Rivista "IBC" X, 2002, 4
territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, pubblicazioni, storie e personaggi
Personaggio di rilievo nel campo degli studi eruditi nazionali ed internazionali, Augusto Campana (1906-1995) fu studioso di grande versatilità nei campi più disparati del sapere, dalla filologia all'epigrafia, dalla biblioteconomia all'archivistica, dalla toponomastica alla paleografia, dalla dialettologia alla storia dell'arte. Iniziò la sua carriera come bibliotecario e la concluse come docente alla Normale di Pisa, ma il legame con la natìa Romagna non si spezzò mai. E di tale legame racconta il volume Augusto Campana e la Romagna che raccoglie, dopo un lungo iter editoriale, gli atti dell'omonimo convegno di studi tenutosi a Santarcangelo di Romagna (Rimini) il 5 e 6 aprile 1997 su iniziativa della Biblioteca e dell'Assessorato alla cultura del Comune di Santarcangelo, e dell'IBC. Da questo volume - pubblicato a cura di Andrea Cristiani e Manuela Ricci, e edito a Bologna da IBC e Pàtron Editore (ERBA - Emilia Romagna Biblioteche Archivi, 43) - abbiamo tratto l'intervento di apertura.
Nelle giornate romane di dicembre '95, che videro incontrarsi molti amici nella testimonianza del comune ricordo per Augusto Campana, fu accennato più volte, da più parti al fatto che un notevole numero dei suoi percorsi tematici muoveva dalla Romagna, e che perciò questa regione, nei suoi significati storici, fa saldamente corpo con la sua produzione scientifica.1 In effetti era lui stesso a dichiararlo quasi vent'anni fa nella prefazione agli inventari delle Carte Romagnole della Raccolta Piancastelli: "sebbene" - scriveva - "da quasi mezzo secolo io viva per il maggior tempo lontano dalla mia terra, le sono stato costantemente vicino con l'anima e con gli studi".2 E così nel lunghissimo elenco degli scritti di Augusto Campana, allestito e presentato in occasione del nostro incontro odierno3 (e che ancora per qualche anno sarà arrischiato dire esaustivo e compiuto), luoghi e persone e vicende e istituzioni della Romagna sono presenti in qualcosa più di due quinti dei titoli. Però non c'è in questo elenco nessun soggetto che rimandi esplicitamente, specificamente a un discorso di definizione della Romagna o che in particolare si riferisca a quello che nel nostro secolo - un secolo che Campana ha sperimentato quasi per intero - si è venuto ad intendere per Romagna.
I primi suoi scritti giovanili - del '27, quando aveva poco più di vent'anni - che richiamano una regionalità della Romagna (ne ricordo uno di recensione a una memoria di Pietro Sella edita nel '25, sulle costituzioni dei governatori pontifici di Romagna prima di Albornoz, e un altro sulla fortuna del libretto di Michele Placucci, che risale al 1818, Usi e Pregiudizj de' Contadini della Romagna, e un terzo di brevissima scheda su di un articolo di Vittorio Cian, L'ora della Romagna, uscito l'anno prima su "Nuova Antologia") compaiono nelle due riviste regionali più note nel primo quarto di secolo: "La Romagna" e "La Piê".4 Due riviste che peculiarmente coltivano l'informazione erudita - la prima - o il lancio di nuove forme d'arte locale - la seconda -, e che considerano la regione solo da un'angolazione storicoculturale o demopsicologica, ma che trascurano di formulare una chiara, motivata, convincente definizione dello spazio regionale e di individuare se esistono, oltre il campo delle tradizioni culturali, altri elementi utili ad una sua soddisfacente identificazione.5
Quel primato, anzi quasi esclusività del fatto culturale come parametro per intendere la regione, è presente anche nei primi richiami regionalistici di Campana che ho ora ricordato; così come lo era negli stessi anni nella fervida operosità bibliofila del suo amico Carlo Piancastelli, che poi nel 1933, in apertura al noto Saggio di una bibliografia delle tradizioni popolari della Romagna, dedicato a Campana, scriverà che per Romagna "deve intendersi la regione nostra nel suo senso etnico".6 Ma che tale parametro si riflettesse su di uno spazio bene definibile, per quanto mutevole nel corso dei secoli, è cosa che Campana chiarirà diversi anni dopo, quando sarà invitato fra il '41 e il '42 a partecipare alla redazione del primo atlante storico nazionale, promosso dal Consiglio nazionale delle ricerche. Il comitato scientifico dell'opera, formato da storici e geografi, aveva stilato il progetto di un centinaio di carte,7 e per iniziare mise in cantiere quelle relative al medioevo, assegnando ad una trentina di autori la preparazione di abbozzi circoscritti per ciascuno di loro ad un determinato ambito territoriale: ambito corrispondente - secondo criteri molto discutibili - ad una provincia di quegli anni o ad un gruppo di province. Campana (qui cominciano per me i ricordi dei nostri primi scambi di idee sul tema) ebbe l'incarico di elaborare i materiali per la provincia di Forlì. Ma già la tematica delle carte per l'Italia bizantina e l'Italia longobarda, con la mobilità dei confini esarcali fra VI e VIII secolo, e due secoli dopo con la vicenda dei diritti e delle pertinenze comitali della chiesa di Ravenna, gli ponevano grandi difficoltà nel disegno delle delimitazioni territoriali e perciò la necessità di concordarle con gli storici a cui erano state assegnate le province vicine: cioè Gina Fasoli per quella di Bologna, Giorgio Cencetti per quella di Ferrara, Augusto Torre per quella di Ravenna, Tristano Codignola per quella di Pesaro, Ernesto Sestan per quelle di Firenze e di Arezzo.
Quest'atlante, come è noto, naufragò;8 ma i problemi che gli aveva creato gli lasciarono, più incisivamente e provocatoriamente di quanto era stato prima, l'idea per così dire di un ondeggiamento, di una oscillazione territoriale della Romagna; e anche una più marcata attenzione alle motivazioni politiche, oltre che culturali, della realtà regionale. Ma se queste motivazioni si dispiegavano per lui in una dimensione storica che si proiettava sopra l'arco di parecchi secoli e poi si era chiusa con l'unità nazionale, l'ondeggiante e contrastato e incerto profilo delle interpretazioni amministrative, statistiche e anche culturali di Romagna, date nel nostro secolo - quindi continuatosi dopo l'unità nazionale -, era invece un fatto che lo intrigava molto.
Ricordo che discorrendo fra il '41 e il '42 della oscillazione degli areali corrispondenti ai significati del termine Romagna fra l'alto medioevo e l'epoca moderna, e della difficoltà di accoglierne fra essi uno fondato su elementi meno instabili, uno più accettabile di altri o per meglio dire comprensivo dell'ampio spettro di quelli che si potevano dare, Campana giunse alla persuasione che la definizione territoriale più ragionevole della Romagna, in una prospettiva storica di larghissimo diametro e cioè non chiusa ai soli eventi politici, era quella disegnata a scala di cinquecentomila negli ultimi anni del secolo scorso, nel 1894, da Emilio Rosetti, in una carta che illustra il suo dizionario corografico La Romagna: geografia e storia.9
Una definizione sicuramente elementare, perché costruita su termini oroidrografici: quindi a suo modo un po' geometrica o se si vuole ispirata da criteri di armonicità e compiutezza architettonica (il Rosetti era uscito da un politecnico); e infine per certi riguardi anche un po' giacobina, in quanto riecheggiava i modi giacobini - una volta smontate le vecchie province feudali - di disegnare i nuovi dipartimenti francesi fra il settembre 1789 e il febbraio 1790. Però una definizione non inventata ad arbitrio, perché aveva in parte - almeno negli schemi compositivi - molte somiglianze con la regione Romandiola del suo amato Biondo Flavio10 e perché soprattutto nei suoi ambiti erano contenute per intero le città indiscutibilmente romagnole e i loro vecchi contadi, e per di più anche le aree uscite fra XIII e XV secolo dalle pertinenze di una entità "provinciale" romagnola ed incorporate in entità politiche che avevano il loro centro fuori della Romagna (a Firenze, a Urbino): ma che non persero negli ultimi cinque/sei secoli - anche per oggettive ragioni di montagnosità e di gravitazione lungo le valli adriatiche - le loro originali caratteristiche culturali e in particolare l'idioma romagnolo. Sono incline anzi a dire che la inclusione da parte di Rosetti del Montefeltro e della cosiddetta Romagna toscana nel quadro globale della Romagna, piaceva a Campana perché da quelle due parti della Romagna - e precisamente da San Leo e da Modigliana - venivano i suoi genitori.
Per di più il favore con cui Campana considerò questa carta era dovuto al motivo che l'adozione di una regionalità romagnola nei termini presentati da Rosetti aveva già guidato Carlo Piancastelli nella formazione delle sue raccolte11 e aveva già dato da quasi vent'anni risultati di prim'ordine, noti pure in campo nazionale, con gli studi naturalistici di Pietro Zangheri.12 Certo Campana non voleva confusioni fra le scienze naturali e le istituzioni e i processi storici: ma alcune tesi naturalistiche sulla singolarità geologica della Romagna, che poteva avere riscontri nella storia degli insediamenti e della viabilità, lo affascinavano.
E fu per considerazioni di questa natura che quando iniziai, nel '42, una indagine sopra le forme e la storia della abitazione rurale in Romagna, fu Campana a insistere perché abbracciassi nel mio studio non la Romagna delle due province di Ravenna e Forlì, descritta dalla corrispondente voce della Enciclopedia italiana (XXIX, pp. 928 ss.), come era nei progetti del Consiglio nazionale delle ricerche che mi aveva assegnato il lavoro, ma l'integrale spazio romagnolo contenuto nella carta di Rosetti. E questo perché avremmo avuto modo così di provare se anche per lo studio di un fatto culturale di grande rilievo - come è l'abitazione - quel perimetro regionale poteva considerarsi sì o no, molto o poco valido.
Chiusa la sciagura della guerra, varata la costituzione repubblicana, iniziata la ricostruzione, fra i fatti della ricostruzione in Romagna si deve noverare anche, nel settembre '49, la nascita della Società di studi romagnoli, di cui egli aveva avuto per primo l'idea13 e che per unanime voto dei promotori egli fu chiamato a coordinare e dirigere. Nel giro di pochi mesi la Società si dava alacremente uno statuto: e qui, cosa inusitata per una istituzione culturale, Campana sentì il bisogno - ne sono testimone - di precisare che cosa si doveva intendere in termini geografici per Romagna; e quindi di dedicare un articolo alla definizione territoriale della regione. Nello statuto siglato nella primavera del '50 (che ebbe poi un rifacimento non migliorativo nel '60) l'articolo primo dello statuto recita: "Si intende qui per Romagna, secondo l'accezione ormai concordemente accolta dai nostri studiosi, la regione compresa entro questi limiti: a N il fiume Reno a valle di Bastia; a NO il corso del fiume Sillaro e la dorsale del monte Oggioli; a SO la dorsale dell'Appennino; a SE la dorsale del monte Carpegna fino allo sprone di Focara; a E il mare Adriatico". Definizione che si uniforma alla carta di Rosetti e che nello stesso anno ebbe una, potremmo dire, riproduzione quasi con le stesse parole, nella voce Romagna della Appendice '38-'48 della Enciclopedia italiana (tomo II, p. 740).
Era accaduto questo: che la costituzione repubblicana del '48 (articolo 131) aveva stabilito una regione Emilia-Romagna. E su questo niente da dire: la cosa era da intendersi come una sanzione ed un omaggio insieme alla intelligente soluzione presa da Luigi Carlo Farini negli ultimi mesi del '59 per disegnare i nuovi assetti politicoterritoriali di uno stato che si veniva costruendo. Ma la regione Emilia-Romagna varata nel 1948, riverniciando con nuova e più giusta denominazione un "compartimento statistico" reso formale da Pietro Maestri nel 1863 - dopo la bocciatura del progetto regionale di Farini -, non veniva a comprendere la regione romagnola nella sua integrità, poiché le negava gli ultimi comuni della cosiddetta Romagna toscana rimasti legati burocraticamente alle province di Firenze e di Arezzo, e i comuni montefeltrani di val Marecchia e val Conca che dipendevano ancora dalla provincia di Pesaro, nonostante la loro gravitazione su Rimini.
A questo riguardo Campana pensò in quei mesi (sono gli stessi in cui si svolgeva il primo convegno di studi romagnoli e veniva fondata la Società) che bisognava proclamare una nozione corretta di quel che è la Romagna e che questa nozione si doveva divulgare per mezzo di qualche opera autorevole, di larga circolazione e consultazione, di cui fosse da prevedere una udienza maggiore degli atti della Società di studi romagnoli. E poiché io lavoravo in quegli anni nella redazione della Enciclopedia italiana e per la sua Appendice '38-'48, che poi uscì agli inizi del '50, ero stato incaricato di compilare la voce Romagna, la formulazione di quella voce fu oggetto di lunghe conversazioni fra noi. Ne scrissi io il testo, ma i concetti espressi erano stati concordati insieme. La voce, che è molto simile nel suo enunciato al primo articolo dello statuto originale della Società di studi romagnoli, si apre con queste parole: "La Romagna non è rappresentata dalla sezione sud-orientale del compartimento emiliano (prov. di Ravenna e di Forlì), come erroneamente si trova sanzionato nell'art. 131 della nuova costituzione italiana. La regione romagnola oggi non forma amministrativamente una unità, poiché resta frazionata fra l'Emilia, cui ne spettano i 7/10, le Marche, che ne hanno 2/10, e la Toscana (1/10). Anche la repubblica di San Marino si trova in Romagna". Parole che riflettevano non solo le delusioni regionalistiche di un giovane "azionista", ma anche le indomabili petizioni di un umanista per le architetture coerenti e le letture chiare.
Dopo questa concorde operazione, negli anni che seguirono i nostri modi di intendere la regione si orientarono in direzioni diverse. La prolusione di Campana su Gli studi romagnoli tenuta al convegno di Cesena del '49 e poi le sue prefazioni ai primi cinque volumi di "Studi Romagnoli", e anche i frequenti, brevi ma lucidi e fermi accenni in altri scritti (come ad esempio l'articolo Civiltà umanistica faentina edito nel '63 o il Ricordo di Luigi Dal Pane e dei suoi scritti sulla Romagna che è del 1984) permettono di capire bene che la regione di Campana, in mezzo al riesplodere della tematica regionalistica, rimane - come era già stato per lui in gioventù - legata solidamente e in modo quasi esclusivo ad una idea di spazio culturale, o per usare le sue parole di "entità culturale" ("Studi Romagnoli", I, p. 7).
Sì: "la Romagna è una realtà sulla cui definizione consentono da tempo storici, geografi e naturalisti" ("Studi Romagnoli", I, pp. 9-10); la Romagna è il prodotto, o meglio la erede di una travagliata entità politica di lungo periodo che, grazie alla pervasività dei processi politici, ha impresso alle popolazioni coinvolte determinate caratteristiche, divenute via via più forti dal medioevo in qua, e da non identificare o confondere con le interpretazioni di occasione che indulgono allo schiamazzante populismo o alle rodomontate sanguigne. E però nel suo essere odierno, la regione (o subregione, per il suo rapporto con l'Emilia) non è mai vista da Campana - forse per il suo mai celato timore di rischiose mescolanze fra cultura e politica14 - come una entità istituzionale con funzioni politiche; e neanche come uno spazio che si individui in forme di organico sistema economico e sociale, o che rispecchi una ordinata rete e gerarchia di poli urbani, come indicano ai nostri giorni le più correnti e coltivate teorie.
Entro i confini territoriali più volte accennati - e però mai rigidi (cfr. "Studi Romagnoli", I, p. 12) - la Romagna di Campana è come un grappolo di luoghi di cultura: cioè di luoghi non qualunque ma selezionati. Ed è insieme qualcosa come una grande adunanza o un libero corteo di uomini che esprimono, nei più differenti modi, una certa tradizione culturale, che avvertono di intendersi - anche quando battagliano fra loro - secondo una sorta di comune alfabeto. In questi termini mi pare sia da interpretare quello che a Cesena, nel 1953, Campana chiama "sentimento regionale dei romagnoli" e poi più categoricamente "sentimento della romagnolità" ("Studi Romagnoli", V, pp. XII-XIII). Che per quanto riguarda lui, di persona, potremmo sciogliere in una frase pronunciata nel suo ricordo di Dal Pane: cioè in "quanto può esserci, che certamente c'è, di romagnolo in tanti [suoi] lavori".15 Per le stesse motivazioni anche la storia della Romagna si concentra in buona parte, per lui, in una storia della cultura: una storia che nei numerosi casi studiati si inarca dai secoli medioevali alla prima metà del nostro secolo e si articola su fuochi diversi che si rimandano luce l'uno con l'altro: penso ai suoi profili di storia della cultura cesenate, riminese, faentina, ravegnana e così via.
Sicuramente questo modo di vedere, esplicare, fondare l'identità di una regione sul mero contenuto culturale è cosa alquanto lontana dai criteri più usati oggi per riconoscere una realtà regionale attagliata alla società odierna. Ma questi criteri, molto funzionali ai sistemi economici e urbanistici in atto, sono poi veramente sufficienti ed esaurienti? Io, che pure li condivido, trovo che in essi è bandita qualunque considerazione del fatto culturale: e questo credo sia un loro punto negativo. Il punto di vista di Campana sulla regione (che si limita a quella romagnola, perché le altre non gli risvegliarono simili problemi) può provocare forse delle perplessità là dove egli ignora le funzioni politiche della regione: in realtà non si può fare oggi il nome di regione - regio da regere, cioè governare - senza inevitabilmente richiamare un valore e un esercizio politico. Ma il punto di vista impersonato da Campana, che da più di vent'anni è stato con eccessiva fretta annebbiato o emarginato nel discorso su questo tema, non è infondato e neanche superato: esso integra utilmente, fertilmente i nostri parametri, tipici figli della società "quaternaria", con un parametro che dovremmo tenere in maggior considerazione perché riflette una inderogabile forza di fondo della realtà regionale. In una parola, qualsivoglia entità regionale per essere governata in modo razionale e positivamente deve detenere una matura personalità e una chiara omogeneità culturale.
E ai compiti, al significato e al valore di questa integrazione culturale, potremmo applicare quanto - ragionando di come vengano ad innovarsi le idee con le giovani generazioni - quanto egli diceva al primo convegno di studi romagnoli nel '49: "Il progresso realizzato da ogni generazione nuova è tale solo se in esso non sia andato perduto l'essenziale dei risultati di quelle precedenti" ("Studi Romagnoli", I, p. 14).
Note
(1) Dopo le giornate romane la cosa è stata ribadita in forma anche più incisiva e pregnante da Carlo Dionisotti nel suo scritto, non firmato, In memoria di Augusto Campana, in "Italia Medioevale e Umanistica", XXXVI, pp. 1-46: si veda specialmente a pp. 1-2, 4, 8, 25-27, 38.
(2) Prefazione a Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia. XCIII: Forlì, Biblioteca Comunale "Aurelio Saffi", Collezione Piancastelli - Sezione Carte Romagna, tomo I, Firenze, Olschki, 1979, p. v.
(3) M. Feo, L'opera di Augusto Campana (1906-1995), in Testimonianze per un Maestro: ricordo di Augusto Campana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. 85.
(4) Si vedano: per "La Romagna", G. Gasperoni, Nel solco delle grandi memorie (problemi di cultura in Romagna), Milano, Garzanti, 1959, e per "La Piê", E. Casali, La Piê e la cultura folclorica romagnola durante il fascismo, in Aspetti della cultura emiliano-romagnola nel ventennio fascista, a cura di A. Battistini, Milano, Angeli, 1992, pp. 239-313. Gli scritti qui ricordati figurano in "La Romagna", 1927, pp. 96-97 e 265, e in "La Piê", 1927, pp. 4-7.
(5) Il manifesto - a cui mise mano anche Campana - di riaccensione (dopo qualche anno di silenzi) della rivista "La Romagna" nel 1927 (fasc. I, pp. 5-7) dice solamente: "siamo tutti d'accordo che La Romagna si chiuda rigidamente, come materia, nei limiti della Regione... Quanto poi ai confini geografici non è il caso di fare qui una dissertazione o, come usava una volta, di coniare un verso che li racchiuda (e non dobbiamo sorridere se ne fece uno anche il Borghesi): la Romagna dicevamo è quella che è, cioè press'a poco le provincie di Ravenna e di Forlì, con il Montefeltro e Imola" (p. 6).
(6) Saggio di una bibliografia delle tradizioni popolari della Romagna, Bologna, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, 1933, pp. 13-16. I "criteri etnografici" e la "personalità etnica" sopra cui insiste il Piancastelli sono di certo ispirati alle tesi sostenute da Giovanni Crocioni in La regione e la cultura nazionale, Catania, De Mattei, 1914.
(7) Consiglio nazionale delle ricerche, Atlante Storico Italiano, Roma, 1949, fascicolo di 33 pagine: a pp. 2-6 la struttura del Comitato consultivo e del Comitato direttivo; a pp. 6-15 il piano di lavoro con l'indice delle carte; a pp. 16-31 le norme per i collaboratori; a pp. 32-33 una carta "indicante la distribuzione dei territori affidati ai collaboratori per il medioevo" e l'elenco dei collaboratori (in totale 31: il nome di Campana è al numero 21). Di qualche mese dopo è un altro fascicolo, pure del Consiglio nazionale delle ricerche, Atlante Storico Italiano: norme particolari per i collaboratori per le carte del Medioevo, Roma, 1942, 24 pp., con (a pp. 12-24 e in due tavole f.t. a colori) uno specimen di carta locale dell'Italia feudale (area comasca) allestito da G. P. Bognetti.
(8) La vicenda è raccontata da A. Caracciolo, Il grande atlante storico che non si fece mai, in "Quaderni Storici", 1995, 88, pp. 253-260: 253-256.
(9) La Romagna: geografia e storia, Milano, Hoepli, 1894: vedi in modo specifico pp. 7-14 e 660-663. Rimando per una breve analisi al mio articolo La "Romagna" di Emilio Rosetti, in "Romagna arte e storia", 1990, 30, pp. 83-90. Di quest'opera Campana esprimeva giustamente giudizi non positivi in merito ai contenuti delle informazioni storiche relative sia alla regione nel suo insieme che alle singole voci locali.
(10) I perimetri della Romandiola secondo Biondo sono disegnati da O. Clavuot, Biondos "Italia Illustrata". Summa oder Neuschöpfung?, Tübingen, Niemeyer, 1990, fig. 1 b di fronte a p. 361.
(11) Inventari dei manoscritti, cit., p. IX.
(12) Si veda il fascicolo Omaggio a Pietro Zangheri naturalista, Assessorato alla cultura del Comune di Forlì, 1985, p. 119.
(13) Rimando a "Studi Romagnoli", I, p. 9: nel discorso di apertura del primo convegno Campana dichiara di "pensare alla costituzione di una Società di Studi Romagnoli".
(14) L'ultima clausola dell'articolo 1 dello statuto siglato nel 1950 suona: "La Società è rigorosamente apolitica". Quella clausola fu richiesta fortemente da Campana (nonostante che qualcuno di coloro che egli aveva consultato per la elaborazione dello statuto avesse giudicato superfluo il suo inserimento). E "l'indipendenza e la superiorità" della ricerca scientifica sulle argomentazioni politiche ("sulla lotta politica" egli dice testualmente) sono ribadite nel discorso di apertura del terzo convegno di Ravenna nel 1951: cfr. "Studi Romagnoli", III, p. XV. Si vedano i commenti di Dionisotti, cit., pp. 27-28.
(15) Ricordo di Luigi Dal Pane e dei suoi studi sulla Romagna, in Atti della Giornata di Studio in onore di Luigi Dal Pane storico (giugno 1984), Faenza, Società Torricelliana di Scienze e Lettere, 1985, p. 108.
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