Rivista "IBC" XVI, 2008, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, leggi e politiche
Il 2007 è stato un anno importante per la riflessione, il confronto e la messa a punto di strategie di azione condivise nell'ambito del patrimonio archeologico industriale. Innanzitutto, l'emozione indotta dai fatti di fine anno della Thyssen Krupp di Torino non può non coinvolgere chi è impegnato nella conoscenza e nella valorizzazione del patrimonio storico dell'industria, e induce a ricordare che oggetto primo di attenzione non è né il sito, né il manufatto, né la macchina, ma è l'homo faber, con la sua testimonianza non solo tecnica ma anche esistenziale. È la linea metodologica da sempre seguita in questo campo dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC): dare risalto, nel corso di tutte le indagini condotte sulla storia della cultura materiale, alle testimonianze orali dei lavoratori. E l'affermazione sembrerà meno ovvia se si pensa al rischio che i nostri musei, le nostre mostre e le nostre pubblicazioni sul patrimonio industriale divengano la "vetrina" di marchi che l'opinione pubblica identifica con il mancato rispetto delle regole o con la spregiudicatezza della conduzione aziendale. Questa riflessione è probabilmente destinata a turbare il sonno dell'archeologo industriale a caccia di sponsor, e contribuisce senz'altro ad alimentare l'antico e mai veramente risolto dibattito sul rapporto tra intellettuali e potenti.
Il 2007, si diceva, è stato un anno di fermento e anche di novità. Il terreno era stato ben preparato l'anno prima: nel 2006, infatti, a Terni e a Roma, dal 14 al 18 settembre, aveva avuto luogo il XIII congresso dell'organizzazione mondiale The International Committee for the Conservation of Industrial Heritage (TICCIH). In quell'occasione erano state poste le basi per una più precisa definizione dell'oggetto e del metodo dell'archeologia industriale, o, meglio, dell'attenzione per il patrimonio archeologico industriale. I media italiani, compresi alcuni telegiornali, avevano in quei giorni dato risalto all'iniziativa: quotidiani come "la Repubblica", il "Sole 24 Ore", il "Manifesto", oltre a diverse testate locali, avevano dedicato più di una riflessione approfondita alle tematiche sul tappeto, anche perché il congresso si teneva per la prima volta in Italia. Si era tentato di trovare affinità con discipline consolidate emananti dalla storia, prima fra tutte l'archeologia, concordando su una visione necessariamente "larga" e disciplinarmente complessa quale chiave di comprensione delle vicende passate, ma anche sull'esigenza di tutelare le testimonianze ancora esistenti e spesso a rischio di abbandono e di cancellazione.
L'Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale (AIPAI), che all'istituzione mondiale TICCIH si collega sistematicamente, è l'unico organismo operante in quest'ambito a livello nazionale. Essa trae origine dal preesistente Istituto per la cultura materiale e l'archeologia industriale di Roma, che aveva agito nel decennio precedente, dando vita al periodico "Il coltello di Delfo". La fondazione dell'AIPAI è avvenuta a opera di un gruppo di studiosi del patrimonio industriale e di alcune tra le più importanti istituzioni del settore nel Paese, come l'International Council on Monuments and Sites, l'Associazione aree urbane dismesse, l'Istituto per la cultura e la storia d'impresa "Franco Momigliano", Museiimpresa e la Fondazione Ansaldo. L'associazione si è andata consolidando sempre più negli ultimi anni, grazie all'approvazione dello statuto nel 2005 e alla realizzazione delle sezioni regionali. L'articolo 3 dello statuto descrive le attività in cui consiste la missione dell'AIPAI (www.patrimonioindustriale.it):
· costituire un osservatorio permanente con l'intento di valutare, certificare e pubblicizzare istituzioni esistenti e progetti aventi per oggetto la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico industriale italiano, con particolare attenzione ai criteri metodologici, alle modalità operative, ai servizi offerti, al livello e alla capacità di comunicazione e divulgazione delle conoscenze storiche e tecnico-scientifiche;
· promuovere la costituzione di reti di istituzioni pubbliche e private operanti nel campo della valorizzazione del patrimonio archeologico industriale con lo scopo di favorire la ricerca storica e scientifica, la tutela dei beni, la formazione del personale, l'aggiornamento disciplinare e la promozione del turismo culturale;
· promuovere un più elevato livello di collaborazione operativa e scientifica tra enti pubblici e privati (musei, ministeri, università, soprintendenze, enti locali e istituzioni private) per la catalogazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio industriale, per la salvaguardia di archivi, macchine e altre testimonianze della civiltà industriale e del lavoro;
· perseguire una maggiore consapevolezza del valore storico e culturale del patrimonio industriale attraverso la circolazione di studi e ricerche, l'organizzazione di convegni, di giornate e di viaggi di studio, le pubblicazioni scientifiche divulgative, la realizzazione degli strumenti di comunicazione, e di quanto altro sia ritenuto utile al perseguimento degli scopi statutari;
· assicurare assistenza tecnica a progetti di valorizzazione del patrimonio industriale proposti da enti pubblici e da associazioni culturali senza scopo di lucro;
· promuovere, coordinare e svolgere attività di ricerca fondate sull'apporto di diverse competenze disciplinari, con l'obiettivo di analizzare il patrimonio archeologico e industriale nelle sue molteplici connessioni con il sistema dei beni culturali e ambientali e con la cultura del lavoro, in una prospettiva di lungo periodo. Verranno privilegiati gli studi i cui contenuti scientifico-culturali aiutino a definire criteri e procedure di intervento finalizzati alla conservazione e valorizzazione della memoria industriale anche in funzione della riproduzione e del rinnovamento dell'identità territoriale. Il campo di azioni delle indagini e delle iniziative comprenderà, in particolare, i manufatti architettonici, l'ambiente, il paesaggio e le infrastrutture, le fonti documentarie e archivistiche, i macchinari e le attrezzature, i saperi produttivi e tutti gli aspetti della storia tecnica, sociale ed economica più direttamente collegati alle vicende del patrimonio industriale.
Sono circa 300 oggi i soci attivi nelle sezioni regionali presenti in tutta la penisola: lavorano presso università, centri di ricerca, fondazioni, musei, organi centrali e soprintendenze dello Stato, svolgendo tra l'altro, all'interno delle rispettive istituzioni, una puntuale azione di convincimento della necessità di disporre anche a livello locale di normative efficaci e tali da essere rispettate. Scrive Renato Covino nel Manifesto 2008: "Sempre più si parla di archeologia industriale e di patrimonio dell'industria, ma mai come in questo ultimo decennio si fa un uso improprio del termine e, soprattutto, nelle attività di recupero e di riuso, si tende a snaturare la funzione originaria di siti ed edifici, quando non si procede sommariamente a distruzioni immotivate dettate o da colpevole incultura o da appetiti speculativi e professionali. La distruzione non riguarda solo immobili e paesaggi, ma anche e soprattutto macchine, impianti, archivi, ecc. che, anzi, sono sottoposti a un saccheggio incentivato dalla scarsa attenzione nei confronti di queste tipologie di beni".1
Nel luglio 2007 ha avuto luogo l'assemblea del decennale dell'AIPAI, nel corso della quale sono stati rinnovati e consolidati gli assetti istituzionali e statutari; in ottobre, infine, il direttivo ha varato a Roma il piano di attività 2007-2008, discusso e già avviato nel corso delle assemblee di alcune sezioni regionali, tra le quali quella dell'Emilia-Romagna. Nella stessa occasione si è stabilita una convergenza programmatica con Italia Nostra, da sviluppare a scala regionale. Gli obiettivi prioritari sono:
· aumentare l'area di attenzione sul patrimonio industriale, ponendo con tutti i mezzi la questione della tutela e della conservazione; occorre dunque definire un protocollo a cui attenersi in modo rigido, che possa essere riassunto in una procedura standard: senza conoscenze adeguate non è possibile modificare, demolire o riutilizzare monumenti, siti, macchinari;
· attivare un ampio lavoro di ricerca e di divulgazione e la costruzione di relazioni con istituzioni e mondo associativo, secondo quanto stabilito nell'Assemblea del decennale a Terni;
· rafforzare le strutture centrali, ma soprattutto regionali, a cui si dovrà prestare una cura particolare e specifica, aiutando le situazioni più deboli, stimolando iniziative sul territorio, aumentando il numero degli iscritti individuali e istituzionali.
Tra il 2008 e il 2010, per realizzare questi obiettivi, si intende realizzare innanzitutto un censimento delle emergenze archeologico-industriali presenti in Italia, di concerto con il Ministero per i beni culturali e il suo Istituto centrale per il catalogo e la documentazione. Per questo è stata creata una commissione che ha già iniziato i lavori di stesura preliminare del progetto. In secondo luogo si prevede la costruzione di un osservatorio nazionale sul patrimonio a rischio, al quale far pervenire materiali e documentazione relativi alle situazioni in pericolo. Infine si propone la realizzazione di una mostra dal titolo "Negati, compromessi, a rischio, valorizzati. Patrimoni dell'archeologia industriale in Italia tra storia e progetto", divisa in quattro sezioni:
· "Patrimoni negati": monumenti e siti di rilevante interesse storico-archeologico completamente distrutti nel corso di questi ultimi trent'anni;
· "Patrimoni compromessi": interventi di riuso e/o recupero architettonico di monumenti e siti archeologico-industriali in totale assenza di criteri metodologici corretti e compatibili con l'identità storica dei luoghi;
· "Patrimoni a rischio": monumenti e siti di rilevante interesse storico-archeologico ancora esistenti, ma gravemente a rischio di demolizione o di impropria manomissione;
· "Patrimoni valorizzati": interventi di riuso e di recupero di monumenti e siti archeologico-industriali non solo compatibili con la struttura e la natura dei contenitori architettonici, ma anche e soprattutto rispettosi dell'identità culturale dei luoghi e capaci di valorizzare in maniera adeguata la loro memoria storica. In definitiva, interventi basati su una corretta sinergia tra ricerca storica, recupero architettonico e programma di riuso funzionale.
La mostra verrà presentata in prima battuta nelle principali città italiane, per seguire poi un circuito opportunamente stabilito degli stessi siti oggetto della mostra.
In Emilia-Romagna i luoghi del patrimonio industriale, pur non essendo ancora stati oggetto di un sistematico censimento - l'azione dell'IBC in passato è stata piuttosto caratterizzata da diversi approfondimenti e "carotaggi" su siti o su cicli produttivi - si presentano in un ampio ventaglio di attività e di settori merceologici corrispondenti. Gli insediamenti urbani sono più frequentemente al centro dell'attenzione perché su di essi si concentrano gli interventi di recupero, a volte solo progettati e spesso carichi di polemiche dovute principalmente agli interessi contrastanti, ma anche alle diverse opinioni in materia urbanistica. I territori extraurbani sono caratterizzati dalla presenza di opifici di fondazione generalmente più recente rispetto a quelli situati nelle città e la loro sopravvivenza è per lo più legata a interventi di riuso più o meno rispettoso della loro storia, mentre ciò che non è suscettibile di recupero quasi inesorabilmente scompare.
La griglia tipologica in quattro sezioni sopra riportata, filo conduttore della futura mostra, corrisponde a una istanza tassonomica e dunque semplificatrice della realtà; essa troverà in Emilia e in Romagna esempi di ciascuna delle tipologie indicate. Tra i siti urbani più significativi sono da ricordare le ex manifatture tabacchi (presenti in molti capoluoghi), i macelli, le officine del gas, le infrastrutture ferroviarie, portuali e quelle militari, le antiche manifatture superstiti, come la pellacaneria della Grada a Bologna. Il panorama "fuori porta" è molto più variegato, un elenco può solo rispecchiare le esperienze di ricerca condotte in passato: dai mulini su corsi d'acqua, o natanti, a tutta la gamma degli opifici idraulici, dai luoghi della cantieristica fluviale alle fornaci da laterizi e da calce, fino alle cartiere, alle vetrerie, alle manifatture meccaniche; dagli zuccherifici agli impianti di bonifica fino ai siti minerari, tra i quali il più importante nella regione è senza dubbio rappresentato dal bacino solfifero che dalle colline cesenati va fino al Montefeltro.
Luoghi negati, compromessi, a rischio, valorizzati, con molte varianti intermedie. La scommessa dell'AIPAI nei prossimi mesi consiste nel convincere i ministeri competenti a tradurre in pratica l'avvenuto inserimento della nozione di patrimonio archeologico industriale nel nuovo Codice dei beni culturali, con finanziamenti adeguati a gettare le basi di un'azione efficace non solo sul piano della conoscenza, ma anche della valorizzazione e della salvaguardia.
Nota
(1) R. Covino, Manifesto 2008, "AIPAI Newsletter", I, 2007, 1, p. 4.
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