Rivista "IBC" XIII, 2005, 2
territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, interventi
Il 14 gennaio 2005 a Bologna si è tenuto il convegno "Identità e risorse per uno sviluppo sostenibile dell'Appennino", organizzato da OIKOS Centro studi ( www.oikoscentrostudi.com) e dalla Fondazione Cassa di risparmio in Bologna ( www.fondazionecarisbo.it). Nel corso del convegno è stata presentata la ricerca "Le strade verdi dell'Appennino" che si propone di attivare meccanismi di valorizzazione del territorio in grado di produrre processi virtuosi di sviluppo delle aree montane, con particolare riferimento alla provincia di Bologna, ripartita nelle aree individuate dalle direttrici storiche ( www.stradeverdi.bo.it/home.html). Pubblichiamo l'intervento di Felicia Bottino, presidente di OIKOS, che illustra le linee generali del progetto, e il contributo di Antonio Faeti, docente di Grammatiche della fantasia all'Accademia di belle arti di Bologna.
Desidero innanzitutto ringraziare la Fondazione Cassa di risparmio per aver creduto fin da subito nella validità sociale e culturale delle ricerche da me proposte appena divenuta presidente di OIKOS Centro studi. Si tratta, come vedremo, di due ricerche che rientrano nella tradizione di analisi, conoscenza e pianificazione del territorio che è stata, e ancora oggi è, vocazione e tradizione della Regione Emilia-Romagna, dei suoi enti locali e dei diversi soggetti che fanno ricerca e cultura.
Una tradizione che da un lato ha consentito la nascita dell'Istituto per i beni culturali, dall'altro ha prodotto la pratica, diffusa in tutto il territorio regionale, di una politica di pianificazione locale e territoriale basata sulla tutela ambientale e culturale. Quasi superfluo ricordare ad esempio i Piani dei centri storici, l'istituzione dei Parchi, il Piano territoriale paesistico, ecc., che hanno costituito la base di tutta la legislazione regionale. L'idea di queste due ricerche nasce proprio da alcune considerazioni che affrontano in modo critico lo stato dell'arte e le potenzialità, non pienamente utilizzate sia a livello nazionale che regionale, dei beni culturali e ambientali, e del ruolo centrale che questi possono giocare nello sviluppo del Paese.
La prima considerazione, forse scontata ma non banale, riguarda il fatto che in Italia, al di là delle enunciazioni di principio, non si è a tutt'oggi riusciti a realizzare una efficace politica che unisse alla tutela una reale e corretta capacità di valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, che peraltro rappresenta la più forte identità del nostro Paese, e quasi mai si è perseguita la giusta strada di fare della tutela e della valorizzazione un motore per uno sviluppo diverso e più efficace di quello attuale.
Al contrario troppo spesso già in passato, ma con maggiore forza ancora oggi, si registrano indirizzi legislativi e linee di intervento a livello nazionale che puntano a un mero sfruttamento "economico" del patrimonio (come ad esempio la vendita, o meglio svendita che lo vede utilizzato per ripianare il debito pubblico). Ma anche nelle esperienze più avanzate, come ad esempio nella nostra Regione, dove da anni la politica di tutela dei beni culturali si è operativamente tradotta in provvedimenti e piani come quelli del Piano paesistico regionale e dei Piani paesistici provinciali, non si è proceduto a una successiva attività di progettazione e realizzazione basata sulla efficace e compiuta valorizzazione di questi territori.
La seconda considerazione è di segno positivo. Proprio in virtù dell'operazione di tutela che in questa Regione si è riusciti ad attivare (l'Istituto per i beni culturali è una testimonianza di quanto la volontà delle istituzioni potesse essere interessata a realizzare queste politiche), salvaguardando in grande misura il patrimonio culturale (i centri storici grandi e piccoli, i teatri e i castelli, le presenze archeologiche, ecc.) e quello naturale (dai corsi d'acqua al sistema dei beni naturali), sarà possibile impostare e realizzare un grande progetto di valorizzazione territoriale. Anche solo una semplice lettura morfologica del territorio regionale permette di evidenziare una grande struttura ambientale composta dalla dorsale appenninico-collinare e dai diversi corsi d'acqua che affondano come un pettine nella conurbazione dell'asse della via Emilia, da Piacenza a Rimini senza soluzione di continuità. Ciò significa avere oggi la grande occasione di progettare funzioni e usi di questi beni considerandoli nell'insieme come una grande infrastruttura ambientale capace di integrarsi con il tessuto urbano e di arricchire la città di una dotazione significativa di standard di qualità.
Quindi, al di là delle previsioni di insediamenti residenziali, industriali, commerciali, ecc., che detengono da sempre un forte predominio nei nostri piani regolatori, si deve oggi attribuire alle aree montano-collinari o alle aree fluviali quel rango di eccellenza che oggettivamente rivestono, nella consapevolezza di riuscire in questo modo a raggiungere più alti livelli di qualità urbana e di competitività territoriale.
Una banale considerazione: nessuno dei nostri piani regolatori, per quanto intrisi di tutela lungo le aree fluviali, affronta il progetto del parco fluviale come elemento strutturale del territorio, considerandolo invece ancora come un'area di risulta e mai come area di eccellenza. La ricerca che stiamo conducendo lungo il fiume Reno dimostra che invece può essere molto diverso il ruolo che il fiume, come elemento paesaggistico e naturale, e le emergenze culturali e architettoniche la cui presenza arricchisce in misura notevole il nostro territorio, possono e devono assumere all'interno dei processi di pianificazione e progettazione. E, soprattutto, la ricerca dimostra come, attraverso un sistema di accessibilità ecologica e di fruizione sostenibile, questo patrimonio di beni culturali e paesaggistici possa rispondere alla forte domanda di svago, tempo libero, natura, ecologia, ecc., che viene in modo sempre più pressante espressa dai nuovi stili di vita, favorendo all'interno dell'intero bacino metropolitano uno scambio e un utilizzo reciproco delle diverse funzioni di eccellenza.
D'altra parte, proprio a livello regionale sono stati da tempo abbandonati i concetti di separatezza tra aree forti e aree deboli e i nuovi orientamenti parlano di forte integrazione territoriale proprio sapendo che, riuscendo a connettere le aree forti e le aree deboli, facendole interagire molto di più, si può effettivamente alzare la competitività, la qualità e l'attrattività dei nostri territori. A questi concetti siamo già arrivati teoricamente, la stessa considerazione di area metropolitana estesa all'intero territoriale provinciale vuole dire questo. Io penso però che la nostra capacità progettuale sia ancora inadeguata. La finalità della ricerca è proprio questa: riuscire a evidenziare le vere peculiarità di queste aree, indagandone e ricostruendone le identità (culturali, ambientali-paesaggistiche, storico-sociali), analizzandone l'accessibilità e la capacità ricettiva e di servizio.
Da un punto di vista operativo, è stato delineato un quadro di programmazione che si muove dalla registrazione degli stati di fatto, verificando le singole progettazioni degli enti locali e quindi prospettando alcuni suggerimenti di metodo e di merito. Innanzitutto, è stata evidenziata la necessità che, nel corso di tutte le operazioni di pianificazione, valorizzazione e progettazione urbana, siano messe in rete in modo permanente e ai diversi livelli (comunali e sovracomunali), le risorse, i progetti e gli attori presenti sul territorio, per favorire quell'integrazione sinergica che oggi è indispensabile sia sul piano economico che sul quello istituzionale.
Il secondo suggerimento che scaturisce dalla ricerca è quello di affrontare con molta convinzione da parte degli amministratori istituzionali la gestione e il governo del territorio con orientamenti e comportamenti strategici, al fine di costruire una visione unitaria, condivisa e partecipata delle scelte a cui vengono affidate le trasformazioni del territorio. Dalla ricerca, infine, è scaturita una metodologia che riassume l'intero percorso progettuale dalla fase di analisi, alla identificazione dei punti di forza e dei punti di debolezza, alla formazione del quadro conoscitivo, fino alla definizione dei singoli progetti.
[Felicia Bottino]
La Rocchetta e le bottiglie
Si va a Santiago de Compostela dopo aver visto il film di Luis Buñuel La Via Lattea, oppure dopo aver letto la Guida del pellegrino di Santiago nel Libro quinto del Codex Calixtinus, del secolo XII1 o anche perché si appartiene alla senese Contrada del Nicchio, devota a San Giacomo di "Campus Stellae". I pretesti che inducono a partire sono così vari e tanto diversi tra loro da comporre una specie di misteriosa enciclopedia dell'attrazione in cui sono presenti fascinazioni secolari e ammiccamenti momentanei.
Nello splendido e terribile film di Billy Wilder, L'asso nella manica, del 1951, una variegata moltitudine di americani corre, con tanti mezzi diversi, ad assistere all'agonia di Leo Minosa che sta morendo nel deserto sotto la "Montagna dei Sette Avvoltoi". Sorge una immensa città di tende e di roulotte ma subito si dissolve quando Leo muore: un'agonia non può essere, per sua natura, una mèta turistica durevole, anche gli avvoltoi multimediali che nel 1981 circondarono il pozzo di Vermicino per mostrare in diretta l'agonia di Alfredino Rampi, poi dovettero andarsene, e la popolazione di quei luoghi non ha tratto durevole beneficio turistico dalla lunga, interminabile impresa tanatologica che rese il "Pozzo" protagonista.
Non è la morte, ovviamente, a dissuadere i turisti, anzi: si va, indifferentemente, a vedere il Pian di Campaldino, la grigia distesa di terre anonime nelle quali si compì il massacro di Charleroi, durante la Grande Guerra, o la piana rigogliosa dell'Antietam dove si combattè una delle più sanguinose battaglie della Guerra Civile americana. Ma a Campaldino era soldato anche Dante, a Charleroi combattè il romanziere Drieu La Rochelle, e basterebbe leggere il romanzo di fantascienza Il sogno di Lincoln per correre a vedere, a esplorare i luoghi dell'Antietam.2
Proprio all'inizio dell'era turistica, quando a viaggiare sono quasi solo i Tartarini (con tre mete standard e perfette: il deserto, le Alpi, la Polinesia), il genio anticipatore di Mark Twain ci fornisce quasi una ricetta per trasformare un luogo adatto per gite scolastiche e per innocenti, poco redditizie scampagnate, in una località capace di sedurre - Twain dice: "per l'eternità" - un turismo ricco e qualificato. Il tremendo Joe l'indiano, nemico sanguinario di Tom e di Huck, è rimasto chiuso nella Grotta, delizia e incubo degli abitanti del loro piccolo villaggio, per non morire di sete ha scavato nella roccia una cavità in cui raccoglie, goccia dopo goccia, l'acqua che scende dall'alto. Joe è morto di fame e di sete: un tempo scarsi turisti occasionali venivano a osservare le stupende stalattiti colorate, ora carovane di pensosi viaggiatori raggiungono la grotta per meditare accanto alla "Tazza di Joe l'Indiano".
Per diventare risorsa turistica, ogni luogo deve mutare la propria identità e trasformarsi in un riferimento ben preciso entro la Mappa dell'Immaginario: la manniana Montagna Incantata è un albergo seducente e misterioso, nel giorno di Ulisse i pellegrini joyciani camminano per Dublino, la piccolissima via Pal di Budapest è sacra ai lettori di ogni lingua. Le isole Tuamotu sono raggiunte da due confraternite distinte che fanno riferimento a Stevenson e a Gauguin.
È però cosa complessa, difficile, in certo senso addirittura sospetta quella che prevede l'azione "a freddo", senza casualità, senza l'aiuto di una specifica Provvidenza, con cui si medita, si progetta, si prevede, di prendere un luogo, un posto, una località e di collocarli, per sempre nell'Immaginario. Si consideri, esemplarmente, quel tratto dell'Appennino bolognese in cui sorge (ancora...) la Rocchetta Mattei e in cui sono ancora visibili i calanchi, le forre, le siepi polverose, le case brevemente spettrali che appaiono nelle piccole tele di Giorgio Morandi. Tra i due elementi non c'è, apparentemente, alcuna connessione, sono già nell'Immaginario ma appartengono alla categoria in cui era collocata la Grotta di Tom prima che Joe scavasse la tazza.
Ci sono alcuni preziosi libretti a cui ricorrere, ora che dobbiamo saper progettare ciò che un tempo avveniva casualmente: uno è il delizioso Il medioevo secondo Walt Disney di Matteo Sanfilippo.3 L'autore fa un suo viaggio tra finzioni d'ogni genere, ed esplora film, cartoons, fumetti, romanzi, poesie, pulps, canzoni, sempre salendo e scendendo tra l'Alto e il Basso. Ma chi ha letto le storie di Hal Foster comprese nella serie di fumetti dedicati al Prince Valiant, il nostro "Principe Valentino", sa già benissimo che per diventare davvero fascinoso, irresistibilmente capace di suscitare un perenne amore, il "medioevo" ha bisogno delle splendide tavole di questo ex marinaio, innamorato dei pittori preraffaeliti, e quindi dotato di un segno minuzioso, aggraziato, intenso, allusivamente poetico. Fosse ancora vivo, Hal Foster non avrebbe nessuna difficoltà ad ambientare una sua storia del Principe Valentino nella Rocchetta Mattei, e dopo aver saputo che è stata edificata nell'Ottocento, agirebbe con ancor più poetica determinazione.
Anche Washington Irving era americano come Foster, e quando vide per la prima volta l'Alhambra, all'inizio del mese di maggio del 1829, era pervaso dagli stessi impulsi che poi divennero patrimonio di Foster e dei preraffaeliti, perché non si sentiva propriamente in un luogo, ma "sotto un'incantesimo in qualche palazzo fatato".4 E per diventare durevole attrazione turistica, la Rocchetta Mattei deve ritornare a Washington Irving: "ritornare" perché si sa che è anche nata dalla presenza, nell'Immaginario europeo dell'Ottocento, di questo libro così amato, così speciale e tanto capace di rendersi attuale, perché la reggia degli Abenceragi, degli "ultimi Abenceragi", non ci parla solo di loro, ma allude a tante Cripte dei Cappuccini, a dinastie perdute, a crolli malinconici di imperi, a mappe immaginative in cui il "falso" di Tolkien si collega con il "vero" di Scott.
Un altro libro straordinario da cui si può ricavare quanto serve per collocare nell'Immaginario luoghi che esistono davvero, è il memorabile Foreste, di Robert Pogue Harrison.5 È un piacevolissimo trattato in cui tanti boschi, dalla selva dantesca al bosco della libertà di Robin Hood, trovano la loro collocazione nel sogno dell'occidente. Con Harrison nulla vive unicamente della propria fredda materialità, ma ogni pretesto ritrova non solo un significato rinnovato e più lucido, ma anche un ampio orizzonte di senso. Così il libro di Harrison può insegnarci non solo a capire che cosa sia davvero la Rocchetta, ma anche a collegarla a Morandi. Se nessun bosco vive della propria evidenza "naturale", ma solo perché è l'"ombra della civiltà", allora dal Ramo d'oro di Sherwood, ovvero dal tragitto che da Harrison conduce fino a Frazer, noi apprendiamo come l'Immaginario sia composto da collegamenti che preludono a una logica meno pigra e deludente di quella a cui si attiene chi non sa che l'Immaginario esiste, governa, domina, impone, caratterizza e che va studiato.
E allora l'eremita di via Fondazza trovò certo una sua Alhambra, gemella di quella silente, di portici e di bottiglie, in quei calanchi accanto a Grizzana, che devono entrare in una ermeneutica pittorica (come i boschi di Barbizon...) per potere essere visti davvero. "Come è brutta Illiers..." sembra dicessero i primi turisti proustiani americani. Ma poi la videro davvero, e lì scorsero attoniti la parte di Swan, là udirono la sonatina di Vinteuil, più avanti scoprirono Bergotte che camminava pensosamente. In certo senso, tutti i luoghi del mondo devono essere guardati da un loro Marcel: i paesaggi di Grizzana possiedono una patina, non c'è dubbio, perché Morandi l'ha portata lì dalle sue bottiglie. L'Alhambra del Mattei ci ricorda, splendidamente, autenticamente, la Xanadu del "cittadino" Kane, mentre il suo creatore, Orson Welles, compirebbe ora novant'anni, e Xanadu è una mèta gloriosa per Prince Valiant.
Il Vicino-Lontano è una categoria dell'Immaginario che dovrebbe essere sempre tenuta presente quando si allude alla rivisitazione che intende assegnare una fascinazione calcolata e progettuale a luoghi molto familiari e prossimi. Un vecchio racconto di Giovanni Papini agisce come una specie di benefico vaccino: San Martin la Palma.6 È la breve vicenda di Giovanni, bambino, che sente sempre magnificare, dalla sua mamma, le delizie, di tipo orientale, da Mille e una notte, di un paesino a dieci chilometri da Firenze, dove esiste un giardino delle delizie, un frutteto di proprietà di un vecchio prete, parente della mamma, dove si possono cogliere, a volontà, tanti frutti inimitabili, favolosi. Poi finalmente ci vanno e non trovano nulla, tornano a casa con un piccolo mazzo di radicchi avvizziti. Chi studia l'immaginario deve sapere fare i conti anche con i radicchi.
[Antonio Faeti]
Note
(1) Il film La voie lactée di Luis Buñuel è del 1968, la Guida è stata edita dalla milanese Jaca Book nel 1989.
(2) C. Willis, Il sogno di Lincoln, "Urania speciale" n. 1243, Milano, Mondadori, 30 ottobre 1994.
(3) M. Sanfilippo, Il medioevo secondo Walt Disney. Come l'America ha reinventato l'Età di Mezzo, Roma, Castelvecchi, 1993.
(4) W. Irving, I racconti dell'Alhambra, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1988, p. IX.
(5) R. P. Harrison, Foreste. L'ombra della civiltà, Milano, Garzanti, 1992. Altri testi sempre utilissimi per lo studio dell'Immaginario: B. Brecht, L'Abicì della guerra, Torino, Einaudi, 1975; M. Frisch, Guglielmo Tell per la scuola, Torino, Einaudi, 1973; C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967; E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari, Laterza, 1972; E. Turri, Antropologia del paesaggio, Milano, Edizioni di Comunità, 1974.
(6) G. Papini, Il muro dei gelsomini. Ricordi di fanciullezza, Torino, SEI, 1963, p. 37.
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