Rivista "IBC" XIV, 2006, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / restauri, editoriali, storie e personaggi

A Forlì, con la riapertura del complesso di San Domenico, si è felicemente sperimentata quella che Giorgio Bassani definiva "la compresenza della vita e dell'arte". Sta a noi verificare come i beni culturali insegnino, anche conservando, a innovare il nostro paesaggio quotidiano.
Ieri e oggi

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Da alcuni mesi è in libreria Italia da salvare di Giorgio Bassani, un volume che raccoglie gli "scritti civili e battaglie ambientali" degli anni di presidenza di "Italia Nostra" dal 1965 al 1980, ed è un'occasione tutt'altro che secondaria per rileggere lo scrittore di una Padania nobile e inquieta, dolente e meditativa, "convinto" (sono parole sue) "che l'arte deve serbare un riflesso della tensione della vita reale" [il volume è recensito in questo numero, ndr]. La storia di "Italia Nostra", come si sa, è una storia straordinaria di battaglie, interventi, polemiche, campagne, delusioni, sconfitte, vittorie per il rispetto e il giusto riconoscimento dei beni artistici, storici e naturali come parte vitale di una vera identità italiana e di una illuminata e intrepida politica del territorio e della sua multiforme impronta culturale: in anticipo sui tempi nel "riaffermare" (è ancora Bassani che parla) "una visione generale della realtà del nostro Paese, una filosofia della vita e della storia: una cultura, insomma".

Da allora molte cose sono mutate con i nuovi processi di accelerazione socioeconomica e di globalizzazione; ma i problemi che le pagine di Bassani evocano e fissano con la fermezza elegante di una scrittura colta e sapiente, sul doppio registro dell'intellettuale e del cittadino, sono ancora i nostri e si incontrano di continuo nella pratica quotidiana, qualche volta più gravi e più urgenti. Non si può fare a meno di notare, magari per confronto, che di fatto manca ancora una vera e diffusa cultura dei beni culturali, quella che Bassani chiamava una filosofia, e che, in ultima analisi, è una sensibilità educata, un modo di rapportarci alle cose e agli uomini con la consapevolezza che il tramando di un patrimonio straordinario, dove natura e cultura si fondono insieme, costituisce uno dei fondamenti, molteplice e insieme unitario, della nostra integrità nazionale, una memoria vivente della nostra civicness. Anche la nostra scuola, viene subito da aggiungere, dovrebbe fare di più, proprio in questo senso, formativo e civile, prima ancora che storico.

Certo, i colloqui che ogni anno si rinnovano a Ferrara con il Salone del Restauro, al di là delle ragioni e delle esperienze tecniche che vi vengono illustrate, mirano a costruire e a diffondere quella sensibilità di cui si diceva, invitando generazioni giovani e mature a meditare sul significato di un'etica del restauro che è sempre un'interpretazione storica, una filologia critica, per la quale la conservazione, in una politica responsabile di sviluppo, non esclude l'innovazione. Così non è un caso che a Ferrara, la città di Bassani, si ragioni quest'anno di quanto si è fatto a Forlì per un pittore di alta e fulgida qualità come il Palmezzano. Non per nulla l'insieme delle iniziative, che hanno restituito il suo volto più autentico a un artista della grande stagione rinascimentale, vedono operativamente concordi gli organi di governo cittadino e le istituzioni della società civile. E dal mondo figurativo il restauro si è trasferito anche al tessuto cittadino, alla discussione paziente e concreta sul destino di un complesso architettonico per una città in crescita e in visibile trasformazione.

In fondo, a Forlì si è felicemente sperimentata, ed è un esempio da non dimenticare, quella che Giorgio Bassani, con la sua franca e appassionata intelligenza, chiamava "la compresenza della vita e dell'arte". Sta a noi, come sempre, di verificare come i beni culturali insegnino, anche conservando, a innovare la nostra esistenza e il nostro paesaggio quotidiano. Al colloquio con il passato non si può chiedere altro, soprattutto in tempi di bilanci crudamente difettivi.

 

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