Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

A settant'anni dalla morte, la Biblioteca comunale "Saffi" di Forlì ricorda il lascito prezioso di Carlo Piancastelli con una mostra e una pubblicazione.
Parole e voci di Romagna

Giuseppe Bellosi
[Biblioteca comunale "Carlo Piancastelli" di Fusignano (Ravenna)]

Il 17 maggio 2008, presso la Biblioteca comunale "Saffi" di Forlì, in occasione del settantesimo anniversario della morte del bibliofilo Carlo Piancastelli, è stata inaugurata la mostra "Le stanze della memoria. Cultura e tradizioni popolari nelle Raccolte Piancastelli", a cura di Antonella Imolesi Pozzi, ed è stato inoltre presentato il volume Tradizioni popolari nella Romagna dell'Ottocento. Le inchieste del 1811 sui contadini nel Dipartimento del Rubicone, pubblicato nel 2007, a cura di Brunella Garavini, dall'Istituto "Friedrich Schürr" presso l'Editrice La Mandragora. Esiste un legame tra Piancastelli e l'inchiesta sulle tradizioni popolari realizzata nel 1811 nel Regno Italico e perciò anche nel Dipartimento del Rubicone: di questa egli conosceva l'unica relazione allora pubblicata, riguardante Ravenna (le altre sarebbero state in parte scoperte e studiate solo negli anni Cinquanta da Angelo Fabi). Ma, poiché all'attenzione del Piancastelli studioso e collezionista ben pochi materiali romagnoli sfuggivano, egli acquistò alcuni acquerelli che illustravano l'abbigliamento dei romagnoli del primo Ottocento senza sapere che erano i figurini realizzati per quell'inchiesta, figurini che Brunella Garavini ha riprodotto nel suo volume.

"Tera bianca, sment negra / zenc somna, du arbega" ("Terra bianca, semente nera / cinque seminano, due erpicano") è l'indovinello popolare riferito allo scrivere che Piancastelli, poco più che ventenne, raccolse a Fusignano, insieme con altri materiali folklorici, dimostrando un interesse verso la lingua e la cultura delle classi popolari (e la letteratura dialettale) che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, un interesse che è testimoniato dalla bella mostra curata da Antonella Imolesi Pozzi. L'indovinello è emblematico perché evoca i diversi usi del dialetto: si riferisce alla scrittura ma è un testo popolare trasmesso oralmente. Sembra quasi evocare le due componenti che Piancastelli attribuiva alla propria personalità, quando diceva di sentirsi a un tempo aristocratico e proletario, aristocratico per censo e cultura, proletario per legami familiari (la madre era di famiglia contadina) e per una stretta consuetudine con il mondo popolare.

Piancastelli rivolse ai temi dialettali e folklorici gran parte della sua attività di studioso. All'indovinello riferito alla scrittura dedicò un Commento a un indovinello romagnolo (1903) che più di vent'anni dopo avrebbe attirato l'attenzione degli storici della lingua italiana, quando il cosiddetto indovinello veronese ("se pareba boves alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba"), edito come cantilena nel 1924, venne interpretato nel 1927 come l'indovinello dello scrivere. Piancastelli individuò poi nei settecenteschi Discorsi istruttivi sopra i doveri del cristiano di Padre Agostino da Fusignano tracce di tradizioni popolari, illustrandole nel saggio Nuovi accenni a superstizioni e pregiudizi in Romagna nel secolo XVIII (1931). Redasse inoltre due importanti repertori bibliografici: Pronostici ed almanacchi. Studio di bibliografia romagnola (1913), in cui descrisse anche gli almanacchi dialettali, e il Saggio di una bibliografia delle tradizioni popolari della Romagna, la cui prima parte, Usi costumi credenze pregiudizi, con ben 369 schede ragionate, uscì nel 1933 per le nozze di Augusto Campana e Rosetta Fabi.

Fu Piancastelli il primo a tracciare un profilo dettagliato delle descrizioni e degli studi relativi al nostro folklore, a partire dai testi settecenteschi di Padre Agostino da Fusignano e Giovanni Antonio Battarra (con la sua Pratica agraria), e dagli Usi, e pregiudizj de' contadini della Romagna (1818) del forlivese Michele Placucci, il primo in Italia a fornire una descrizione organica delle usanze e credenze, dei canti e dei proverbi di una regione, anticipando di mezzo secolo, con la sua precisa classificazione e descrizione dei materiali folklorici, la nostra demologia scientifica. Le informazioni furono desunte in gran parte dalle relazioni dell'inchiesta del 1811 nel Dipartimento del Rubicone, come ha dimostrato Angelo Fabi, pubblicandone alcune nel 1951-1952. Brunella Garavini nel corso degli ultimi anni ha scoperto altre relazioni dell'inchiesta napoleonica e le ha via via studiate e pubblicate; poi, in vista della realizzazione del recente volume, ha compiuto un'indagine sistematica negli archivi romagnoli e non solo. Ora si può veramente dire che i materiali romagnoli del 1811 siano stati tutti rintracciati (e trascritti con grande perizia filologica). La Garavini ci offre così una documentazione di fondamentale importanza per la conoscenza del mondo contadino nel primo Ottocento.

Piancastelli ha il merito di aver fornito, come bibliografo, un repertorio di informazioni dal quale gli studiosi non possono tuttora prescindere e, come bibliofilo, di aver riunito una documentazione altrimenti reperibile con difficoltà. Nel caso poi dei manoscritti dialettali e folklorici ci troviamo di fronte a esemplari per lo più unici, che testimoniano l'insostituibilità di questa collezione, incominciata alla fine dell'Ottocento, con gli acquisti effettuati nelle memorabili aste romane del 1893-1894, nelle quali fu dispersa la collezione del bibliofilo lughese Giacomo Manzoni; in una di queste, Piancastelli si aggiudicò l'esemplare del Vocabolario romagnolo-italiano di Antonio Morri (1840) appartenuto allo stesso Manzoni, che vi aveva aggiunto proprie annotazioni.

La collezione Piancastelli conserva inoltre le opere lessicografiche dialettali di Giovanni Tozzoli, Antonio Mattioli, Giulio Nazari, Gian Marcello Valgimigli; gli studi sui dialetti di Adolfo Mussafia, Friedrich Schürr e Gino Bottiglioni; i lavori dei folkloristi dell'Ottocento (Michele Placucci, Oreste Brizi, Olindo Guerrini, Giuseppe Gaspare Bagli, Giuseppe Mengozzi, Tomaso Randi, Maria Pasolini, Benedetto Pergoli) e del Novecento (Emilio Lovarini, Maria Spallicci, Giovanni Bagnaresi, Luciano De Nardis, Giuseppe Nardi, Nino Massaroli, Antonio Filiberto Fantucci, Eugenio Cavazzuti, Domenico Mambrini, Giuseppe Nanni, Francesco Balilla Pratella, Paolo Toschi); i testi della letteratura dialettale dal XVI al XX secolo; i periodici locali (tra cui "Il Plaustro" e "La Piê"); gli almanacchi eccetera. Una parte di questi materiali è illustrata nella mostra.

Il giorno di Natale del 1937, Carlo Piancastelli da Roma (dove viveva per parte dell'anno) tornò per l'ultima volta nel suo palazzo di Fusignano, accompagnato da Antonio Mambelli, che avrebbe poi ricordato quella visita: "Non ostante il freddo intensissimo volle ritornare nella sua Biblioteca. Lo accompagnammo e vi riaprì il Monetiere Imperiale. Guardò minutamente a tante cose, che avemmo impressione dello stento che provava in separarsene. Gli usammo una dolce violenza, ed egli allora discese per non risalirvi mai più". Nel febbraio 1938 Piancastelli moriva, lasciando a titolo di legato le sue raccolte alla Biblioteca comunale di Forlì. E così la Biblioteca storica romagnola (con cinquantamila volumi e oltre duecentomila tra documenti, disegni, incisioni e cartoline), la Quadreria e il ricchissimo Monetiere imperiale romano lasciavano, per sua volontà, il palazzo di Fusignano e trovavano la loro collocazione definitiva a Forlì.

Piancastelli era nato nel 1867 in una famiglia scesa alla metà del Settecento da Casola Valsenio a Fusignano, dove aveva costituito, nel corso di un secolo, una delle più vaste proprietà terriere della Bassa Romagna. Raggiunta la maggiore età, Carlo entrò nel pieno possesso di metà della vasta azienda, della cui gestione si occupò personalmente dal 1890. Da allora egli visse tra Fusignano e Roma, dove aveva studiato giurisprudenza. Bibliofilo e agricoltore lo definirono i familiari comunicandone pubblicamente la morte: e infatti alla cura della sua grande proprietà terriera (che era la componente principale dell'economia fusignanese dell'epoca) Piancastelli dedicò un'attenzione quotidiana, unita allo stesso amore e alla stessa competenza che lo guidarono nella costruzione di quel monumento alla storia, alla cultura, all'identità della nostra regione che è la "Piancastelliana".

La guerra, e non solo, ha distrutto il principesco palazzo che aveva ospitato la Biblioteca romagnola e le altre collezioni. Augusto Campana, che vi era stato accolto come studioso e come amico, scriveva nel 1979: "Chi l'aveva visto ed è tornato a Fusignano, come è accaduto a me dopo tanti anni, ha stentato a riconoscere il luogo dove sorgevano il palazzo e il giardino: sembra quasi impossibile che di quella straordinaria dimora non rimanga né una pietra né un albero". Si è pure dissolta la grande proprietà terriera, come se, una volta esaurita la sua funzione di fornire le rendite necessarie per l'incremento delle collezioni, non abbia più avuto ragione di continuare a esistere. Di Piancastelli sono rimaste le grandi raccolte con le quali il collezionista ha eretto un monumento a sé e alla Romagna: esse erano state concepite per l'uso pubblico e sempre aperte alle richieste di consultazione degli studiosi, anche quando erano conservate nel palazzo fusignanese. Domenico Fava osservava che per Piancastelli "il libro di pregio non costituiva un oggetto di lusso da tenere chiuso e da sottrarre agli occhi del pubblico, ma traeva il suo maggiore valore dai vantaggi che poteva recare agli studi e alla cultura".

Consegnando alla città di Forlì, nel 1933, la raccolta di autografi di personaggi illustri di ogni paese dal XII al XVIII secolo, primo nucleo della futura donazione, Piancastelli accompagnò il dono con queste parole: "Se dicessi che mi allontano con impassibile freddezza da questa raccolta autografica, nessuno mi crederebbe e infatti io mentirei. Un padre non vede con indifferenza uscire dal proprio tetto un figlio, anche se sa che va incontro a un più felice avvenire. Ma sul sentimento prevalse la ragione, sull'egoismo pur giustificabile del raccoglitore innamorato prevalse l'interesse della cultura generale. E ho deciso di mettere a disposizione degli studiosi questa grande raccolta di autografi, da me radunata in più di trent'anni di ricerche". La destinazione pubblica era dunque quella naturale per le raccolte piancastelliane.

Come ha osservato il compianto Alfredo Belletti in un suo saggio, se "la vita è stata definita l'insieme delle funzioni che resistono alla morte", "la biografia di Carlo Piancastelli si costruisce sul complesso delle iniziative con le quali egli intese vincere la morte nella speranza di sopravvivere nella memoria se non nella generazione". In una lettera a un amico, Piancastelli aveva scritto: "Non so rassegnarmi a morire del tutto e nel ricordo e nel cuore dei miei concittadini". Era il motivo oraziano "non omnis moriar", che egli aveva ripreso anche nell'epigrafe celebrativa dettata nel centenario di Vincenzo Monti e posta sulla Villa di Maiano, in cui si diceva che il poeta confidava "di tutto non morire". Anche Piancastelli, attraverso le sue raccolte e i suoi studi, può confidare "di tutto non morire" nel ricordo e nel cuore dei fusignanesi e dei romagnoli.

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