Rivista "IBC" XIV, 2006, 1

territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, mostre e rassegne, pubblicazioni

Da una parte le vedute di un incisore dell'Ottocento. Dall'altra, gli stessi luoghi, negli scatti di un fotografo del nostro secolo. Al centro la Romagna. E una domanda: che cosa è cambiato?
Un'arcadia all'acqua benedetta ["Viaggi in Romagna. Doppio sguardo"]

Attilio Brilli
[docente di Letterature anglo-americane all'Università di Siena]

"Viaggi in Romagna. Doppio sguardo" è il titolo della mostra promossa dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e dalla Biblioteca civica "Gambalunga" di Rimini, che l'ha ospitata nelle sue Sale antiche dal 22 dicembre 2005 al 18 febbraio 2006. Alla prima edizione se n'è già aggiunta una seconda presso la Biblioteca comunale di Imola, dal 18 marzo al 26 aprile. L'esposizione, curata da Annamaria Bernucci, ha affiancato le incisioni realizzate negli anni Trenta dell'Ottocento da Bernardino Rosaspina e le corrispondenti fotografie a colori scattate nel 2005 da Emilio Salvatori. Un dialogo a distanza ravvicinata, di cui questo numero di "IBC" presenta alcuni momenti nel suo repertorio iconografico in bianco e nero.

La serie completa delle 33 incisioni rosaspiniane che compongono le Vedute dei paesi di Romagna - il documento visivo più organico e rappresentativo della realtà urbana regionale dell'epoca - è stata ricostituita attingendo ai patrimoni grafici della Biblioteca Gambalunga, del Fondo "Piancastelli" della Biblioteca comunale di Forlì, della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna e della Collezione "Bondanini". Patrimoni di cui l'IBC è tuttora impegnato a completare la catalogazione, e di cui si può apprezzare la consistenza e la qualità consultando in rete il catalogo Imago ( www.ibc.regione.emilia-romagna.it/imagopre.htm).

Dal volume curato da Annamaria Bernucci a corredo della mostra (Bologna, IBC-CLUEB, 2005, collana "Immagini e Documenti") presentiamo una parte del saggio in cui Attilio Brilli, esperto di letteratura odeporica, ricostruisce il punto di vista di alcuni viaggiatori stranieri sulla Romagna negli anni della Restaurazione.

 

A prima vista, la scena potrebbe essere una di quelle che, qua e là, si colgono nelle incisioni del "viaggio in Romagna" di Bernardino Rosaspina raffiguranti una qualche arte, un mestiere, una carrozza in transito, una coppia a passeggio o a cavallo, un manipolo di sbirri, sempre comunque immerse nel sonnolento torpore della loro amabile, bamboccesca goffaggine. Poi la scena si anima, i personaggi si muovono e declinano le rispettive generalità: si tratta di due viandanti che s'incrociano appena fuori Lugo, un incontro occasionale, ma, come vedremo, di un qualche rilievo nella tradizione del viaggio in Italia. L'uno, Jean Joseph Gaume, protonotario apostolico, è un individuo colto e perspicace, viene da Nevers e sta compiendo un pellegrinaggio alle "tre Rome", quella pagana, quella cristiana e quella sotterranea; l'altro è un vecchio reduce delle campagne napoleoniche, anche lui francese, ma da decenni trapiantato, come tanti altri reduci, in Romagna dove ha messo le radici e riveste una carica pubblica in una qualche municipalità. È il 6 aprile 1842: fra i due connazionali scatta un moto di solidale simpatia e, come avviene in questi casi, l'uno chiede all'altro notizie del paese di provenienza.

Il vecchio reduce, che ha militato negli "Zappatori italiani" ma che ha poi ritenuto opportuno aderire al nuovo corso degli eventi, parla dello stato di inquietudine e di tensione in cui versano le Legazioni della Romagna per colpa di quelle "teste calde" di carbonari che "piazzano mine e contromine senza nemmeno sapere quello che vogliono".1 Per tutta risposta il prelato si lascia andare a una accesa e per molti aspetti sorprendente tirata contro i viaggiatori "di tutte le nazioni", colpevoli di avere incrinato il clima di quiete del "più paterno dei reggimenti politici" e di avervi introdotto i germi del malcontento e della sedizione. Non che lo Stato della Chiesa non necessiti di riforme, s'affretta a dire Gaume, come chi voglia parare in anticipo il colpo, ma si tratta di riforme amministrative che non intaccano in alcun modo lo spirito e la struttura del Patrimonio di San Pietro. Sotto forma di diario di viaggio, s'è impegnato a scrivere un libro per dimostrare al mondo che "l'Italia cristiana è ancora un paese tutto da scoprire", vivo e vitale, latore di un destino ab aeterno determinato. Come sempre, aggiunge, il pericolo viene da fuori, e quale peggiore nemico per la tranquilla vita della Romagna, dei troppi libri introdotti di soppiatto e dei forestieri che diffondono idee rivoluzionarie? "Tali sono l'impudenza e il malanimo di certi turisti", conclude, "che i più moderati s'affrettano a mettere in risalto, inasprire, esagerare - quando non l'inventino - i limiti che sono propri di tutte le umane istituzioni, e che, a conti fatti, sono mille volte preferibili alle più belle utopie dei creatori di costituzioni a priori".2

A parte le considerazioni sui fautori di uno stato costituzionale, è più che raro leggere di accuse simili, e così circostanziate, rivolte ai viaggiatori - anzi ai "turisti", come li chiama Gaume con straordinario tempismo terminologico - in transito per le strade della Romagna, come per altro dell'intera penisola, viaggiatori che in genere sembrano correre via con una certa premura nella totale indifferenza, secondo un radicato luogo comune, nei confronti delle situazioni politiche contingenti e delle condizioni materiali in cui versano le popolazioni. Anzi, sarebbe forse più consono ricordare che è tipica del viaggiatore di ogni tempo e paese l'accettazione acritica di ciò che vede e che sente, e la sistematica riluttanza a farsi coinvolgere nella realtà che si trova ad attraversare, e quindi a abdicare al proprio ruolo di spettatore. Un atteggiamento, questo, che si manifesta nel momento stesso in cui frappone fra sé e i luoghi e la gente le insegne della propria diversità di errante, la sottile e più o meno calcolata ignavia del forestiero. Di tanto in tanto capita di imbattersi in qualche viandante accusato inconsapevolmente di sedizione, ma si tratta della stolida arroganza dei doganieri che gli hanno trovato in valigia libri incendiari come il Paradise Lost di John Milton, o The Advancement of Learning di Francis Bacon, e poco più.3 Inquadrata nell'estremo tentativo di difendere l'anomalia dello Stato della Chiesa nel restaurato, ma non immobile assetto europeo, l'invettiva di Gaume - il viaggiatore più attento e documentato sull'organizzazione del governo ecclesiastico nelle Legazioni - assume un particolare rilievo in un tratto viario dove la sosta alla locanda postale non implica necessariamente la visita della cittadina che l'ospita, specie quando non vi sia traccia delle fatidiche rovine, e tanto meno il contatto con la gente. Gli esempi sono innumerevoli, ma in questo contesto non potremo che limitarci a viaggiatori stranieri che transitano o che sostano brevemente nelle città della Romagna in anni di poco precedenti o immediatamente seguenti l'esecuzione e il completamento, fra il 1831 e il 1836, delle vedute dei paesi di Romagna di Bernardino Rosaspina che del percorso di tanti viaggiatori possono costituire il sussidio visivo. E, ove si proceda a una cernita attenta, le sorprese non mancano, così come non manca più di uno smacco ai più radicati luoghi comuni.

[...]

Fra i viaggiatori colpevoli, se Gaume avesse voluto fare i nomi, di aver diffuso i germi della sedizione in Romagna, dovremmo annoverare prima di ogni altro Lady Sidney Owenson Morgan, spirito liberale di spiccate simpatie giacobine, irlandese di origine, che attraversa le Legazioni nel 1820 e che l'anno successivo pubblica la relazione del proprio viaggio con il titolo Italy. Il quadro della Romagna che ci viene offerto da Lady Morgan s'apre non a caso mettendo in luce l'atteggiamento fortemente ostile al forestiero da parte della polizia e dei doganieri papalini, a cominciare dal tratto di strada fra Pesaro e Rimini: quel frapporre mille beghe, quel frugarti addosso e quel procedere a "impertinentissime visite" che qualche anno dopo avrebbero mandato in bestia - si fa per dire - il contino Leopardi.4 Entrata nel cuore della regione, ovunque vengono messi in risalto i segni della restaurazione dell'ordine prerivoluzionario e del sistematico ricomporsi dello stato confessionale. È con sarcasmo che la nostra viaggiatrice riferisce dei tentativi sempre più pressanti della Chiesa di riappropriarsi dei beni immobili che il governo napoleonico aveva sottratto al clero e rivenduto ad abbienti locali, promettendo qualche spanna di terra "al di là dello Stige", in cambio dei terreni restituiti al di qua del medesimo fiume.5 Gli unici aspetti positivi che coglie nelle Legazioni sono quelle norme amministrative che Pio VII ha mutuato dall'amministrazione francese: dal mantenimento della centralizzazione statuale contro le tendenze centrifughe delle autonomie locali, al diffuso senso civico che porta al rispetto e alla valorizzazione di quella che Lady Morgan definisce, con linguaggio giacobino, "Roba della Comunità". Tutto quello che si vede di bello e di funzionale nel forlivese, le strade lisce come tavoli da biliardo, l'ottima manutenzione delle scoline, dei fossi e dei giardini - le spiega un contadino dalla proda del campo - è opera della Comunità, vale a dire dell'eredità dell'amministrazione francese fatta propria e condivisa dalla popolazione, sicché al governo pontificio non resta che imporre e riscuotere tasse e balzelli.

Seppure sorpresa e come raggelata dal nuovo ordine delle cose, l'intera regione è percorsa da una sotterranea inquietudine. Scarsa e quasi inesistente è la circolazione della stampa. In una libreria di Cesena la nostra viaggiatrice - che predilige sempre il colloquio diretto con gli abitanti del luogo - incontra un prete che esalta l'interdizione in tutto il territorio papale di ogni tipo di gazzetta che non sia il "Diario di Roma". Eppure anche "in una provincia così remota", annota Lady Morgan, risuona l'eco entusiasta che hanno sollevato la rivoluzione spagnola - siamo appunto nel 1820 - e i moti carbonari napoletani.6

Appena pubblicato, il volume Italy richiama l'attenzione dei più aperti spiriti europei, ma nel contempo viene messo al bando in Austria, nel Regno di Sardegna e naturalmente nello Stato Pontificio. Nel frattempo, proprio il più noto fra gli estimatori di Lady Morgan, George Gordon Byron, contribuisce con la propria fama a infondere una certa notorietà alla carboneria romagnola. Siamo al tempo del soggiorno ravennate durante il quale il poeta, insensibile al pathos antiquario - definisce la città una sorta di "farsa dell'antico" - si lascia coinvolgere nell'attività dei carbonari che fanno capo al fratello della sua amante, Teresa Guiccioli, l'irruente Pietro Gamba. Con loro mette su a Palazzo Guiccioli, connivente il marito di Teresa del quale per altro è affittuario, un vero e proprio arsenale: "Oggi 18 febbraio 1821 non ho avuto alcun contatto con i miei amici carbonari, ma intanto le stanze al piano di sotto sono piene di baionette, di fucili, di cartucce e quant'altro. Credo che mi abbiano preso per un deposito da sacrificare in caso di necessità. Se si pensa che l'Italia potrebbe essere liberata, non conta granché chi ci va di mezzo".7 A Ravenna il cantore dei sacrari storici e delle bellezze naturali e artistiche della penisola percepisce per la prima volta il risveglio degli italiani e la loro ansia di darsi, per quanto frammentario e indefinito, un disegno politico. Mentre gran parte dei propri connazionali in viaggio in Italia continua a descrivere gli abitanti secondo i più logori e abusati luoghi comuni, ignorando la situazione politica contingente e magari parlando della carboneria come di un fenomeno esoterico e pittoresco, Byron scrive di loro il 24 aprile 1820: "Questi imbecilli costringeranno anche me a scrivere un libro sull'Italia per rinfacciare a costoro le menzogne che hanno dato alle stampe". Degli italiani ha d'altronde una conoscenza diretta, avendoli potuti osservare da una posizione privilegiata, quale è quella di essere "l'amico di casa".

I suoi stessi giudizi avevano conosciuto non poche oscillazioni ed erano rimasti condizionati dalla spontanea generosità, ma anche dall'inconcludenza dei carbonari romagnoli. Ne è una prova la lettera scritta a John Moore l'8 settembre 1821 che riesuma i più vieti stereotipi sugli italiani: "Una graziosa fanciulla mi ha detto sere fa, le lacrime agli occhi, seduta al pianoforte: 'È ora che gli italiani tornino a cantare le opere'. Temo proprio che le opere e i maccheroni siano il loro forte e quello d'arlecchino il loro vestito. Eppure ci sono ancora spiriti eccelsi fra loro". Fra i nobili spiriti, anche se non eccelsi, c'erano i giovani della borghesia e dell'aristocrazia locale che avevano messo il naso fuori di casa, avevano studiato all'università e avevano avuto contatti con i fuorusciti di altri stati. S'era imbattuto in loro varie volte e loro tramite aveva cercato di contribuire al finanziamento della carboneria napoletana. Annota in data 29 gennaio 1821: "Incontrato nella pineta un gruppo della setta detta degli Americani (una specie di club di liberali), armati fino ai denti, intenti a cantare con quanto fiato avevano in corpo: 'Sem tutt soldat per la libertà'"; e poi c'erano i popolani irruenti, incostanti, sanguigni, "Bravi ragazzi però", come aveva detto il 5 gennaio dello stesso anno, "ottimo materiale per una nazione. Dal caos Dio ha creato il mondo e dalle passioni violente nasce un popolo". Qualche mese dopo, il 22 luglio scrive a Murray: "La tirannia del governo locale si manifesta in tutto il suo potere. Hanno mandato in esilio un migliaio di membri delle migliori famiglie degli stati romani. Poiché fra loro ci sono anche i miei amici, penso di partire anch'io". Diari e lettere di Byron sarebbero diventati di dominio comune dieci anni dopo, nel 1831 con la pubblicazione della Life of Byron di Thomas Moore, in concomitanza dei moti insurrezionali delle legazioni romagnole del 1831 e 1832, e qualche anno dopo con le prime raccolte complete delle sue opere.

Una vivace testimonianza del mutare dei tempi e del modo nuovo di guardare alle genti di Romagna è poi quella di Antoine Claude Pasquin, responsabile delle biblioteche di Versailles e del Trianon sotto Carlo X e Luigi Filippo, che nei propri libri di viaggio si firma con lo pseudonimo di Valery. Nella terza edizione dei Voyages en Italie uscita nel 1842, introducendo il capitolo sulla Romagna attraverso la quale era passato anni prima, nel 1828, aggiunge un paragrafo abbastanza articolato che, nel recepire eventi del momento, riflette un'inedita sensibilità politica nei confronti degli italiani: "L'entusiasmo per le idee nuove provocato dall'immobilismo e dalle profonde disuguaglianze generate dai privilegi e dalla dominazione ecclesiastica, hanno infiammato la gioventù di queste città, una gioventù che, come quella delle altre città dell'Italia centrale, è la più istruita della penisola. Gli eventi del 1831 e del 1832 non mi hanno affatto sorpreso. Le nuove idee sono ormai penetrate in seno al popolo stesso e al clero".8 La conclusione della nota riesuma tuttavia uno dei più consunti luoghi comuni sul sangue caldo dei romagnoli, a riprova della diversa appartenenza temporale delle annotazioni: "Il carattere passionale degli abitanti rende ancora più intensa una violenza sempre sul punto di esplodere. I romagnoli sono capaci di eccessi nel bene, come nel male e, secondo gli impulsi che ricevono, possono diventare eroi o briganti".9 Uno stereotipo, quest'ultimo, sul quale sembra avere lasciato la propria impronta Stendhal che nel brigante italiano ha sempre visto il residuo lontano di una vitalità primordiale.10

Dal suo punto di vista, appare ora meno sorprendente il risentimento del protonotario apostolico Gaume nei confronti dei viaggiatori, tanto più che, nei primi decenni del XIX secolo, le descrizioni dei paesi di Romagna si fanno sempre più circostanziate e diffuse, come dimostra l'invito che Valery rivolge al lettore mentre percorre la strada fra Cesena e Ravenna, un itinerario tradizionalmente negletto e ancora ignaro del culto necrofilo per la città bizantina: "Questo angolo dell'Italia non è molto visitato. Mi è parso invece uno dei più interessanti e vivaci. Il viaggiatore che sosta all'Albergo reale di Milano, all'hotel Schneiderff di Firenze, per correre poi da Cerni a Roma e all'hotel della Vittoria a Napoli, non conosce la parte più intima e vera di questo paese, il suo aspetto desolato, le sue sponde belle e malinconiche, e non ha avuto modo di apprezzare la vera ospitalità italiana, così piena di gentilezza e di bonomia".11 Vengono in mente le insegne delle locande del Rosaspina con l'immancabile frasca, come quella di Bagnacavallo. Nello stesso tempo le parole di Valery ci rammentano che la visita dei luoghi implica sempre il contatto con le persone. Sono questi poi anni in cui opere pionieristiche nel campo della storia dell'arte o della storiografia, da Memoirs of Early Italian Painters di Anna Jameson a Memoirs of the Dukes of Urbino di James Dennistoun, e i viaggi che le hanno promosse, portano all'esplorazione dei centri minori e minimi delle Legazioni, alla rassegna delle opere d'arte che vi sono contenute e quindi a una più capillare conoscenza della regione. Proprio a quelle opere e a quei viaggi si sarebbero rifatti i redattori delle guide turistiche del secondo Ottocento. Basti scorrere le descrizioni delle chiese delle città della Romagna nel testo di Augustus John Cutbert Hare, Cities of Northern and Central Italy, apparsa a Londra nel 1873, per avere un regesto puntuale delle opere d'arte che vi sono contenute e per scoprirvi soste in paesi come Cotignola che ben pochi viandanti avrebbero ritenuti degni di una visita.

C'è poi il monito incombente della rupe di San Marino, questo "scampolo di repubblica", come l'aveva definita Napoleone, che costituisce un richiamo curioso e pittoresco e che in ambito internazionale diventa uno scomodo termine di paragone per la situazione politica del territorio circostante. Immaginiamoci un viaggiatore di cultura cosmopolita che visita stato per stato l'Italia della Restaurazione. Ai suoi occhi la Repubblica di San Marino - alla quale si accedeva, nel corso dello standard tour dell'Italia, con una breve deviazione da Rimini - non poteva non apparire come una felice eccezione, una sorprendente oasi di libertà, di rigore morale, di patriarcale semplicità nel cuore di uno stato illiberale, sempre più occhiuto e intollerante come quello della Chiesa. A San Marino avevano reso omaggio personaggi eminenti fra Seicento e Settecento, da John Ray, a Joseph Addison, a Karl Philipp von Moritz e ai suoi statuti s'era ispirato John Adams, prima di diventare secondo presidente degli Stati Uniti. A studiarne leggi e costumi e a incontrarvi spiriti eminenti, come Antonio Onofri e Bartolomeo Borghesi (celebre epigrafista e numismatico, esule da Savignano), salgono numerosi americani nel corso del XIX secolo, come dimostrano le belle pagine di Henry Theodore Tuckerman del 1836 e le sue parole d'addio: "Meditai sulla straordinaria conservazione di quel luogo isolato fra i destini infelici di quella terra. Mi sforzai di imprimere nella memoria quella località pittoresca e mi compiacqui di cuore che vi fosse ancora una fogliolina verde nella corona avvizzita d'Italia".12 Già nel 1812 George Washington Erving aveva asceso il Titano e aveva annoverata San Marino come meta privilegiata del viaggio in Italia, come e ancor più di Venezia e delle antichità di Roma e di Paestum. Nella Repubblica aveva incontrato l'esule napoletano Melchiorre Delfico e aveva poi promosso negli Stati Uniti la traduzione delle Memorie storiche della Repubblica di San Marino.13 La stessa Lady Morgan, otto anni dopo, avrebbe a sua volta ricevuto commossa dalle mani di Delfico una copia del suo libro. Memore della visita alla rupe della libertà, della sua tradizione ospitale nei confronti dei perseguitati politici e di quell'incontro, la nostra viaggiatrice esalta nel proprio volume la vita rigorosa, la libertà e la felicità dei sammarinesi quale frutto, come recitano le moderne costituzioni, "di istituti fondati sugli interessi autentici e sugli inalienabili diritti dell'uomo". Parole sorprendenti, queste di Lady Morgan, che fanno risuonare nel cuore del restaurato Stato della Chiesa l'eco della rivoluzione americana e di quella francese.14

Ci siamo nel frattempo dimenticati di Jean Joseph Gaume, impegnato nella conversazione con un suo connazionale in mezzo alla strada, fuori della porta di Lugo. Buon ultimo fra i pellegrini di una Romagna sospesa fra Restaurazione e attività insurrezionali, quando non sia direttamente impegnato nella difesa d'ufficio delle Legazioni pontificie,15 Gaume imbalsama le città in un'atmosfera immobile, nella quale i monumenti sembrano soffocare sotto i drappi di una ritualità e di una letteratura omiletica pervasiva e opprimente. Non c'è segno del culto antiquario per una città come Ravenna nella quale, per citare John Addington Symonds, "la mano del tempo giuoca con le tombe consunte di prelati e di imperatori". La Tomba di Teodorico viene ricordata solo come Santa Maria della Rotonda, il Mausoleo di Galla Placidia come la chiesa dei Santi Nazario e Celso, Sant'Apollinare in Classe come convento e annesso monastero che portano lo stesso nome; a Rimini sembrano essersi dissolte le testimonianze classiche per lasciare amplissimo spazio all'episodio edificante della predica di Sant'Antonio ai pesci, e ovunque aleggia l'evocata memoria di miracoli e santi.

Il suo atteggiamento è opposto, ma in maniera speculare, a quello, altrettanto monovalente, di tanti viaggiatori britannici che, prolungando la tradizione antiquaria del Grand Tour settecentesco, non mostrano alcun interesse per la situazione politica e sociale delle Legazioni. Ne è un esempio paradigmatico John Chetewode Eustace dal quale - siamo nel 1802, ma il testo viene pubblicato solo nel 1813 - le città fra Bologna e Cattolica sono sbrigativamente definite "piccole e pulite", con la sola eccezione di Cesena che si trova "ai piedi di una serie di dolci colline coperte di ville e di conventi, sovrastata da una romantica rocca",16 e le campagne inequivocabilmente feraci e ben coltivate. Ma ben altro spazio viene riservato alla tradizione classica. L'identificazione ipotetica del Rubicone - topos indiscusso per tutti i viaggiatori - viene svolta con una trattazione di ben quattro pagine e l'adozione di toni di intenso lirismo antiquario: "A circa due miglia da Cesena corre un fiume il quale ha nome Pisatello che si crede sia l'antico Rubicone. Sulla riva settentrionale del rivo sorgeva un obelisco con inscritto, sul piedistallo, il decreto del senato e del popolo romano, oltre ad altre due inscrizioni sui lati. I francesi lo hanno distrutto, tanto è vero che, quando vi passai, le lastre che costituivano il piedistallo giacevano semisepolte nell'aia di un contadino, a un centinaio di passi dalla strada. È stata mia cura disseppellirle e appoggiarle contro il tronco di un albero".17 Non sorprende se nel 1835 il classicista George William Davis Evans riporti in tutta la loro enfasi le parole dello Eustace sulle rive del fiume fatale: "Qui apparve il fantasma guerresco, incaricato dalle Furie a infonder forza nel petto dell'incerto condottiero e a spingerlo all'opera di distruzione; e qui sorse anche il Genio di Roma a trattenere la foga del suo figlio ribelle e fermare il colpo inferto alla libertà e alla giustizia".18

Anche personaggi come Alfred Bassermann e Jean Jacques Ampère che, inaugurando una nuova idea di viaggio con il voyage dantesque, il viaggio sulle orme di Dante, promuovono la Romagna quale meta d'elezione, restano del tutto indifferenti alle condizioni politiche della regione. Fatto singolare, ove si consideri la valenza di simbolico riscatto che agli occhi dell'intera Europa, e in particolare dell'Inghilterra di Matthew Arnold e di Thomas Carlyle, va in quegli anni assumendo la figura di Dante.19 Del pari estranei alla realtà locale rimangono quei viaggiatori che continuano genericamente a denunciare, come fa Frances Trollope, la miseria e l'ignoranza dei "Roman States".20

Se, secondo gli auspici di Gaume, nei paesi della Romagna c'è un'Italia cristiana tutta da scoprire, gli abitanti più consoni non possono che essere gli abati corpulenti, gli sbirri impettiti, i benpensanti a passeggio, gli immancabili fratonzoli, le fantesche, i garzoni, le lavandaie delle incisioni di Bernardino Rosaspina, figurine di maniera di una tradizione vedutistica e di una scenografia urbana che ha ben altro valore documentario e artistico che non sia quello di accreditare un'arcadia all'acqua benedetta.

 

Note

(1) J. J. Gaume, Les trois Rome. Journal d'un voyage en Italie, Parigi, Gaume Frères et J. Duprey Editeurs, vol. III3, 1864, p. 377 e seguenti.

(2) Ibidem, p. 379. Sull'amministrazione dello Stato ecclesiastico negli anni immediatamente antecedenti l'annessione delle Legazioni al Regno d'Italia nell'ottica dei viaggiatori stranieri, si vedano: M. Fulchiron, Etats Romains, in Voyage dans l'Italie méridionale et centrale, Parigi, A. Delahays, 1859, III, p. 242 e seguenti; E. About, Rome contemporaine, Parigi, M. Lévy, 1861 (trad. it. Roma contemporanea, Milano, F. Colombo, 1861).

(3) W. Hazlitt, Notes of a Journey through France and Italy (1826), in The Complete Works of William Hazlitt, a cura di P. P. Howe, Londra e Toronto, J. M. Dent & Sons, 1932, p. 186.

(4) Si veda: A. Brilli, In viaggio con Leopardi, Bologna, il Mulino, 2000, p. 7.

(5) Lady Morgan, Italy, Londra, H. Colburn & Co., 1821, vol. III, p. 340.

(6) Ibidem, p. 341.

(7) Si veda: Th. Moore, Letters and Journals of Lord Byron with Notices of his Life, Parigi, Galignani, 1831; oggi si ricorre a Byron's Letters and Journals, a cura di L. A. Marchand, Londra, J. Murray, 1973-1982, a cui si rinvia con riferimento alle singole date. Su Byron a Ravenna si veda il catalogo Lord Byron, a cura di D. Domini, Ravenna, Longo Editore, 1988, con interventi vari fra i quali si segnala quello di A. Emiliani, I tramonti dell'Adriatico, p. 13 e seguenti.

(8) M. Valery, Voyages historiques, littéraires, artistiques en Italie. Guide raisonné et complet du voyageur et de l'artiste, Bruxelles, Human & Ce., 18423, p. 342.

(9) Ibidem, p. 342.

(10) A. Brilli, Un paese di romantici briganti. Gli italiani nell'immaginario del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 109-110.

(11) M. Valery, Voyages historiques, littéraires, artistiques en Italie, cit., p. 343.

(12) H. Th. Tuckerman, Italian Sketchbook by an American, New York, 1835, le pagine su San Marino erano apparse nel "South Literary Messenger", VI, 1835, p. 41 e seguenti, si veda la versione italiana in San Marino. I viaggiatori stranieri raccontano, a cura di A. Brilli, Bologna, Minerva Edizioni, 2002, p. 71 e seguenti.

(13) G. W. Erving, History of the Republic of San Marino, in "American Quarterly", VI, 1829, pp. 456-467, si veda la versione italiana in San Marino. I viaggiatori stranieri raccontano, cit., p. 57 e seguenti.

(14) Lady Morgan, Italy, cit., p. 326.

(15) J. J. Gaume, Les trois Rome, cit., pp. 346-355.

(16) J. Chetewode Eustace, A Classical Tour through Italy. An. 1802, Londra, Mawman, 1813, ma citiamo da 18417, vol. I, p. 158.

(17) Ibidem, p. 159.

(18) G. W. D. Evans, The Classic and Connoisseur in Italy and Sicily, Londra, Longman, 1835, vol. III, p. 17.

(19) Il testo di A. Bassermann apparve in versione italiana attribuito a Th. Hell, Il viaggio in Italia sulle orme di Dante, Venezia, Tip. Fontana, 1841, vedi poi A. Bassermann, Orme di Dante in Italia, a cura di E. Gorra, Bologna, Zanichelli, 1902; si veda inoltre: J. J. Ampère, Voyage dantesque, in La Grèce, Rome et Dante, Parigi, Didier, 1859 (ma il saggio dantesco era apparso nella "Revue des deux Mondes" nel 1839).

(20) F. Trollope, Italy and the Italians, Londra, Bentley, s.d., ma 1842, p. 161 e seguenti.

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