Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì. Il progetto, di durata triennale, ha indagato la costruzione politica del patrimonio culturale in due realtà cittadine circoscritte, Pisa e Forlì, ma su un lungo periodo: dal XIV secolo all'Unità d'Italia. L'iniziativa ha prodotto una serie di risultati scientifici in parte già accessibili attraverso il sito web municipalia.sns.it e pubblicizzati nel convegno conclusivo "Il patrimonio culturale fra comune e nazione", svoltosi a Forlì il 25 febbraio 2010. Quest'ultima manifestazione, introdotta dai due responsabili scientifici, Roberto Balzani e Salvatore Settis, attraverso l'illustrazione di molteplici ricerche (per di più ampliate, nell'occasione, a numerose altre realtà geografiche, da Genova a Siracusa, al Friuli) ha dato conto del complesso processo di costruzione del concetto di patrimonio culturale e della sua percezione di valore identitario, un valore tanto necessario da dover essere tutelato attraverso quella che nei secoli si affermerà, a livello mondiale, come la tradizione giuridica più innovativa e lungimirante a difesa del patrimonio culturale.

Obiettivo non esclusivo, ma neanche collaterale, dell'iniziativa nel suo complesso era, d'altro canto, richiamare l'attenzione in particolare dell'attuale classe politica, trasversalmente intesa e compattamente immemore, sull'importanza di tale costruzione giuridica, riconosciuta internazionalmente, quanto internamente disattesa. Uno dei risultati che possono essere richiamati a commento dell'importanza del convegno forlivese è che il progetto "Municipalia" ha sottolineato come il processo di formazione e di educazione ai valori del patrimonio sia tutt'altro che compiuto: di fronte alle evidenti distorsioni e agli usi impropri a cui il nostro patrimonio viene sottoposto, sempre più spesso, sul versante economicistico e identitario, la necessità di questo processo appare oggi addirittura urgente per contrastare, in modo non effimero, i rischi di dispersione e di degrado a cui le accennate distorsioni conducono inevitabilmente.

I casi illustrati, come sempre accade nella ricerca storica di alto livello, hanno presentato continui rimandi alla realtà contemporanea, ma i confronti rivelavano, per lo più, un drammatico saldo negativo per l'attualità, che pare avere smarrito un adeguato livello di sensibilità civica, un livello diffuso invece a tal punto, in certi momenti storici della nostra vicenda nazionale, da uscire dal recinto dei fenomeni elitari.

Ma soprattutto, ciò che è emerso con chiarezza dall'intera ricerca è una rimodulazione storica del concetto di identità culturale, assai lontano, se non addirittura contrapposto, rispetto a quello proposto da certa vulgata dilagante: fin dall'epoca comunale le identità locali italiane sono state la chiave di un successo culturale "vincente" per secoli, perché globale nello spirito in quanto aperto al resto del mondo. Tali identità, fortissimamente rivendicate, erano proiettate verso l'esterno e dall'esterno (nel tempo e nello spazio) hanno saputo mutuare innumerevoli elementi in un complesso processo di scambio e inserirli, armonicamente, all'interno della loro identità culturale, rafforzandola e rendendola, proprio per questo, un modello di riferimento ineguagliato per moltissimo tempo. Dal Rinascimento, e anche prima, fino al made in Italy, la nostra cultura deriva il tratto saliente della propria identità da una straordinaria attitudine alla contaminazione.

Infine, quale ulteriore risultato culturale, la lunga prospettiva storica utilizzata come cardine metodologico di "Municipalia" ha messo in luce in modo inequivocabile la straordinaria convergenza dei vari filoni legislativi che si sono intrecciati fin dall'epoca comunale nella storia italiana e che hanno consentito, come si diceva, l'elaborazione di una normativa di tutela del patrimonio culturale presa a modello a livello internazionale, il cui lunghissimo percorso ha condotto a inserire fra i principi fondamentali della carta fondativa dello Stato italiano, la Costituzione, come mai prima nessun'altra nazione aveva fatto, proprio quello della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico.

Questi livelli di eccellenza giuridica, a cui può essere ascritto lo stesso recente Codice dei beni culturali e del paesaggio, ci paiono contraddetti da una prassi politica e amministrativa troppo spesso e da troppo tempo opaca e improntata a visioni di cortissimo respiro. Esistono fortunatamente eccezioni, che, proprio in quanto tali, talvolta rischiano di non trovare il giusto risalto o addirittura subiscono una distorsione dei loro obiettivi perché rimescolate all'interno di un mainstream di segno diverso. Proprio per contrastare questi rischi va quindi sottolineata la vicenda delle restituzioni dei beni culturali illecitamente sottratti all'Italia, anche perché si colloca, in un certo senso, in stretta contiguità rispetto a quel livello di civiltà giuridica che costituisce uno dei nostri, non numerosi, vanti nazionali. Su questo piano, infatti, va letto il successo che ormai da alcuni anni accompagna l'azione del nostro Ministero dei beni culturali nella rivendicazione di oggetti del nostro patrimonio archeologico, provenienti da scavi clandestini, illecitamente esportati e acquistati da musei e gallerie d'arte straniere.

Sul tema delle restituzioni, come ricorderanno forse anche i lettori di "IBC", quasi tre anni fa fu organizzata una mostra di grande successo, "Nostoi", a celebrazione del ritorno in Italia di alcuni capolavori resi, dopo anni di battaglie legali, anche da importantissime e potenti istituzioni culturali, quali il Metropolitan Museum di New York e la Getty Foundation di Los Angeles.1 Grande rilievo era stato dato in quell'occasione al successo diplomatico ottenuto dall'Italia, e la mostra, grazie anche alla straordinaria bellezza dei pezzi esibiti, aveva ricevuto più di una lettura in chiave di orgoglio nazionalistico. Passati il clamore dell'iniziativa e l'attrazione di novità della notizia, è forse giunto il tempo per ricollocare nella giusta cornice questa vicenda, che nel frattempo è comunque continuata e ha condotto ad altre restituzioni, a conferma del carattere non effimero dell'intero processo.

Il vero successo di questi episodi non risiede tanto nell'acquisizione patrimoniale di alcuni pur preziosissimi reperti, quanto nell'aver ottenuto un duraturo e significativo allargamento, a livello internazionale, di una sensibilità etica che, attraverso accordi bilaterali, va trasformandosi in una piena acquisizione giuridica del rispetto del contesto di provenienza e in una circolazione "sostenibile" dei materiali archeologici, per ragioni di studio e di esposizione, nel quadro di un'ampia collaborazione internazionale. Si è trattato di un percorso giuridico-culturale non semplice, di cui le mostre che "festeggiano" il ritorno dei reperti ai luoghi di provenienza rappresentano l'esito pubblicistico.

Ultime della serie, in ordine di tempo, si segnalano le due esposizioni parallele, parzialmente contemporanee nei tempi di apertura, presso la sede del Museo nazionale archeologico di Palazzo Massimo a Roma: piccole (per quantità di oggetti esposti) ma preziose mostre, allestite con sobrietà e brillanti soluzioni scenografiche. "Il segreto di marmo" (dal 16 dicembre 2009 al 18 aprile 2010) ha presentato uno straordinario complesso di oggetti in marmo dipinto, risalenti probabilmente alla seconda metà del IV secolo avanti Cristo, provenienti da scavi clandestini nel territorio dell'antica Ausculum, l'odierna Ascoli Satriano (Foggia): un unicum nel panorama dell'archeologia classica, il cui pezzo più celebre, un sostegno di mensa con grifi, fu restituito dal Getty Museum nel 2007. L'altra mostra, "Il tesoro di Morgantina" (20 marzo - 23 maggio 2010) ha celebrato il ritorno dal Metropolitan Museum di un complesso di argenti ellenistici provenienti dalla città siculo-greca di Morgantina, di produzione e cronologia diverse, già oggetto di tesaurizzazione in antico.

Nel caso degli argenti, l'accordo stipulato con il museo americano ha stabilito la possibilità di prestiti di lunga durata di questi stessi oggetti, che potranno così tornare a parlare delle nostre antiche civiltà ai visitatori d'oltreoceano: acquisito il principio della restituzione in termini di proprietà, insomma, si è voluto ribadire, al contempo, un indirizzo di disponibilità alla più ampia circolazione di questi beni, per favorirne una conoscenza quanto più allargata possibile. Come previsto in sede istituzionale, quindi, l'intera operazione è destinata a innescare un programma di collaborazioni internazionali a lungo termine, che si sostanzieranno in iniziative condivise di restauro, scavo e ricerca, e che daranno vita a eventi di valorizzazione degli oggetti stessi, nell'unico senso culturalmente accettabile da restituire a questo termine, quale è quello stabilito dal Codice all'articolo 6.2

Il processo intrapreso attraverso l'insieme degli accordi di restituzione, in sostanza, costituisce un sistema di regole e principi che rappresenta un traguardo di civiltà giuridica e culturale non scontato, e tanto più difficile da raggiungere in quanto si pone agli antipodi dell'odierno mainstream neoliberista, che privilegia come meccanismo regolatore dei rapporti, non solo economici, quello del libero mercato. In questo senso, tali accordi vengono a essere l'ultima declinazione, in ordine di tempo, di quel principio fondamentale a cui si può far risalire il concetto di tutela inventato in Italia e investigato, nella sua genesi ed evoluzione, da "Municipalia": la pubblica utilità di un bene comune, come è quello culturale, deve prevalere sull'interesse privato.

Anche riguardo ai reperti ritornati in seguito alle restituzioni si è parlato di "identità ritrovata": in realtà moltissimi di quegli oggetti si trovavano sul nostro territorio come beni importati, prodotto di artisti e artigiani stranieri, frammenti di una storia affascinante e complessa, le cui matrici identitarie derivano da un'inestricabile mescolanza di apporti culturali delle diverse genti che si affacciavano su un mare, il Mediterraneo, meno ostile, in fondo, di quanto lo si voglia far diventare oggi. La vera identità culturale da rivendicare in questa vicenda, casomai, risiede in quella capacità di elaborazione e diffusione di una superiore civiltà giuridica, erede di una lunga tradizione, a cui dovremmo sentirci ancorati sempre più saldamente.


Note

(1) "Nostoi. Capolavori ritrovati", Roma, Palazzo del Quirinale, 21 dicembre 2007 - 30 marzo 2008 (catalogo: Nostoi. Capolavori ritrovati, a cura di L. Godart e S. De Caro, Roma, Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, 2007); S. De Caro, M. P. Guermandi, La bellezza restituita, "IBC", XVI, 2008, 1 (Numero speciale 1978-2008), pp. 54-56.

(2) "La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura".

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