Rivista "IBC" X, 2002, 3
musei e beni culturali / didattica, storie e personaggi
Nell'agosto del 1944 il casolare di Ca' Cornio, sull'Appennino forlivese tra Modigliana e Tredozio, è stato teatro della fine tragica di Silvio Corbari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli ed Iris Versari, protagonisti della Resistenza in Romagna. A partire dagli anni del dopoguerra, d'estate, in occasione dell'anniversario, vi si sono svolte cerimonie e commemorazioni e questo ha contribuito a creare e a confermare l'identità simbolica dell'edificio come luogo della memoria.
Il casolare, che è di proprietà dell'Amministrazione provinciale di Forlì-Cesena, è stato restaurato e destinato all'accoglienza di gruppi (attualmente la gestione è affidata, con una convenzione, alla sezione modiglianese dell'Associazione guide e scouts cattolici italiani); il progetto complessivo di ristrutturazione, elaborato in collaborazione con l'IBC, prevede l'allestimento di una sala "museale" dedicata alla documentazione degli eventi di Cà Cornio e, più in generale, della lotta di Liberazione. Uno strumento per far sì che la visita o il soggiorno nella casa possano essere un'opportunità di riflessione e un modo per conservare e tramandare la memoria della Resistenza e dei suoi protagonisti.
Lo scorso 8 giugno si è inaugurata la mostra documentaria permanente, primo passo della sala museale, realizzata a cura dell'IBC in collaborazione con gli Istituti storici di Forlì e Ravenna, che illustra le vicende della Banda Corbari anche oltre l'agosto 1944, inquadrandole nel più ampio contesto storico della lotta di Liberazione in Italia. Per avvicinare i giovani alla conoscenza di quel periodo la Scuola media di Modigliana e Tredozio ha realizzato una ricerca tra storia orale e documenti: ne presentiamo un estratto, preceduto dalla introduzione della preside Maria Annunziata Angelini.
Ogni paese è luogo di memoria: i ricordi dei più anziani, particolari edifici e alcuni scritti sono testimonianze di chi è vissuto prima di noi. Per questo la Provincia di Forlì-Cesena ha creato un coordinamento dei "luoghi della memoria" legati al ricordo della Resistenza e Modigliana e Tredozio, cittadine dell'entroterra faentino (ma appartenenti alla provincia forlivese-cesenate), ne fanno parte in quanto sul loro territorio si trovano l'edificio di Ca' Cornio e la chiesa di San Valentino, che furono teatro delle azioni della banda Corbari.
Nell'anno scolastico 2001/2002 i docenti della Scuola media di Modigliana e Tredozio - su sollecitazione dell'Assessorato alla cultura della Provincia e con il patrocinio delle amministrazioni dei due Comuni, dell'Istituto storico della Resistenza e delle Associazioni partigiane - hanno programmato ed attuato un'attività di ricerca sulla Resistenza nella Valle del Tramazzo, allo scopo di avvicinare i ragazzi alla storia dei luoghi in cui vivono. La memoria storica ha infatti un ruolo fondamentale nella vita dei singoli e delle comunità sociali perché contribuisce alla costruzione della loro identità ed è determinante per la progettazione e costruzione del futuro.
Certo è, comunque, che nella particolare fascia d'età preadolescenziale l'apprendimento storico è poco significativo, e gli insegnanti devono continuamente trovare nuove strategie per motivare i propri alunni e accendere in loro interesse ed attenzione. L'insegnamento della storia, per interessare, deve superare la logica del racconto ciclico dei fatti ed andare alla ricerca di strade più incisive. Sicuramente una di queste strade è la possibilità di ricercare ed adoperare le fonti e superare i limiti dei manuali, come pure un'altra è quella di indagare sulla storia locale per rapportarla poi a quella generale.
È con questo spirito che quattro gruppi classe della nostra Scuola media "Silvestro Lega" di Modigliana e Sezione staccata di Tredozio, nell'arco di circa quattro mesi, hanno ricercato fonti scritte, hanno fatto interviste, raccolto e rielaborato dati al fine di una ricostruzione degli ambienti della vita quotidiana e degli eventi. Guidate dai rispettivi insegnanti di lettere (i professori Alba Maria Continelli, Giovanni Manucci, Maria Matulli e Maria Succi), le classi si sono impegnate in modo autonomo, sulla base però di un progetto comune precedentemente concordato ed utilizzando gli stessi strumenti.
Momenti di attività comune sono stati la partecipazione alle lezioni tenute dal professore Roberto Balzani e le interviste fatte agli ex combattenti della banda Corbari e ad altre persone che hanno condiviso i ricordi di quell'epoca. Sono emersi pertanto i sentimenti, i ricordi, le emozioni della gente dei due paesi e ne è venuto fuori un affresco di queste due comunità. Certamente gli obiettivi prefissati a livello cognitivo sono stati raggiunti, ma ciò che più ha gratificato gli insegnanti e le comunità locali sono stati l'entusiasmo e l'interesse dimostrati dai ragazzi durante il percorso di ricerca.
***
Cenni di vita quotidiana sulle colline romagnole nel periodo della Resistenza
L'ultimo periodo di guerra (1943-1945) in Italia fu anomalo, straordinario: mai, nel corso dei secoli, dopo le invasioni barbariche, l'Italia aveva visto il proprio territorio invaso, le case, i paesi, le città occupati capillarmente dai nemici, bombardamenti per ogni dove, combattimenti nelle campagne, attentati nelle città. Il nemico non era solo lo straniero, era il vicino di casa, era il parente, l'amico. Si rischiava che nella stessa famiglia ci fossero il partigiano e il milite repubblichino a combattere per due ideali opposti.
La scelta di stare da una parte o dall'altra molte volte era condizionata da elementi estranei alla politica, a volte poteva essere il bisogno, la possibilità di mantenersi che faceva pendere la bilancia verso la Milizia, anche la prospettiva di un futuro lavoro, oppure dall'altra parte poteva essere un non ben definito desiderio di libertà, la paura di andare o tornare al fronte, il desiderio di rimanere nei luoghi d'origine. Per pochi la scelta fu consapevole e motivata da profonde convinzioni politiche. Molti attesero gli eventi, in particolare coloro che avevano famiglia o che avevano già combattuto in guerra e, fortunosamente tornati, non avevano più voglia di rischiare.
Tra i partigiani l'età media era bassa, sotto i vent'anni, la nuova generazione, orgoglio del Fascismo, che si schierava contro di esso. Effettuata la scelta di "darsi alla macchia" e di aggregarsi ai "ribelli", il giovane partigiano interrompeva i contatti diretti con la famiglia, girava senza documenti per non compromettere i propri cari, pertanto non poteva muoversi liberamente e senza pericolo in luoghi abitati, paesi, città. Le notizie su genitori e parenti arrivavano occasionalmente attraverso altri.
La sopravvivenza era garantita dal fondamentale appoggio dei contadini che vivevano sulle colline ed offrivano cibo e, a volte, alloggio ai partigiani. Non sempre il cibo veniva dato volentieri, le famiglie erano numerose, la fame tanta. Da paesi e città gli sfollati giungevano ad abitare presso molte case di contadini, spesso avevano soldi, non alimenti, e le già ridotte possibilità alimentari delle famiglie contadine si assottigliavano sempre di più. Arrivavano i partigiani, dopo di loro i tedeschi o i fascisti e tutti volevano mangiare: era uno stillicidio continuo.
I partigiani dovevano spostarsi in continuazione per evitare delazioni, controlli, tradimenti. Si muovevano preferibilmente col buio, dormivano spesso all'aperto, sotto gli alberi, a volte dentro stalle o casupole isolate. Alzarsi al mattino dopo una nottata all'addiaccio era una sofferenza: per scaldarsi ci voleva anche una mezz'ora.
I partigiani vivevano costantemente in compagnia della fame. Per questo si accostavano spesso alle canoniche, oltre che alle case di contadini, dove erano sicuri di trovare pane e companatico: formaggio, prosciutto, uova, quando ciò avveniva era una festa; più spesso invece si dovevano accontentare di pane, mele o pere rinsecchite, fagioli, a volte latte.
I sentimenti più importanti erano quelli dell'amicizia e della solidarietà, l'amore poteva essere pericoloso, gli incontri trappole, la precarietà del momento non consentiva di intrecciare rapporti significativi con l'altro sesso. Le donne partigiane erano presenti soprattutto nella Brigata Garibaldi, erano le "staffette" che tenevano i collegamenti con l'esterno e tra i vari gruppi. Venivano rigidamente controllate ed erano proibiti rapporti affettivi con gli uomini della Brigata.
I partigiani dei vari gruppi avevavo creato una fitta rete di supporto per la propria sopravvivenza, una rete che comprendeva i poderi, meglio i più isolati, e le parrocchie, soprattutto montane. La geografia e la morfologia del territorio: punti di riferimento, distanze, valichi, sentieri, boschi, ruscelli, tutto era stampato nelle menti. Ciò era noto ai fascisti ed ai nazisti che, in primo luogo, cercavano i partigiani per i boschi e nelle case di campagna, inviando spie ed effettuando rastrellamenti periodici.
I contadini si trovavano spesso tra due fuochi, un giorno ospitavano i tedeschi, un giorno (o meglio, una notte) i partigiani, a volte contemporaneamente: i partigiani nel fienile o nel bosco dietro casa ed i tedeschi in casa. Quale scelta era possibile fare? Una scelta fu fatta: quella della sopravvivenza, aiutare gli uni ma accettare anche gli altri, sperando nella fine della guerra. Nei rastrellamenti, negli eccidi, nelle stragi perì per molti di essi ogni residuo di speranza. Una questione spinosa e ricorrente nei discorsi di molti si affaccia: attacchi, attentati, uccisioni da parte dei partigiani provocarono reazioni sproporzionate dei nazifascisti, che compirono azioni di rivalsa sulla popolazione inerme.
[...]
Intervista ad un ex milite fascista
Quando è nato?
Sono nato nel 1922.
Quando fu chiamato alle armi?
Il 9 settembre del '42 ricevetti la cartolina precetto e fui arruolato nel primo reggimento genio pontieri di stanza a Legnago. Tra me e Corbari, nonostante lui fosse del '23, c'erano solo pochi mesi di differenza ed anche lui era una recluta nello stesso reggimento. Essendo della stessa zona era normale che ci conoscessimo. Poi diventammo anche amici e rimanemmo insieme fino all'ottobre-novembre, quando lui tornò a casa perché, mi disse, aveva la fidanzata incinta.
Prima di essere arruolato nell'esercito regio, aveva aderito al partito fascista?
Avevo vent'anni e, fin da bambino, sin da quando ero alle elementari, mi sentivo fascista: ero stato figlio della lupa, balilla, avanguardista... La tessera la davano solo a ventun anni, ma non era necessario per essere fascista.
Volevamo chiederle se aveva combattuto in Spagna, ma, adesso che conosciamo l'anno di nascita, sappiamo che sarebbe stato troppo giovane.
Infatti, ma ci andò mio padre.
Faceva parte della milizia fascista?
Non allora, si entrava nella milizia solo dopo il servizio militare.
Perché si arruolò nell'esercito della Repubblica di Salò?
Dopo l'8 di settembre chi era tornato a casa aveva quattro possibilità: fare la guerriglia con i partigiani, nascondersi in cantina o in campagna, aspettare la cartolina o arruolarsi volontario. I partigiani erano per il novanta per cento comunisti ed io i comunisti li vedevo come il fumo negli occhi, vivere come un topo non me la sentivo, forse volevo vivere intensamente, ero pieno di spirito d'avventura; mi arruolai volontario nella milizia. Credo che uno dei motivi sia stato anche il fatto che molte persone che io conoscevo bene come attivisti fascisti, dopo il 25 luglio avevano cambiato gabbana. Cambiare è giusto, ma non da un momento all'altro: quindi o falsi prima o falsi dopo e questa falsità ai miei vent'anni non andava giù e io volevo essere coerente.
Ha partecipato ad azioni compiute dalla milizia?
Sì, ho combattuto anche contro i partigiani. Quasi sempre erano loro ad attaccare e noi rispondevamo al fuoco. Ricordo un mio amico, Ghetti Renzo, di Casa Leonardi. Era un milite con me a Faenza ed era stato congedato perché aveva un problema al cuore. Fu ucciso il 27 settembre '43 dai partigiani, mentre lavorava nel suo campo.
Quale opinione aveva allora dei partigiani?
Per me erano dei comunisti che volevano trasformare l'Italia in una repubblica comunista come la Russia. Il fascismo aveva instaurato un governo autoritario, Stalin una feroce dittatura.
Era a conoscenza delle azioni della banda Corbari?
Certo, io avevo conosciuto bene Corbari. Sapevo che non era comunista, ma un individualista, faceva una guerra personale, non aveva molti rapporti con le altre formazioni partigiane. Sapevo che compiva anche azioni teatrali soltanto per il gusto della beffa. Sapevo che aveva occupato Tredozio per quindici-venti giorni e che poi una ventina del suo gruppo erano stati catturati a Ca' Morelli. Seppi che aveva ucciso il console Marabini, fu proprio questa azione a dare inizio alla caccia all'uomo che portò alla sua cattura. La sera dell'8 agosto io ero a Castrocaro e vidi i due impiccati [Silvio Corbari e Adriano Casadei, ndr]. Chiesi ad alcuni militi dell'"M 9 settembre" come fosse andata e mi dissero che avevano infiltrato nella banda due spie che aveva indicato loro dove si trovava Corbari.
Può darci qualche notizia su questo famigerato battaglione "M 9 settembre"?
Sì, li conoscevo. Erano per lo più slavi italianizzati, venivano dall'Istria, dalla Dalmazia, avevano combattuto nella campagna di Russia, da cui erano tornati decimati. Sicuramente erano destinati ad operazioni antiguerriglia.
Oggi farebbe la stessa scelta?
Sì, nelle stesse condizioni (nelle stesse tragiche condizioni, che mi auguro non si ripetano mai più), sì.
[...]
Intervista ad un ex partigiano, componente del gruppo Corbari
Quando diventò partigiano?
Alla fine di giugno del '44, avevo diciasette anni. Quelli della classe 2b o si arruolavano volontari o dovevano lavorare per i tedeschi. Io lavoravo alla costruzione di trincee e camminamenti a San Bovello (vicino a San Godenza). Quando si sparse la voce che ci avrebbero portati in Germania scappammo tutti, io andai con Corbari.
Quando lei arrivò, la banda era unita o divisa in drappelli?
Era divisa in gruppi, ognuno con un caposquadra.
Quando si riuniva?
Ogni quindici-venti giorni quando c'era un incontro o un'azione. L'ordine lo dava il comando che era costituito da Corbari e Casadei.
Come vivevate?
Nascosti nelle case dei contadini, spostandoci di notte. Ci fermavamo in una zona per un po' finché non arrivava dal comando l'ordine di spostarci o di riunirci per un'azione. Eravamo male armati, per questo trovo strano che oggi si parli di caserme svaligiate.
Oltre che in combattimento, ci furono occasioni in cui foste costretti ad uccidere?
Sì. Quando incontravo i nazifascisti era la nostra vita contro la loro. Non potevamo permetterci di fare prigionieri, dovevamo spostarci in continuazione. Però se non era necessario non lo facevamo. Ricordo che sulla Busca catturammo due tedeschi, gli togliemmo le armi e le scarpe e li lasciammo liberi. Loro fermarono il rastrellamento che era già iniziato. Più tardi ci siamo rivisti da lontano e ci siamo salutati. Anche loro erano uomini come noi che avrebbero preferito non uccidere e non essere uccisi.
Che tipo era Casadei?
Era un ragazzo d'oro. Parlava poco, ma quando eri con lui ti sentivi sicuro anche davanti alla morte. Era sempre l'ultimo a ritirarsi.
E Corbari?
Non ho avuto modo di conoscerlo bene. Mi sembrava inavvicinabile come la Versari. Non è che non parlasse con noi, ma era meno alla mano di Adriano.
Appariva spesso a cavallo?
Mai, cioè io non l'ho mai visto.
[...]
Come andò sul monte Lavane?
Partimmo la sera da San Valentino, camminammo tutta la notte e arrivammo la mattina. Bisognava preparare la piazzola per il lancio: accendemmo la batteria che dando impulsi dava il segnale convenuto. La notte venne effettuato il lancio: c'era il gruppo di Palì di Brisighella e la Garibaldi; raccogliemmo insieme i materiali lanciati e dopo che ciascuno ebbe preso la sua parte rimasero dell'esplosivo e delle munizioni, che collocammo in una capanna. Poi gli altri se ne andarono e rimanemmo solo noi della Corbari.
La mattina una sentinella (uno di Modigliana che chiamavano "il volontario") avvistò i tedeschi e i militi che stavano salendo (provenienti da San Benedetto); non so quanti erano ma urlavano in modo tremendo per spaventarci. Ci dividemmo in quattro gruppi, ci appostammo in posizioni diverse e cominciammo a sparare. Il combattimento durò dalle dieci alle diciasette. Io ero insieme a Casadio (di Modigliana) e Adriano Casadei.
Quando ci accorgemmo che dalle altre posizioni non si sparava più, decidemmo di ritirarci anche noi. Io avevo imparato a San Bovello come si faceva una miccia e la feci. Mentre arrivavano i nazifascisti, la capanna saltò. Non so quanti morti e feriti ebbe il nemico, noi non potevamo saperlo. Noi avemmo un ferito: Ghiselli. Io gli legai le gambe con la corda di un paracadute e volevo portarlo con noi, ma lui non volle venire. Casadei voleva tornare indietro, ma poi capì che non era giusto ci fosse un morto per un ferito. Il giorno dopo lo trovarono i pastori e lo portarono in salvo.
Ci parli del combattimento a Lago.
Presso la discesa della Rivatella una nostra pattuglia in perlustrazione fermò due polacchi su un carro trainato da buoi e li uccise. La rappresaglia partì con un rastrellamento da Lago a Casale. I tedeschi ed i militi fascisti avanzavano facendo terra bruciata: bruciavano i pagliai e le case, ed uccidevano. Noi ingaggiammo con loro un combattimento fra Lago e Casale che durò varie ore. Noi partigiani eravamo una quindicina (c'erano soprattutto modiglianesi e faentini); abbiamo avuto un ferito, un certo "Pascariello".
Ricorda l'episodio di Montebello?
Sì. Catturammo un maggiore ed un sottufficiale tedeschi che transitavano su una Topolino. Fummo costretti ad ucciderli, poi nascondemmo la Topolino in un fosso e la coprimmo con erba. La recuperammo dopo la fine della guerra.
Se ritornasse indietro rifarebbe quell'esperienza?
No, perché è stato troppo brutto, troppo drammatico.
Come trova le varie narrazioni che parlano delle vicende della banda?
Spesso molto fantasiose, anche se chi narra era con noi.
Azioni sul documento