Rivista "IBC" XVII, 2009, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari

Quale destino per le antiche fabbriche del tabacco in Italia? Un convegno torinese ha cercato qualche risposta a una questione che coinvolge architettura, urbanistica e politica.
Profumo di manifattura

Massimo Tozzi Fontana
[IBC]

Il convegno "Le fabbriche del tabacco in Italia. Dalle manifatture al patrimonio" - organizzato il 14 e 15 maggio 2009, nel capoluogo piemontese, dal Politecnico di Torino in collaborazione con la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Piemonte e l'Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale (AIPAI) - ha affrontato un argomento in cui sono presenti aspetti politici, urbanistici e architettonici di grande attualità, che si intrecciano e trovano un sostrato comune nella conoscenza storica di una realtà produttiva universalmente diffusa. L'incontro ha offerto l'occasione per approfondire la conoscenza delle fasi finali del ciclo produttivo del tabacco dal Settecento a oggi, tanto negli aspetti tecnici quanto in quelli organizzativi, oltre che dei luoghi dove avveniva la lavorazione di sigari, sigarette e di polveri da fiuto. I temi trattati spaziano dalla storia della manodopera impiegata nelle fabbriche fino ai problemi intervenuti dopo la dismissione degli impianti.

La prima giornata, dedicata agli aspetti storico-economici, architettonici e museografici, si è svolta presso la Regia Fabbrica dei Tabacchi, situata nel quartiere torinese ancora denominato Regio Parco, pur essendo ormai da secoli prevalenti, nella la sua fisionomia, le caratteristiche urbanistiche di un villaggio operaio. Al tempo di Emanuele Filiberto di Savoia, nella seconda metà del Cinquecento, qui c'era appunto un parco reale, al centro del quale, voluto dallo stesso principe, sorgeva il Palazzo delle Delizie. Quest'ultimo fu distrutto dai Francesi insieme con il parco all'inizio del Settecento e al suo posto, dopo un periodo di abbandono, fu iniziata nel 1758 la costruzione della Regia Fabbrica dei Tabacchi, attorno alla quale l'insediamento operaio prese corpo. Oggi, dopo la cessazione della produzione, è iniziato il recupero dell'edificio con destinazione universitaria.

In questa appropriata cornice si è dunque svolta la prima sessione dei lavori, che ha presentato numerosi spunti per la ricerca e la riflessione. Vale la pena qui di darne conto in modo sintetico. Possiamo suddividere gli interventi della prima giornata in due gruppi: quelli di carattere generale, che hanno affrontato il tema in maniera trasversale e con orizzonti cronologici diversi, e quelli che, pur toccando temi generali, hanno descritto casi locali. Al primo gruppo fanno riferimento la relazione di apertura di Luigi Garbini, l'importante intervento di Paul Smith, che ha presentato la situazione francese, il contributo di Guido Zucconi, che ha messo a fuoco il significato della manifattura tabacchi nella protoindustria e, infine, quello di Guido Montanari e Antonio Monte, che hanno svolto il tema dell'architettura delle fabbriche novecentesche.

La prima comunicazione (che sarebbe improprio definire introduttiva) si è incentrata sugli aspetti imprenditoriali e gestionali dell'industria del tabacco in Italia limitatamente al ventesimo secolo. Sono state evidenziate le principali tappe della produzione in Italia in tale periodo: gli esordi, quando l'industria del tabacco pareva avviata a divenire una grande azienda; la Prima guerra mondiale, durante cui la diffusione di massa della sigaretta fece del tabacco un oggetto di grande consumo e modificò, con la meccanizzazione integrale del ciclo produttivo, la stessa fisionomia del comparto; il 1927, quando la nascita dell'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato aprì la strada alla burocratizzazione e alla fiscalizzazione, in conflitto con le esigenze di crescita industriale. I gravami imposti dal regime fascista all'azienda pubblica frenarono la crescita dell'industria, in un trend che, praticamente senza soluzione di continuità, si protrasse fino alla privatizzazione del 1998.

La situazione della produzione di tabacco in Francia, oggi, non è dissimile da quella italiana per quanto riguarda la cessazione della fabbricazione di sigarette; molto diversa e, indubbiamente, più avanzata sotto il profilo della tutela dei siti e dei manufatti storici. Esiste in Francia un gran numero di antiche fabbriche, la maggior parte delle quali, sottoposte a vincolo di protezione da parte degli organismi governativi, sono state riutilizzate come residenze, come luoghi destinati alla didattica e alla cultura, come archivi o anche come alberghi. La comunicazione di Smith, accompagnata da un bel corredo fotografico si è incentrata su tre esempi, rispettivamente del XVIII, XIX e XX secolo.

Il terzo intervento di carattere generale ha messo a fuoco il significato della manifattura tabacchi nella protoindustria, come luogo ad alta concentrazione di attività, strategicamente collocata in funzione delle vie di comunicazione, ancor prima della ferrovia; è emerso come essa abbia rappresentato un caso di industrializzazione precoce, tanto per la concentrazione dei macchinari quanto per le forme di organizzazione del lavoro. Significativo è anche il fatto che nelle fabbriche del tabacco siano state sperimentate le prime forme di workfare: asili, case operaie, spacci e forme diverse di assistenza.

Infine, tra i contributi di carattere generale, il tema dell'architettura delle manifatture del Novecento è stato presentato come ricerca-catalogazione delle tipologie costruttive finalizzata alla conservazione e alla valorizzazione. Fino agli ultimi decenni dell'Ottocento prevalgono le forme simboliche di edifici che corrispondono a un'idea di monumentale decoro dello Stato, oppure il riuso di antiche strutture ecclesiastiche (esemplare il caso di Bologna). Solo nel XX secolo i criteri costruttivi delle fabbriche del tabacco cominciano a essere ispirati a tipologie funzionali, con l'impiego di nuovi materiali di costruzione: è emblematico il caso degli stabilimenti progettati e costruiti da Pier Luigi Nervi.

Alla seconda tranche di interventi appartengono la maggior parte delle relazioni: Patrizia Chierici e Laura Palmucci hanno presentato la fabbrica di Torino al Regio Parco; Daniela Mazzotta la manifattura di Venezia; Giovanni Luigi Fontana e Francesco Vianello la manifattura, oggi museo del tabacco, della Valsugana; Carlo De Angelis e colui che scrive hanno esposto la loro ricerca sulla fabbrica di Bologna, per ora incentrata sull'antico opificio, oggi sede della Cineteca comunale, ma orientata ad affrontare anche le vicende della nuova manifattura di Pier Luigi Nervi, nella prospettiva di delineare la storia del tabacco a Bologna. Sergio Davini e Gaia Petroni hanno parlato dell'opificio di Lucca; Giorgio Pedrocco ha presentato la manifattura di Chiaravalle; Cinzia Capalbo ha delineato efficacemente il quadro delle fabbriche dello Stato Pontificio; e, infine, Roberto Parisi ha descritto le manifatture di Napoli.

Questi interventi, ricchi di peculiarità e di caratteri distintivi locali, hanno evidenziato alcuni elementi comuni: anzitutto l'abbondanza di documenti di tipo archivistico, fonti di tipo qualitativo e quantitativo, spesso disperse, ma reperibili seguendo le vicende storiche che distinguono i vari stati italiani preunitari; poi la possibilità di definire una didattica museale che, fatte salve le particolarità storiche locali, dia conto di un'attività che si svolgeva in opifici con caratteri interni comuni; un ciclo produttivo le cui fasi, le cui tecniche e le cui attrezzature presentano solo rare differenze su scala internazionale. Il terzo elemento da sottolineare è che la storia della lavorazione industriale del tabacco si dipana nel lungo periodo, già a partire dalla metà del XVII secolo, e il suo svolgersi interessa non solo i manufatti edilizi, gli aspetti formali, tipologici e organizzativi, ma anche i caratteri socioantropologici e i contesti ambientali cresciuti e trasformati nel corso del tempo intorno alle fabbriche, ricchi di sedimentazioni e di memorie che hanno lasciato tracce profonde.

La seconda giornata, si è svolta nella cornice della Venaria Reale, lo straordinario complesso, oggi patrimonio dell'umanità, costituito dal borgo, dalla reggia e dai giardini, "delizia" votata alla caccia, voluta da Carlo Emanuele II nella seconda metà del XVII secolo e completata durante il secolo successivo per opera dell'architetto Filippo Juvarra. La sessione, dedicata alla progettualità e al recupero, ha sollevato un problema nazionale: la riconversione di enormi spazi dismessi in seguito alla quasi cessata fabbricazione di sigarette in Italia.

La produzione, infatti, continua solo negli stabilimenti di Chiaravalle e di Lecce, di proprietà del gruppo British American Tobacco Italia SpA (BAT); mentre quella di sigari toscani ha luogo nelle manifatture di Lucca e di Cava dei Tirreni, di proprietà del gruppo Maccaferri. È ancora attiva in Italia la "prima trasformazione", cioè la cernita e l'essiccazione del tabacco, fase preparatoria alla realizzazione dei prodotti finali, praticata da diverse aziende che in alcuni casi sono anche esportatrici. D'altro canto, anche se in misura progressivamente decrescente, la coltivazione nella penisola continua, non tanto in virtù della qualità dei tabacchi nostrani ma per la loro convenienza, determinata dall'erogazione di premi e di restituzioni all'esportazione concesse dalla Comunità europea. Il valore dell'esportazione di tabacco italiano è tuttavia molto basso ed è destinato a ridursi via via che gli aiuti comunitari diminuiscono.

Nel 1998 è cominciato il processo di privatizzazione dell'industria, con la creazione dell'Ente tabacchi italiani (ETI), destinato a trasformarsi in società per azioni. Le manifatture sono passate dai Monopoli di Stato al nuovo ente, ma per poco tempo: infatti, con il decreto del 23 dicembre 2003, l'Agenzia del Demanio ha acquisito un cospicuo numero di immobili di proprietà dell'ETI. Il Governo, subito dopo, ha emesso un decreto che autorizzava l'Agenzia del Demanio "a vendere a trattativa privata, anche in blocco, una serie di beni immobili appartenenti al patrimonio dello Stato" tra i quali le manifatture. Pochi giorni dopo, l'intero pacchetto di opifici (per l'esattezza: 11 manifatture e circa 30 tra depositi e magazzini) è stato venduto in tutta fretta e in blocco alla Fintecna, la società a capitale pubblico del gruppo ex IRI (che sovrintenderà alla realizzazione e alla gestione del Ponte sullo Stretto di Messina), per circa 6 miliardi di euro, un prezzo complessivo di gran lunga inferiore al valore di mercato.

Tuttavia, al di là delle considerazioni di carattere finanziario, quello che è certo è che lo Stato ha posto sul libero mercato dei siti e degli immobili di grande pregio e valore, senza che il Ministero per i beni e le attività culturali sia stato in qualche modo coinvolto. È da notare che molte strutture, sebbene di grande pregio architettonico, non erano sottoposte a vincolo ministeriale proprio perché, come Legambiente aveva evidenziato prima di questi eventi, si trattava di beni di proprietà dello Stato per i quali la cartolarizzazione non era mai stata ipotizzata.

Ultimo atto della privatizzazione è stata la vendita degli stabilimenti, nel 2004, alla BAT, nata ufficialmente l'1 giugno 2004 dalla fusione con ETI. Tale privatizzazione, del valore di 2,3 miliardi di euro, è stato il più grande investimento mai fatto in Italia da una società internazionale che, a sua volta, ha recentemente rivenduto, tra le altre, la manifattura di Bologna (costruita tra il 1950 e il 1960 su progetto di Pier Luigi Nervi) alla Regione Emilia-Romagna, come sede del futuro Tecnopolo, il maggior centro della rete per l'alta tecnologia dell'Emilia-Romagna.

Insomma, attraverso questo percorso, molti stabilimenti dismessi dal Ministero dell'economia sono entrati a far parte dei processi di trasformazione urbana, prefigurando nuove destinazioni d'uso e diventando oggetto di pianificazione e di progetto edilizio; uno scenario in cui si intrecciano questioni pratiche, interessi economici e l'esigenza di non perdere di vista il valore storico-documentario delle preesistenze.

Tra i partecipanti alla seconda sessione figurava il rappresentante della Fintecna, Dionisio Vianello, che, in qualità di vicepresidente dell'Associazione aree urbane dismesse, ha affrontato il problema generale della riconversione e del riuso; i numerosi contributi presentati nella giornata hanno proposto molti dei casi distribuiti nella penisola, da Milano a Genova, da Torino a Firenze, da Napoli a Bari, fino alla Sardegna. Nel suo intervento, particolarmente stimolante, il presidente di "Italia Nostra", Giovanni Losavio, ha parlato dell'emblematico caso della manifattura ottocentesca di Modena, trasferita a un'impresa privata che, con la sola opposizione delle associazioni per la tutela del patrimonio, ha attuato un piano di recupero dettato dalla convenienza economica: approfittando della genericità del piano regolatore comunale, i due corpi dell'opificio sono stati convertiti in insediamento residenziale. Con grande celerità è stato approvato un progetto che prevede la realizzazione di oltre 150 miniappartamenti, frazionando gli spazi prima adibiti a vasti laboratori e recando un grave danno alla lettura storica del sito.

La "disattenzione" delle amministrazioni locali di fronte alla speculazione edilizia è stata evocata anche da altre comunicazioni. Su questi temi, inevitabilmente fonte di polemica e di battaglia politica, si è soffermata la tavola rotonda seguita al convegno: si è discusso del rapporto tra conoscenza e progetto, delle relazioni tra i piani urbanistici e paesistici e il riuso, del rispetto per le tipologie dei singoli stabilimenti e della tipicità dei materiali utilizzati nella manutenzione e nel restauro. A conclusione del convegno si è convenuto sulla necessità di mantenere viva l'attenzione su questo patrimonio, garantendone uno specifico monitoraggio, valorizzando i progetti virtuosi e promuovendo campagne in sua difesa.

Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it