Rivista "IBC" XVI, 2008, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, restauri

Il complesso recupero di Villa Torlonia, a Roma, mette in evidenza la distanza tra una serie di approcci parcellizzati e una programmazione unitaria.
Deve esserci un sistema

Alessandro Califano
[Centro ricerca e documentazione arti visive, Roma]

Quando fu espropriata dal Comune di Roma, che la destinò a parco pubblico aprendola alla cittadinanza nel 1978, Villa Torlonia versava in condizioni di estremo degrado. Alla fine della Seconda guerra mondiale, tra il 1944 e il 1947, era stata sede del comando alleato angloamericano con un cambio di destinazione d'uso e un accesso costante di automezzi pesanti che avevano contribuito a danneggiare edifici e decorazioni, ricche di mosaici, vetrate, opere in ferro battuto. I trent'anni successivi avevano visto uno stato di completo abbandono, con ulteriori gravissimi danni alle strutture edilizie e il proliferare di una rigogliosa vegetazione incolta.

Oggi, oltre trent'anni dopo la sua acquisizione da parte del Comune di Roma, la villa seguita ancora, almeno in parte, a essere un grande cantiere per il restauro e la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente. Il recupero del "Casino nobile" - già residenza Torlonia, quindi dato in affitto a Mussolini tra il 1925 e la fine dalla guerra - è stato ultimato nel 2006 e l'edificio è stato aperto al pubblico dal 22 dicembre di quell'anno. Anche il "Villino medioevale" - con uno spazio museale dedicato a un'accattivante programma di sperimentazione scientifica per i giovani tra gli 11 e i 17 anni, strutturato in sette sale - è stato recuperato. Un'ala dell'edificio ospita una vasta area di ristoro che si stende anche a parte del retrostante giardino della "Limonaia".

Ora fervono i lavori per recuperare anche l'edificio del "Teatro", che sorge nelle immediate vicinanze. Una copertura volante consente di operare a cielo aperto al rifacimento del tetto, sfidando le piogge invernali, e sulle impalcature tutto intorno si lavora dal 18 luglio 2007. Per i lavori sono stati stanziati complessivamente poco più di 6 milioni e mezzo di euro ed è stata prevista una durata di 458 giorni. E tuttavia non è che la penultima tranche di un'opera di recupero protrattasi, con alterne vicende, per decenni. Una circolare del 21 dicembre 2007, a firma del presidente del Municipio Roma III, nei cui confini rientra l'area, annuncia: "A Villa Torlonia, fiore all'occhiello del nostro patrimonio artistico, sono iniziati i lavori per il restauro del Teatro. Con quest'ultima opera, di concerto con i lavori alla Serra moresca, si concluderanno gli interventi programmati per far tornare la Villa agli antichi splendori". Prima di dedicare qualche breve riflessione alla questione appunto della "programmazione" degli interventi di recupero, è quindi il caso di riassumere per sommi capi questa storia.

Nel 2002 apriva, dopo lunghi lavori di restauro, il "Casino dei principi", posto nei pressi del muro perimetrale della villa, lungo via Nomentana, vicino all'ingresso "nobile" della villa. Già parecchi anni prima, in verità, il Casino aveva ospitato qualche piccola mostra, allestita in un paio di salette buie e fredde, ma a seguito dei lavori di recupero esso dispone ora di ingressi che, seguendo la scoscesa disposizione del terreno, danno accesso sia al primo piano che al piano terreno. L'edificio viene aperto in occasione di mostre temporanee e ospita, oltre all'archivio della Scuola romana (una raccolta di informazioni e documenti su artisti, movimenti e luoghi dell'arte nella Capitale tra il 1919 e il 1944), la collezione di sculture dei Torlonia, con copie di opere antiche e di opere ottocentesche.

Un lustro prima vi era stata invece l'inaugurazione della "Casina delle civette", il cui paziente e minuzioso restauro degli ambienti e della struttura edilizia, effettuato tra il 1992 e il 1997 a cura dell'Ufficio tecnico della Sovrintendenza e dall'Assessorato ai lavori pubblici del Comune di Roma, rappresenta uno dei migliori risultati dell'opera di recupero della villa. Oggi essa ospita, oltre alla Biblioteca delle arti applicate, il Museo delle vetrate liberty - con acquarelli, disegni e cartoni preparatori di molte delle vetrate dell'edificio - e accoglie un notevole pubblico anche in occasione degli eventi, in genere di carattere concertistico, che vi si susseguono con una certa regolarità.

Altri edifici della villa erano stati recuperati già precedentemente. Le "Scuderie nuove", un basso edificio nelle vicinanze del primo ingresso laterale della villa su via Spallanzani, ospitano da tempo un centro anziani, tuttora molto frequentato. Un piccolo edificio posto accanto allo stesso ingresso è stato trasformato in alloggio di servizio, mentre le "Scuderie vecchie", lungo le mura perimetrali all'angolo tra via Spallanzani e via Nomentana, sono state presto adibite a deposito per il Servizio giardini. Il terreno intorno a queste ultime, delimitato da una recinzione metallica, è oggi occupato da automezzi di lavoro, mentre il retro pare prevalentemente adibito a deposito di materiali eterogenei dismessi. L'edificio, dotato di un ascensore esterno tra piano terreno e primo piano in una struttura trasparente, ospita anche la Biblioteca dell'Accademia nazionale delle scienze, detta "dei Quaranta". La stessa Accademia aveva avuto in concessione dal Comune di Roma anche il cosiddetto "Villino rosso", posto all'angolo tra via Spallanzani e via Siracusa, e ne aveva preso possesso l'1 dicembre del 2000.

Dall'alto della collinetta che separa il Casino nobile dalla Casina delle civette - un tempo terreno incolto, regno di piccoli animali e rovi, oggi percorso fino in cima da sentieri - si gode di un bel colpo d'occhio sull'intera villa e su buona parte dei suoi edifici. Solo indistintamente trapelano a tratti, fra gli alberi, i contorni delle case vicine e verrebbe quasi da pensare di trovarsi in un'area remota dalla città. Si scorgono dall'alto anche il "Campo da tornei" con i suoi padiglioni (una sorta di accampamento medioevale) e il cosiddetto "Lago del Fucino", posto su di un livello di terreno più elevato rispetto a quello. Questo ricorda l'area dell'omonimo lago abruzzese, teatro dell'opera di bonifica avvenuta tra il 1855 e il 1878 per volontà di Alessandro Torlonia. Fu un'opera che gli fruttò il titolo di principe e una nuova, gigantesca area coltivabile, suddivisa poi dalla riforma agraria del secondo dopoguerra tra gli abitanti dei comuni limitrofi, i nuovi coloni intervenuti e gli altri 14000 ettari destinati nel 1951 all'Ente Fucino.

Posto tra un boschetto di bambù e un pittoresco ammasso di rocce, il laghetto ripristinato dai lavori di recupero della Villa rende però un pessimo servizio alle Catacombe ebraiche. Rimaste in uso probabilmente fino al V secolo e utilizzate forse sin dal I secolo avanti Cristo - prima ancora, quindi, delle catacombe cristiane di Roma - furono scoperte nel 1918 e, poste su più livelli, coprono un'area di oltre un ettaro. Vi si accede dalla scarpata sottostante il laghetto e in un'ottica di conservazione preventiva è evidente che, nonostante un'accurata impermeabilizzazione della vasca, non possono, in prospettiva, sottovalutarsi - per la nota incompatibilità tra strutture di terra, affreschi e acqua... - i rischi rappresentati dalla presenza di una notevole massa d'acqua raccolta proprio là dove lo spessore della volta delle catacombe è minore.

Per giungere in vista della "Torre" e della "Serra moresca", oggetto dei lavori di recupero appena avviati, occorre invece abbandonare il viottolo che dalla Casina delle civette conduce lungo il Campo da tornei verso l'uscita della Villa su via Siracusa. Addentrandosi a sinistra del sentiero, verso le mura perimetrali della villa lungo via Alessandro Torlonia, per un boschetto alquanto cupo si giunge a una recinzione. È in quest'area scoscesa che, nel 1993, perse la vita una bambina a causa di un crollo di parte della struttura fatiscente dove si era avventurata. La zona venne poi perimetrata con una rete, ma per 18 lunghi anni questa fu più o meno l'unica misura presa. "L'appalto per il restauro di questi edifici" - ricordava il sito di "Patrimonio SOS" nel luglio del 2007 - "partito nell'aprile del 2005 era di 3,4 milioni e la durata prevista dei lavori di 450 giorni. Ora il costo è lievitato a più di 4 milioni di euro e la durata dei lavori non è ancora nota" (www.patrimoniosos.it).

Come si diceva all'inizio, tuttavia, alla metà del gennaio 2008 l'area ha iniziato a venire disboscata dai rovi che la infestavano. Resta comunque, e pesa molto, la questione del grave ritardo con cui si è giunti a intervenire organicamente su questa porzione della villa. Diciotto anni di intervallo tra un evento luttuoso e l'attivazione delle misure strutturali che avrebbero, sin da principio, dovuto impedirlo, paiono decisamente troppi, anche ragionando con il senso del tempo di una città che si vuole "eterna". L'impressione generale che si ricava, in realtà, sia da un esame dei lavori di recupero della villa intervenuti nel trentennio di gestione da parte del Comune di Roma, sia da quello delle destinazioni d'uso delle varie porzioni via via recuperate, è quello di una certa incongruenza.

Incongruenza non dovuta tanto a scelte di ripristino forse filologicamente corrette, ma in parte certo non ottimali - e l'esempio dello stagno sovrastante l'ingresso alle Catacombe pare essere qui il più eclatante - ma piuttosto alla carenza di un piano fortemente pensato, sottostante all'opera di recupero stesso. Non basta il pieghevole dedicato ai "Musei di Villa Torlonia" perché l'immagine della villa appaia davvero come uno spazio interamente e armonicamente musealizzato. Se questo è indubbiamente vero per la Casina delle civette, per il museo educativo del Villino medioevale e, in qualche misura, anche per il Casino nobile, ciò stona invece fortemente con gli spazi aperti a singhiozzo, con gli edifici dotati di funzioni ibride - come avviene per il Casino dei principi e per le Vecchie scuderie - o peggio ancora, come nel caso dell'Accademia nazionale delle scienze, con lo spezzettamento di una stessa funzione tra più edifici.

La manutenzione degli spazi verdi, evidentemente approssimativa, può certo ricondursi in parte alla scarsa educazione di alcuni visitatori (ma una "Gazzetta dello Sport" del 23 gennaio scorso sporgeva ancora, dal cestino ove era stata correttamente riposta, fino a tutto il 28 di quel mese...), alle carenze di personale, alla stessa presenza dei cantieri (che tuttavia sono ben isolati rispetto al circuito dei visitatori), o magari alla sovrapposizione gestionale delle strutture di Sovraintendenza e Servizio giardini. Ma le incongruenze di quello che potremmo chiamare il "Sistema Villa Torlonia", sembrano doversi ricondurre ad altro: alla mancanza di una cultura progettuale di tipo olistico, di ampio respiro e ancor più vasta visione.

È quella visione - tanto per fare un esempio banale, ma a tutti ben noto - che ha fatto sì che la prosecuzione dell'asse Tuileries-Champs Élysées oltre l'Etoile, fino al grande arco della Défense e potenzialmente anche oltre, fosse nel DNA degli urbanisti parigini per un arco di tempo maggiore della durata media d'un governo nazionale, o di un mandato amministrativo cittadino. In mancanza di una tale visione, si è avuta per Villa Torlonia una programmazione parcellizzata, mossa da fattori contingenti. Ricca, indubbiamente, di realizzazioni anche di alto livello, ma priva di quell'omogeneità e di quello spessore culturale che al recupero della villa avrebbe conferito una progettazione unitaria.

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