Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, interventi, mostre e rassegne

Cosa è il paesaggio e che ruolo ha nella formazione di una identità collettiva? "Ritornando sull'Appennino", il ciclo di iniziative che riprende le indagini sul territorio, ha preso le mosse da queste domande.
Crinali ritrovati

Mario Piccinini
[presidente della sezione Emilia-Romagna dell'Istituto nazionale di urbanistica]

Quaranta anni fa cominciava la prima campagna di rilevamento dei beni culturali promossa dalla Soprintendenza alle gallerie e dalla Provincia di Bologna. "Ritornando sull'Appennino" è il titolo di un ciclo di iniziative sul tema del paesaggio organizzato tra primavera e inverno di quest'anno dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e dalla Provincia di Bologna, in collaborazione con la sezione regionale dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU). Il testo che segue riprende uno degli interventi pronunciati nel corso del primo seminario in programma, svoltosi il 2 aprile 2008 a Bologna sul tema "L'identificazione dei paesaggi". Il secondo seminario - ospitato il 21 e 22 giugno nei fienili del Campiaro di Grizzana Morandi, edifici restaurati grazie alla "riscoperta" avvenuta in occasione della campagna del '69 - ha dato il via a un laboratorio di indagine sul territorio attuale, aperto a fotografi, registi di video, architetti, urbanisti, geografi, antropologi e geologi; obiettivo: suggerire strategie utili al piano territoriale provinciale, sia per una riqualificazione dei luoghi, sia per un recupero degli edifici sottoutilizzati. L'ultimo seminario avrà luogo a Bologna nell'autunno-inverno, con una mostra che affiancherà i materiali fotografici "storici" alle nuove immagini prodotte.


Questo seminario si svolge a pochi giorni dalla ratifica, da parte del Consiglio dei ministri, del Codice dei beni culturali e del paesaggio promosso dal ministro Francesco Rutelli e da una commissione di esperti guidata da Salvatore Settis. Il testo approvato è frutto di un confronto serrato fra Governo e Regioni e rappresenta un punto di equilibrio soddisfacente. Lo Stato si riappropria della sua potestà sul paesaggio, mentre le Regioni mantengono le loro competenze. Il Codice prevede che Stato e Regioni debbano assicurare che il "paesaggio sia adeguatamente conosciuto, tutelato e valorizzato", secondo il principio di "cooperazione". Si sancisce di nuovo quanto previsto all'articolo 9 della Costituzione: "La Repubblica [...] tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione".

La sentenza della Corte costituzionale n. 367 del novembre 2007 aveva già ribadito che la tutela sul paesaggio è "un valore primario e assoluto, che rientra nella competenza esclusiva dello Stato" e "precede e limita il governo del territorio".1 Sono due i punti qualificanti contenuti nel Codice: il primo riguarda la disciplina del rapporto Stato-Regioni; il secondo il meccanismo di subdelega ai Comuni. Si determina in questo modo una gerarchia di competenze. Lo stato emana "le prescrizioni d'uso" a cui i piani regionali si devono attenere con il parere vincolante delle soprintendenze. "Entro il termine stabilito nel piano paesaggistico e comunque non oltre due anni dalla sua approvazione, i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano e adeguano gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici, introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative".

In riferimento al Codice dei beni culturali, ci si propone di riflettere sulla responsabilità collettiva nei confronti della qualità del paesaggio costruito e sul ruolo che devono svolgere Stato, Regioni e Comuni, anche in riferimento alle preoccupazioni sui rischi connessi a un processo di delega agli enti locali che, se mal gestito, potrebbe nascondere concezioni approssimative di democrazia partecipativa e portare, nei fatti, a gravi difficoltà di tutela.2 Il Codice, all'articolo 143, prevede che "in base alle caratteristiche naturali e storiche e in relazione al livello di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati".

Il primo appuntamento di questo ciclo di seminari è dedicato alla identificazione dei paesaggi come aspetto propedeutico alla pianificazione. Si tratterà successivamente di mettere in luce il ruolo di enti come la Provincia e degli strumenti come il Piano territoriale di coordinamento provinciale, non previsto dal Codice, ma individuato dalla legge urbanistica regionale come strumento per dare attuazione alle disposizioni del Piano territoriale regionale e alla sua articolazione specifica: il Piano paesistico regionale. In questo quadro occorre riprendere lo studio delle "unità di paesaggio" che sono assimilabili agli "ambiti" previsti dalla normativa statale, facendo di queste unità gli elementi territoriali con cui esercitare una conservazione attiva.

Scopo di questo primo seminario è mettere in luce il significato della nozione di paesaggio nonché il ruolo che esso svolge in modo primario per la definizione della identità nazionale.3 "Ogni paesaggio appartiene al popolo che lo ha creato" diceva Friedrich Schiller, poeta e pensatore tedesco (1759-1805). Alexander Humboldt, naturalista e geografo (1769-1859), fondatore della moderna geografia scientifica, si spinge ancora più avanti e definisce la visione di una "fisiognomica" del paesaggio naturale come l'espressione di una profonda forza di organizzazione concentrata dall'ambiente e dalle sue caratteristiche fisiche e climatiche sugli esseri viventi. Gli "inquadramenti paesistici" vengono usati per la prima volta da Humboldt nel 1808. Secondo la definizione recente di Lucio Gambi, il paesaggio è descritto dal "coesistere e dal congiungersi in una medesima area di fenomeni dovuti a elementi diversi come il clima e la vegetazione, la morfologia e la idrografia".4

Fra le nozioni di paesaggio comunemente conosciute, vi sono quelle di tipo essenzialmente vedutistico, che individuano le parti di territorio che si possono abbracciare con lo sguardo da un determinato punto di vista, e quelle, più complesse, di tipo sostanzialmente geografico, che definiscono il territorio come una somma degli elementi che costituiscono i tratti fisionomici di una parte della superficie terrestre. La definizione che prevale negli approfondimenti di carattere paesistico territoriale volti alla predisposizione di strumenti di tutela (quali sono i piani alle diverse scale: regionale, provinciale e comunale) sembra essere, a ragione, la seconda. La riforma del Codice dei beni culturali e ambientali, varata dal governo uscente in extremis, definisce il paesaggio come l'insieme delle "parti del territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni". Nella legge sulla "Protezione delle bellezze naturali" del 1939 prima, e nella legge "Galasso" poi, non era stata data una definizione di paesaggio, almeno non in modo diretto, ma si indicavano solo gli elementi del paesaggio da tutelare.

Il paesaggio è dunque l'insieme degli aspetti geomorfologici, ambientali, socio-economici e storico-insediativi che sono comuni a una determinata area. Esso subisce trasformazioni e adattamenti a opera dell'uomo e della natura in tempi più o meno lenti; il termine paesaggio presume quindi una evoluzione nel tempo. La nozione di paesaggio può essere definita quindi attraverso punti di vista diversi, sia di tipo cognitivo (condizioni geografiche, geologiche, fitografiche, storiche, insediative, demografiche, economiche, eccetera), sia di tipo percettivo (ciò che noi percepiamo con lo sguardo e con le strutture profonde del cervello).5

I luoghi, inoltre, sono generalmente dotati di una loro individualità, che ne costituisce la facies culturale prodotta dalla comunità. La necessità "di riconoscere ed elaborare uno 'statuto dei luoghi', da parte degli urbanisti, significa il riconoscimento della necessità di mantenere 'l'identità culturale del territorio', a partire dall'individuazione di matrici formali che si rivelano nella configurazione temporale".6 La lettura storica e morfologica del territorio risulta determinante nella individuazione dei tipi territoriali e dei caratteri identitari: "La lettura della forma del territorio è l'operazione pregiudiziale che deve precedere ogni altro tipo di approfondimento interpretativo. Infatti la configurazione della realtà naturale nei suoi termini geografici, orografici e idrografici, e fisici (geologici e tettonici) contiene già in sé la ragione e la spiegazione dei successivi sviluppi".7

Un aspetto che sembra opportuno sottolineare, soprattutto nel caso dell'Italia, è che il paesaggio è una realtà complessa e prevalentemente storicizzata, ed è opera dell'adattamento dell'uomo, salvo ovviamente le cime delle montagne o gli elementi di singolarità geologica. Anche il paesaggio toscano, che sembra così naturale - William Somerset Maugham scriveva di "sofisticata purezza" - in realtà è frutto di un adattamento continuo e secolare.8 Le trasformazioni e gli adattamenti hanno spesso velocità diverse. Per esempio le zone di fondovalle sono state le più vocate alle trasformazioni con la crescita di insediamenti, sia residenziali che produttivi, a partire dal secondo dopoguerra. È indubbio che i cambiamenti infrastrutturali intervenuti in momenti diversi, dopo l'unificazione d'Italia, attraverso le ferrovie e, a partire dagli anni Sessanta, con le autostrade, hanno modificato profondamente i paesaggi. La stessa dimensione dei paesaggi, di scala piuttosto piccola in Italia, e quindi il maggiore impatto delle infrastrutture, pone la necessità di occuparsi dell'inserimento e del disegno delle stesse in quanto elementi strutturanti del paesaggio.

Vi sono viceversa paesaggi, anche nel nostro Appennino, che sembrano immutati nel tempo, nei quali le trasformazioni hanno inciso molto più lentamente che altrove e dove l'adattamento sembra essere avvenuto in modi più coerenti con i contesti. Il cambiamento dell'Appennino è percepibile nelle diverse forme dell'abbandono degli edifici, nella crescita del bosco, ma anche, questa volta in senso positivo, nella rinascita di paesi a opera di nuovi abitanti immigrati, che costituiscono quote significative di popolazione giovane, e questo è sicuramente uno degli aspetti più interessanti. Questa popolazione si insedia nei luoghi più lontani e meno appetibili per il mercato immobiliare e contribuisce al presidio del territorio e, in controtendenza, a ridurre lo stato di abbandono dei luoghi.

Infine, vale la pena di ricordare, ultimi ma non meno importanti, anche i paesaggi letterari; per esempio, nel caso dell'Appennino tosco-emiliano quelli descritti da Johann Wolfgang Goethe, Alfredo Oriani, Stendhal e altri, ma anche quelli pittorici di Giuseppe Ugonia, Silvestro Lega, Giovanni Fontanesi e Antonio Fontanesi e, più recentemente, di Giorgio Morandi.9 L'osservazione dei paesaggi dipinti e dei documenti iconografici risulta preziosa almeno quanto la fotografia e l'aerofotogrammetria. Alla metà del Quattrocento l'umanista Flavio Biondo (1392-1463) descrive la catena appenninica come la schiena d'Italia: nel suo tratto emiliano e romagnolo è un fronte di quasi trecento chilometri tagliato da una quindicina di valli maggiori alternate da altrettante minori che raggiungono la strada pedemontana dopo non più di 50-60 chilometri.10

"La montagna che ci è stata raccontata dalla letteratura è soprattutto romantica, e si connota per la forza eccezionale degli elementi naturali, capaci di parlare alla profondità dello spirito e di essere rifugio per gli uomini di grandi sentimenti"; e ancora: "Appena mi avvicino ai monti, vengo subito ripreso dalla mia attrazione per le pietre. Mi sembra di essere Anteo, che si sente sempre rinvigorito man mano che vien messo più saldamente a contatto con la terra sua madre" dice Goethe nel suo Viaggio in Italia (1786-1788). Anche oggi, quando prevalgono le teorie basate esclusivamente sulla percezione visiva, la parola paesaggio assume talvolta, nel dibattito culturale, un valore vagamente romantico. Ma i paesaggi non debbono essere trasformati in cartoline, come accade spesso di vedere nelle pubblicazioni: sono luoghi reali che comprendono non solo il bello, ma anche il brutto, cioè le trasformazioni più forti e incongruenti che ci può capitare di incontrare.

Il Codice dei beni culturali stabilisce, tra l'altro, che: "In base alle caratteristiche naturali e storiche e in relazione al livello di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il piano [paesistico] ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati". La conservazione, il ripristino e la "riterritorializzazione" possono dunque contribuire a una valorizzazione dei luoghi "che non si limiti alla loro fissazione museale o turistica, ma rifiuti di considerarli come semplici 'risorse' in un orizzonte esclusivamente economicistico".11

Se restringiamo il campo al territorio della Provincia di Bologna e guardiamo agli strumenti di pianificazione alla scala del Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) si può vedere che, come richiesto dalla legge regionale 20/2000, questo strumento specifica e approfondisce il Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) individuando come Unità di paesaggio i quattro sistemi territoriali che caratterizzano questa provincia: la pianura, la collina, la montagna e il crinale appenninico.12 Diviene quindi utile, alla luce di queste premesse, rileggere il paesaggio appenninico valutando le trasformazioni intervenute negli ultimi quaranta anni - da quando furono svolte le prime campagne di rilevamento dei beni culturali promosse dalla Soprintendenza alle Gallerie e dalla Provincia di Bologna, alla fine degli anni Sessanta, e soprattutto da quando decollò il "miracolo economico" italiano con la conseguente infrastrutturazione di ampie parti di territorio - e definendo i caratteri di persistenza, o di trasformazione più lenta, da quelli propri del cambiamento più radicale.

Un altro aspetto importante, che ritengo sarà oggetto di trattazione, è il valore del paesaggio, che è stato giustamente definito "un valore senza prezzo", e la conseguente necessità del suo aumento oltre che della sua conservazione.13 In questo approccio il paesaggio non può più essere considerato un'entità statica, ma una realtà dinamica da interpretare, e va esaminato nei suoi processi di trasformazione operando una distinzione, alle diverse scale territoriali, e mettendo al centro delle politiche territoriali il rapporto tra il territorio, il paesaggio, l'identità e i suoi abitanti. Sempre tenendo a mente la "Convenzione europea del paesaggio" sottoscritta a Firenze nel 2002, secondo cui il paesaggio contribuisce alla formazione delle culture locali ed è un elemento basilare del patrimonio naturale e culturale europeo in quanto ne rafforza l'identità e la diversità.


Note

(1) S. Settis, Chi salverà il paesaggio. La lunga guerra fra Stato e Regioni, "la Repubblica", 27 novembre 2007.

(2) M. Pirani, In mancanza dei Budda aggrediamo il paesaggio, "la Repubblica", 19 novembre 2007: "Ma quel che suscita allarme, ben oltre i singoli casi, è la delega affidata in ultima istanza ai Comuni in merito alla difesa del paesaggio. Così, con una risibile interpretazione della 'democrazia partecipativa', si è non solo abrogato l'articolo 9 della Costituzione secondo cui la Repubblica tutela il paesaggio (non certo i comuni), ma si è innescato un diffuso conflitto di interessi: gli enti locali, sempre a corto di mezzi, sono invogliati a introiti aggiuntivi, attraverso concessioni edilizie, spese di urbanizzazione, eccetera, tanto più che hanno ottenuto di usarli come spesa corrente, cosa che la vecchia legge Bucalossi vietava".

(3) In occasione della prima legge sul paesaggio, presentata nel 1920 da Benedetto Croce, il filosofo, allora ministro della Pubblica istruzione, descrive il paesaggio come "la rappresentazione materiale e visibile della patria, con i suoi caratteri fisici particolari [...], formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione nei secoli".

(4) L. Gambi, I valori storici dei quadri ambientali, in Storia d'Italia, I, Caratteri originali, Torino, Einaudi, 1972, p. 7 (www.ibc.regione.emilia-romagna.it/approf/gambi.pdf).

(5) T. Tempesta, Aspetti percettivi e cognitivi nella valutazione del paesaggio, in Il paesaggio: un valore senza prezzo, a cura di F. Marangon, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2007, pp. 27-46.

(6) L. Bonesio, Conservare il paesaggio, lezione nell'ambito della Summer School dell'Università di Bologna sulla "Morte del paesaggio", giugno 2002 (ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=2730).

(7) G. Cataldi, Per una scienza del territorio. Studi e note, Firenze, Uniedit, 1977, p. 43.

(8) W. Somerset Maugham, La villa sulla collina, Palermo, Sellerio, 1994, p. 38.

(9) Natura Picta. Paesaggio e immagini dell'Emilia-Romagna nelle arti figurative, nella fotografia, nel cinema, a cura di G. Adani e P. Orlandi, Milano, Silvana Editoriale, 1992.

(10) Flavio Biondo è l'autore dell'Italia illustrata, in cui racconta l'aspetto geografico e la formazione storica dell'Italia.

(11) L. Bonesio, Conservare il paesaggio, cit.

(12) Il PTCP prevede, per la provincia di Bologna, 13 Unità di paesaggio, di cui 5 identificano la Montagna: 9) Montagna media occidentale; 10) Montagna media orientale; 11) Montagna media imolese; 12) Montagna della dorsale appenninica; 13) Alto crinale dell'Appennino bolognese.

(13) Il paesaggio: un valore senza prezzo, a cura di F. Marangon, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2007.

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