Rivista "IBC" XVIII, 2010, 1

interventi, storie e personaggi

Viaggiando per mare da Venezia a Istanbul. L'Adriatico ha molto da raccontare a chi riflette sugli andirivieni della storia e sulle forme della convivenza umana...
Un porto dopo l'altro

Sergio Valzania
[saggista]

"Serenissima. Da Venezia a Istanbul in barca a vela" è il titolo del viaggio organizzato da Radio Tre RAI, tra maggio e giugno del 2009, per riscoprire i luoghi di uno dei percorsi marittimi più frequentati della storia e i porti di un dialogo che ha conosciuto momenti diversi senza mai spegnersi (www.radio.rai.it/radio3/serenissima). Abbiamo chiesto a Sergio Valzania, saggista e già direttore dei programmi radiofonici RAI, un contributo di riflessione a partire dalla sua esperienza di navigazione a bordo dell'Orsa Maggiore.


Sul mare Adriatico si affacciano oggi sei stati: l'Italia, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro e l'Albania. Per tutti loro esso rappresenta un tratto del confine nazionale; da qualche secolo questo sembra essere diventato il destino dei mari, indicare il termine della sovranità delle nazioni, appena temperato dalla norma che stabilisce l'esistenza delle acque territoriali. Non sempre è stato così, in tempi relativamente vicini il mare costituiva il tessuto unificante per realtà politiche di primaria importanza. L'Adriatico era il cuore territoriale del sistema creato dalla Repubblica di Venezia.

Ormai siamo abituati a un punto di vista diverso, una scolarizzazione di matrice nazionalista lo insegna ai bambini fin dalle elementari. All'interno di questa concezione culturale, ogni Stato dispone di elementi individuati secondo criteri legati alla cultura ottocentesca, uno dei quali è l'unità linguistica, un altro è un territorio che ha dei confini naturali imposti dalla geografia e rappresentati dai sistemi montuosi, dai grandi fiumi e, soprattutto, dal mare, nec plus ultra. Non sempre è stato così, anzi possiamo dire che il sopravvento di organizzazioni a base territoriale chiusa, su esperienze diverse, è un fatto recente, degli ultimi secoli, almeno per quello che riguarda l'esperienza occidentale.

I primi grandi sistemi politici sorti attorno al bacino del Mediterraneo ebbero una concezione navale, considerarono il possesso delle acque il loro elemento costitutivo e vissero distribuiti lungo le coste. Erodoto ricorda che la prima talassocrazia, come la definisce, fu instaurata da Minosse, re di Creta, e a essa fecero seguito altre esperienze della stessa natura. I grandi imperi terrestri (Assiri, Babilonesi, Persiani) si trovavano a oriente e il loro modello organizzativo, verticistico e burocratizzato, premeva sulle più articolate realtà occidentali. Centri costieri autonomi come quelli greci in Anatolia, all'origine delle guerre persiane, o quelli fenici distribuiti lungo la costa meridionale del Mediterraneo e poi risaliti fino alla Spagna e alla Sardegna, sono il modello tipico dell'insediamento occidentale in epoca preclassica.

Il sistema insulare dell'Egeo, ricchissimo di terre emerse, favorì la nascita del dinamico impero ateniese e anche della sua nuova forma politica, la democrazia di quelli che "stavano ai remi", in opposizione al blocco peloponnesiaco centrato sull'agricola Sparta. Cartagine, più tardi, fu alla guida di un articolato sistema di relazioni politiche e commerciali fondato sul controllo di un sistema di porti fortificati. Anche Roma, potenza eminentemente terrestre, la cui forza militare si fondava su legioni composte da contadini, e che fu costruttrice di strade per eccellenza, si adattò ad allestire una flotta militare e a fare infine del Mediterraneo la chiave del suo sistema commerciale, il polmone dell'impero. Il grano egiziano arrivava via mare nella Roma imperiale, dopo che la decisione finale sull'eredità di Cesare era avvenuta ad Azio, in una battaglia navale.

Gli imperi che si sono succeduti dopo la parentesi medievale, nella quale i portatori di cultura sono stati arabi e bizantini, hanno manifestato a loro volta una decisa, se non esclusiva, vocazione navale. Castigliani e Ottomani disponevano di eserciti eccellenti, ma il momento del loro massimo splendore coincise con quello della potenza marittima, con un sistema territoriale articolato su piazzeforti costiere: fu l'avventura atlantica, per i primi, e il controllo del Mediterraneo orientale per i secondi. Napoleone conquistò l'Europa con le sue armate, ma il disastro di Trafalgar e l'errore del blocco continentale costituirono l'anticamera per la campagna di Russia e per l'epilogo di Waterloo. Intanto l'Inghilterra, un'isola scarsamente abitata e non integrata socialmente, acquisiva, tramite la sua flotta, il controllo di tutti i mari del mondo, grazie al quale esercitò per un secolo una funzione egemonica. Si trattò dell'affermazione compiuta della propensione al mare per un continente che è anche una penisola.

In ciascuno di questi casi il mare non costituiva una realtà separata dalla terra e dalle sue coste, piuttosto fu un tessuto unificante che collegava un insieme di basi lontane: attraverso questo tessuto, esse si saldavano in una rete, flessibile ma robustissima, che costituiva il vero strumento del potere. I nomi dei porti inglesi distribuiti nel mondo sono celebri: Malta, Gibilterra, Alessandria, Singapore, Sidney, Hong Kong. Ciascuno di essi evoca un periodo storico e segna le fasi di ampliamento di un impero ben diverso da quello cinese, la cui impresa maggiore e ideologicamente meglio rappresentativa è la costruzione della Grande Muraglia, attraverso la quale intendeva separarsi dal resto del mondo.

Fu Alfred Thayer Mahan, uno studioso americano che insegnava nell'accademia navale della marina statunitense ad Annapolis, a teorizzare, alla fine dell'Ottocento, l'opposizione fra potenze navali e potenze continentali (a tutto vantaggio delle prime) e a prefigurare le forme e i modi in cui gli Stati Uniti si sarebbero affermati nel mondo durante il Novecento. A questo riguardo è interessante considerare come la guerra nel Pacifico, durante il secondo conflitto mondiale, sia stata combattuta dalla marina americana, con una propria aviazione e propri fanti, i marines, contro l'esercito giapponese, i cui vertici ebbero sempre la direzione delle operazioni, imponendo il proprio punto di vista e le loro decisioni operative ai comandi della marina imperiale. Questo sulla base di una tradizione che prescindeva dall'assetto geografico del Giappone, che è un arcipelago, e persino dai suoi recenti successi navali. Non è un caso, quindi, che una delle maggiori alleanze militari del dopoguerra, quella che ha avuto il sopravvento nel confronto fra Stati Uniti e Unione Sovietica, abbia preso nome proprio da un mare, un oceano: l'Alleanza Atlantica.


Lungo le coste dell'Adriatico troviamo i resti fossili di quello che è stato uno dei maggiori imperi navali e commerciali della storia medievale e moderna, quello della Repubblica veneziana, che a quel mare impose per qualche secolo il nome di Golfo di Venezia. Sono le testimonianze di un complesso politico, sociale ed economico che si era costituito in forme diverse da quelle che si sono affermate in seguito. Il tentativo di espansione territoriale veneziano, agli inizi del Cinquecento, era durato poco e aveva avuto un esito infelice, con le sconfitte subìte per mano degli alleati riuniti nella lega di Cambrai; mentre l'esperienza marinara ebbe radici lontane e si proiettò in avanti nel tempo per oltre un millennio. I legami fra la Serenissima e l'Oriente sono molto stretti: basta osservare le forme architettoniche della Basilica di San Marco per averne conferma. Non bisogna credere, però, che i collegamenti appartengano solo agli anni dello splendore della città, dei suoi rapporti privilegiati con Costantinopoli e poi anche con Istanbul, nonostante il nuovo governo ottomano disponesse per più di un secolo di una potenza tale da resistere alle penetrazioni occidentali, tanto da cancellare quasi del tutto l'influenza genovese nella regione.

La storia di Venezia si inserisce in quella del collegamento navale fra l'alto Adriatico e gli Stretti, Bosforo e Dardanelli. Essa si inaugura ai tempi dell'Impero romano e si mantiene in vita dopo la sua scomparsa, a dispetto di tutte le trasformazioni politiche che avvengono in Asia e in Europa. La stagione dell'Esarcato di Ravenna, con i suoi meravigliosi prodotti architettonici, è uno dei capitoli di questa storia. La rotta che unisce i mercati orientali con il centro del nostro continente costituì, per oltre un millennio, l'itinerario privilegiato di immensi scambi commerciali. Proprio nella speranza di partecipare al più ricco mercato mondiale di beni preziosi, prima i navigatori portoghesi e poi i castigliani si avventurarono lungo rotte pericolosissime per trovare una via attraverso cui raggiungere le sorgenti di scambi tanto vantaggiosi. I loro sforzi conseguirono risultati tali da superare ogni aspettativa. Giunsero infine a ribaltare il rapporto esistente fra Atlantico e Mediterraneo, riducendo il valore economico e logistico di quest'ultimo nel sistema europeo degli scambi. Fu allora che l'Adriatico perse la sua centralità nel sistema mondiale del commercio.

Altri fattori incisero sulla decadenza di Venezia e dell'Impero ottomano, realtà diverse ma saldate da una coerenza di interessi ben superiore alla rivalità che molte volte li condusse alla guerra. Non furono gli ottomani a forzare lo stretto di Otranto e risalire lungo il Golfo di Venezia, come pure avevano sperato; né la Serenissima fu capace di riguadagnare una condizione neppure locale di egemonia, collegandosi agli interessi di una della maggiori potenze emergenti sullo scenario mondiale: preferì coltivare una politica di isolamento. Il porto dell'impero asburgico fu Trieste e quando Napoleone cedette Venezia all'Austria nessuno si levò a difenderne l'autonomia, una prerogativa in cui il suo stesso ceto direttivo aveva smesso di credere. Altri erano i porti inglesi del Mediterraneo settentrionale, Livorno e Marsala in particolare, mentre il commercio dell'Europa centrale si era orientato verso gli scali atlantici.

Finita la potenza economica e militare, anche la realtà territoriale si frammentò. Il sistema di approdi fortificati dominanti verso l'entroterra, che caratterizzava la costa dalmata, ben più ricca di insenature di quella italiana, tornò in possesso delle popolazioni costiere su cui aveva esercitato la propria egemonia fino ad allora. Possibilità di attracco così vicine l'una all'altra non erano più necessarie, neppure in relazione alle nuove tecniche nautiche, che consentivano navigazioni continue su lunghe tratte. Erano finiti i tempi in cui si navigava di giorno e ci si fermava la notte in porto.

La cultura, soprattutto nelle sue forme architettoniche, ha però una grande capacità di permanenza. La pietra dura nel tempo e forme di insediamento protratte nei secoli incidono nelle modalità, nelle tecniche costruttive e nel gusto estetico. Per questo, ancora oggi, le città e i borghi lungo le coste adriatiche hanno un sapore e un aspetto comuni, non solo nei resti delle opere militari, ma soprattutto in quelle civili. Anche la gastronomia conserva una parte della memoria di quella che fu una vera e propria realtà politica statuale, la cui organizzazione territoriale era centrata sul mare. Quell'organizzazione si fondava su di un concetto di stato diverso da quello che si è affermato in seguito, e che oggi ci appare come la sua unica possibilità di esistenza. In questo senso l'Adriatico costituisce un ammonimento prezioso per quanti riflettono sulle forme della convivenza umana, che sono ben più mutevoli di quanto siamo soliti pensare.

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