Rivista "IBC" XVII, 2009, 4
territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, storie e personaggi
Per comprendere pienamente un'architettura, prima ancora di analizzarne forme, volumi e dettagli, è necessario conoscere i contesti temporali e spaziali in cui si colloca: solo in questo modo il giudizio estetico acquista spessore critico e può rivelare anche caratteri non evidenti dell'opera. Per inquadrare nella giusta prospettiva la casa del fascio di Borgo Panigale, nella periferia bolognese, è quindi stato definito un periodo di tempo significativo (1922-1937), approfondendo tre temi d'indagine: Bologna e Borgo Panigale, le case del fascio e l'architetto Alberto Legnani. Tre storie che, proprio in quell'arco di tempo, si sono più volte intrecciate, arricchendo la trama principale con episodi inediti e talvolta sorprendenti.
Il primo intreccio, in ordine di tempo, è quello tra la storia di Bologna e la storia delle case del fascio: l'istituzione di queste case è fatta risalire al 1922, poco tempo dopo la marcia su Roma, per iniziativa di Leandro Arpinati, nel momento in cui massima era la sua vicinanza con Benito Mussolini. Arpinati fondò una società per restaurare Palazzo Fava, nel pieno centro di Bologna (ora sede del Museo civico medioevale), e stilò un vero e proprio elenco delle funzioni da ospitare: "Essa avrà sale di ritrovo, [...]; avrà sale per la biblioteca, [...]; avrà sale di scherma e di educazione fisica [...]; avrà un teatro ove si alternino con le rappresentazioni le conferenze e le lezioni, e una scuola [...]: avrà un ristorante capace di larga frequenza di soci e di simpatizzanti; avrà stanze per gli uffici del fascio". Un manifesto innanzitutto politico, che guidò l'organizzazione interna di un edificio destinato a contenere tutta una gamma inedita di funzioni associate all'istruzione e al tempo libero. In pochi anni molti altri centri della provincia di Bologna si dotarono di una casa del fascio, spesso riconvertendo strutture edilizie già esistenti, talvolta costruendone di nuove, riprendendo gli stilemi dell'architettura tardo ottocentesca.
Il secondo intreccio riguarda la storia di Borgo Panigale e quella di Alberto Legnani, che aderisce al MIAR, il Movimento italiano architettura razionale, nel 1930, nello stesso anno in cui gli venne commissionata la progettazione della casa di Borgo Panigale. L'anno successivo Legnani partecipò alla prima mostra di architettura razionale a Roma: si trattò di una scelta di campo decisiva, nel momento in cui la cultura architettonica italiana si divideva tra tradizione classicistica, retorica imperiale romana e stile internazionale. Una scelta "meditata e sincera", per usare le parole con cui la evocò Giuseppe Vaccaro, aliena da provocazioni e contestazioni, che doveva trovare il modo di esprimersi anche all'interno delle istituzioni, soprattutto in una realtà provinciale e fortemente conservatrice come quella bolognese.
Non è dunque un caso che, nel 1930, Legnani divenne segretario del sindacato provinciale architetti fascisti, posizione che gli consentì di agire attivamente per portare in città mostre, convegni, protagonisti dell'avanguardia architettonica, piuttosto che andare lui stesso (come fecero molti suoi amici, lo stesso Vaccaro e Melchiorre Bega tra tutti) in cerca di realtà meno provinciali e più interessanti. Il radicamento locale di Legnani è anche parte importante del progetto di Borgo Panigale: di quel Comune il padre Vittorio era stato sindaco all'inizio del Novecento e lì abitava parte della famiglia. Anche se è probabile che Legnani non abbia interferito nella scelta del sito, è comunque certo che il municipio e la piazza antistante, con l'edificio delle scuole, che si trovano immediatamente a nord della casa del fascio, fossero luoghi a cui era profondamente e forse anche affettivamente legato.
Il terzo intreccio si verificò nel 1932: il gruppo di propaganda del fascio giovanile di Bologna e la redazione del periodico "L'Assalto", nel decennale della rivoluzione fascista, bandirono un concorso di idee, il primo e unico, per l'elaborazione di case del fascio tipo, rivolto a tutte le scuole superiori di architettura italiane. La composizione della giuria fa intuire il ruolo svolto da Legnani, il quale, unico membro bolognese, dovette probabilmente segnalare gli altri membri: Ulisse Giulio Arata, Pietro Aschieri, Pietro Maria Bardi e Giuseppe Pagano. Ricordiamo brevemente che: Pietro Maria Bardi era stato tra i fondatori del MIAR (nella sua galleria si tenne appunto la prima mostra di architettura razionale); Pietro Aschieri era un architetto razionalista romano, "moderno ma non troppo", come recentemente lo ha definito Carlo Melograni; Giuseppe Pagano, il direttore di "Casabella", è tuttora troppo noto per aver bisogno di essere introdotto; il solo che poteva essere definito "tradizionalista" era Giulio Ulisse Arata, l'unico ad avere precedenti lavorativi bolognesi in quanto progettista della torre di Maratona, che sovrasta ancora oggi lo stadio comunale.
Il bando era ancora una volta un proclama politico: "Ormai la casa del fascio è un'istituzione tipo, di cui nessun paese o frazione, per quanto piccola, può fare a meno; perché è in essa che si concentrano le migliori energie del luogo, in essa si discutono gli interessi collettivi e si trova generosa e cordiale ospitalità [...]. E si desidererebbe che tutte le sedi assumessero una loro inconfondibile fisionomia architettonica tale da farle immediatamente distinguere, senza l'aiuto compiacente di scritte o emblemi. Anche il palazzo comunale e la chiesa sono architetture tipo; anche le officine, e fra esse, in particolare, per esempio, le fornaci e gli altiforni, portano impressa nelle loro forme la destinazione funzionale. Eppure non si trovano due palazzi comunali, o due chiese, o due officine, uguali fra loro, per disposizione di volumi, per forme, per misure. Orbene la casa del fascio deve distinguersi, a distanza, allo stesso modo del campanile, del comune, della chiesa. È ora che si finisca di costruire sedi di organizzazioni fasciste nei vari stili tradizionali [...]. Dobbiamo sentirci orgogliosi del nostro tempo e immedesimarci in esso perché la nostra vita è irrimediabilmente legata al suo sviluppo. Non più case del fascio ibride e insignificanti. [...] Ci rivolgiamo ai giovani delle scuole superiori di architettura, perché è da essi che possono uscire idee originali. Li invitiamo, pertanto, a cercare di risolvere fuori dagli schemi consuetudinari...".
La lettura del bando fa riflettere su alcuni punti: la capillarità della distribuzione delle case del fascio, che conferisce un ruolo nella struttura territoriale fino ad allora riconosciuto solo a campanili e municipi; l'emblematicità politica della tipologia funzionale, da una parte, e la flessibilità compositiva dall'altra, una elasticità tale da essere facilmente declinabile nei contesti e contaminata dai localismi e non un modello prefissato da replicare in modo sempre uguale; la necessità che questa casa tipo fosse interprete del presente, moderna nelle forme, nelle strutture, nei materiali. La volontà di guardare in avanti era rafforzata dal fatto che il concorso fu riservato agli studenti delle scuole di architettura, escludendo i professionisti affermati. Le categorie di concorso erano articolate in considerazione delle dimensioni demografiche dei centri urbani: il presupposto era che la casa del fascio potesse assumere sembianze e articolazioni diverse in relazione alla grandezza della città o del paese di riferimento. I risultati furono pubblicati anche su "Casabella" e commentati dallo stesso Pagano.
Nel 1932 il progetto della casa del fascio di Borgo Panigale era terminato e l'edificio era in costruzione, quindi Legnani difficilmente avrebbe potuto tenere separato il suo ruolo di progettista da quello di giudice del concorso: la valutazione positiva delle soluzioni che proponevano volumi articolati, rendendo possibile una realizzazione per fasi successive dell'edificio, aveva certamente a che fare con il progetto di Borgo Panigale, la cui realizzazione era appunto prevista per fasi successive, tenendo conto della scarsa disponibilità economica della committenza. Nel 1933, proprio quando ebbe inizio la fine dell'autonomia comunale di Borgo Panigale (il prefetto di Bologna aveva intimato ai podestà di Borgo Panigale, San Lazzaro e Casalecchio di decidere sulla loro annessione), si concludeva la prima fase di costruzione della casa del fascio, con la realizzazione del blocco uffici e del fronte della sala teatro sulla via Emilia. Iniziò allora la fortuna critica di questo edificio, che fu pubblicato prima sulla rivista francese "L'Architecture d'Aujourd'hui", poi sulle riviste italiane "Domus" e "Architettura".
Nell'articolo su "Domus" la casa del fascio fu messa a confronto con la scuola di avviamento agrario di Castelfranco Emilia, l'opera con cui Legnani aveva partecipato alla prima mostra del MIAR. Si legge nell'articolo: "Il paragone è interessante e segnalatore dello sforzo di semplificazione che conduce i nostri architetti verso forme più belle, più schiette, in conseguenza più nostre. La facciata di Castelfranco è tormentata da elementi addossati e sovrapposti, che curiosamente ricordano Frank Lloyd Wright e che testimoniano nell'architettura di un lavorìo e di una ricerca che han trovato nell'opera la propria documentazione, non il proprio sbocco [...]. Più giustificato e insieme più armonico e collegato è il gioco delle varie parti dell'edificio di Borgo Panigale. Esso testimonia di un affinarsi delle qualità critiche dell'architetto che sa raggiungere e affinare i partiti senza sforzo e senza aiuto di ripieghi. In questa costruzione vi sono riflessi, nobilmente espressi tuttavia, di un carattere di molti edifici contemporanei. Una derivazione medioevale alleata a una linearità razionalistica ne sono i partiti più evidenti, il punto debole e la cifra: un senso scenografico, decorativo, la informa, un che di 'pittoresco' (i motivi fuori asse e simmetria) fa appartenere anche questo genere di architettura a quei 'prodromi di nuovo romanticismo'".
Osservando la posizione della casa del fascio, se ne nota l'arretramento di circa 30 metri rispetto alla via Emilia, arretramento che risulta funzionale alla creazione del piazzale delle adunate, sviluppato per tutti i 45 metri di lunghezza del fronte principale. Il piazzale si presenta in leggera pendenza, poiché il piano di spiccata dell'edificio si trova a una quota superiore a quella della strada. I volumi in facciata si dispongono senza un ordine simmetrico, rimanendo su piani diversi. Il primo volume contiene al piano terra un grande ufficio e il corpo scala che, nel fronte laterale che costeggia la strada di accesso al municipio, si riconosce per la grande vetrata a doppia altezza. È la torre d'ingresso il richiamo alla tradizione medioevale, ancora più evidente per la scelta del mattone faccia a vista. La torre, leggermente avanzata, si raccorda al primo piano con l'altro volume, che contiene l'ingresso alla sala teatro, per mezzo di un balcone/loggia a cui si accede direttamente dalla torre, ma non dall'interno dell'edificio. Il blocco degli uffici è il volume più arretrato, l'unico intonacato, anche se solo nella parte superiore.
Il fronte a nord non replica la complessità compositiva della facciata principale, anche se pure esso si affaccia su una piazza e fronteggia gli edifici pubblici più importanti: il municipio e le scuole. È chiara dunque la volontà di conferire maggiore rilevanza agli edifici e agli spazi aperti che rappresentano il nuovo regime, rispetto a quelli che rappresentano la municipalità. Il diretto collegamento della casa del fascio con la via Emilia, la strada consolare romana, è estremamente significativo e richiama indubbiamente la retorica imperiale fascista. Il raccordo con il contesto, in questo progetto, è tutt'altro che trascurabile: l'edificio ha innanzitutto la funzione di definire lo spazio in cui si colloca, di stabilire gerarchie e relazioni non solo funzionali, ma soprattutto simboliche con tutto l'intorno. La facciata venne usata come sfondo scenografico: una struttura da completare e arricchire con decorazioni mobili, in composizioni diversificate a seconda dell'occasione.
Pur mancando scritti di Legnani che illustrino o commentino in modo specifico la casa del fascio di Borgo Panigale, è possibile trovare tracce del programma che può averlo guidato nella relazione allegata al progetto di un'altra casa del fascio, quella di Sesto Calende (Varese). Il progetto per Sesto Calende vinse uno dei primi concorsi banditi per questa tipologia edilizia: "Nella sistemazione planimetrica dell'edificio si è tenuta presente anzitutto la necessità di creare un piazzale di sosta davanti al teatro e alla casa littoria fuori dalle direttrici di traffico [...]. Questo piazzale è indispensabile per le adunate pubbliche mentre per le adunate delle varie organizzazioni che hanno la loro sede nella casa del fascio, meglio si presta il piazzale interno in diretta comunicazione con il primo attraverso un passaggio coperto. Nella sistemazione studiata vi è una chiara distinzione architettonica fra la parte rappresentativa della casa del fascio costituita dalla sala delle assemblee e cinema-teatro e la parte funzionale costituita dall'insieme dei locali per gli uffici. L'indipendenza strutturale di questi due organismi consente anche una facile lottizzazione di questi in tempi successivi dell'esecuzione dell'opera".
Sono almeno due i princìpi che trovano riscontro anche nel progetto per Borgo Panigale: l'attenzione agli spazi aperti generati dalla composizione volumetrica dell'edificio e la possibilità di una realizzazione per fasi successive. Il concorso per Sesto Calende è del 1937, lo stesso anno in cui Borgo Panigale perdette l'autonomia comunale con la definitiva annessione a Bologna, altro casuale intreccio tra la storia di Legnani e la storia di questa località. La casa del fascio di Borgo Panigale fu completata, con la costruzione della sala teatro, nel 1940; il progetto depositato non è a firma di Legnani ma dell'ingegner Querzoli che, forse, aveva già collaborato alla prima fase. Nel dopoguerra i due corpi principali dell'edificio, anche in virtù di quell'indipendenza funzionale e strutturale che gli era stata conferita fin dall'origine, vennero utilizzati ciascuno per scopi diversi, tanto che per alcuni anni ospitarono rispettivamente un cinema a luci rosse e la caserma dei carabinieri.
Tutto l'apparato decorativo fascista, con la caduta del regime, fu rimosso e distrutto: al posto del bassorilievo in facciata è stata aperta una grande finestra, che ha mutato radicalmente il ritmo delle bucature e il rapporto tra pieni e vuoti, cosa cui ha contribuito anche il mancato uso del tetto piano come terrazzo-lastrico solare. Ma l'aspetto che sembra aver maggiormente tradito il progetto originario è l'utilizzo degli spazi aperti: quello che fronteggia la via Emilia è ovviamente diventato un parcheggio di servizio alle funzioni via via ospitate nell'edificio; quello retrostante, dove si affacciano anche gli altri edifici pubblici ora sede del quartiere, pur essendo inibito alle macchine, è vuoto e privo di carattere, tanto da risultare un po' desolante. Oggi la casa del fascio è oggetto di un cantiere incompiuto, che prima o poi dovrà ripartire e recuperare, si spera, non solo la struttura architettonica, ma anche e soprattutto il proprio ruolo di elemento ordinatore nel contesto, capace di definire e raccordare gli spazi aperti di uso pubblico.
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