Rivista "IBC" XI, 2003, 3
biblioteche e archivi / immagini, mostre e rassegne
A Davide Minghini, fotoreporter riminese de "Il Resto del Carlino" e fotografo ufficiale delle istituzioni che governano la cittadina romagnola, la Biblioteca civica "Gambalunga" di Rimini, depositaria del suo ricchissimo archivio fotografico, dedicherà la mostra in programma presso il Palazzo del Podestà dal 25 ottobre al 30 novembre 2003. Realizzata in collaborazione con la Fondazione della Cassa di risparmio di Rimini e la Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'IBC, che coordina il lavoro di ordinamento e catalogazione dell'imponente fondo (25.000 foto, 513.000 negativi, 6.000 lastre, 5.500 diapositive), l'esposizione "Davide Minghini, fotografo in Rimini (1915-1987)" rappresenta la prima tappa di un intervento pluriennale di catalogazione e studio.
La scelta delle immagini escluderà la fotocronaca, il segmento preponderante dell'archivio, ancora interamente oggetto di studio, prediligendo invece le "foto d'autore", quelle che per qualità formale, messa in scena, insieme iconografico d'appartenenza, rivelano emozioni dello sguardo e del cuore, estranee alle esigenze di istantaneità e immediatezza della cronaca. Pur non propriamente inscrivibili in una sfera privata - le "occasioni" degli scatti furono perlopiù di tipo professionale: pubblicazioni, mostre, inchieste - la scelta si muoverà verso quelle immagini che recano il segno della fotografia prodotta "per affetto" o scattata "con affetto".
Abbandonato l'occhio freddo e la prosaicità realistica del reporter, Davide Minghini, con l'estro emotivo e "di parte" del fotografo che a volte sa superare i confini statici del lavoro artigianale, racconta la città riuscendo a tenere insieme eleganze formali e variazioni immaginative, consegnandoci un insieme iconografico in cui cogliere i numerosi segni dell'identità cittadina. Diario sentimentale di un riminese è il titolo attribuito a una delle due sezioni espositive, con la dichiarata intenzione di sottolineare lo sguardo affettuoso e complice con cui l'autore descrive la città, il suo mare, il suo entroterra. Il suo racconto per immagini indugia sui paesaggi di pietra e le atmosfere silenziose, l'isolamento secolare dei paesaggi collinari, i vecchi mestieri, i volti e le feste paesane, sopravvissuti fino agli anni Cinquanta, e si ferma sulle vie della modernizzazione veloce, rumorosa, invasiva. Dal mondo contadino e borghigiano "a luce ambiente", che ama, alla metropoli "al neon", che ammira senza amore né comprensione.
La nebbia e la neve, il mare d'inverno, i paesaggi antichi della Romagna, le bizzarrie dei volti e dei messaggi sui muri, le greggi, le nuvole, i filari d'alberi: immagini che sfiorano spesso la scena di genere, risentono di residui pittorialistici e di visioni retoriche tutte interne alle stereotipie spallicciane, e documentano la forza, nella cultura cittadina, della tradizione romagnola strettamente imparentata alla difesa del genius loci riminese, che cerca di convivere con la cultura della città balneare, mettendosi al suo servizio, ma su un registro di antimodernità che ne segna le sorti. Quella amata da Minghini, e da tanti riminesi con lui, è una città di terra, che guarda il mare solo d'inverno, da lontano, ma che nel tragitto verso il mare ha attraversato un confine senza ritorno. Il fotografo appartiene a quella parte della città che cerca di far convivere la modernità e il cosmopolitismo con la lentezza e le malinconie della vita provinciale, e che sente la Romagna come una patria.
In una sorta di gioco di citazioni e rispecchiamenti la mostra avrà il suo doppio nella sezione Per il film, dedicata ad Amarcord, il grande racconto felliniano che "ricorda" e reinventa la città. Conosciutisi in occasione della pubblicazione de La mia Rimini (1967), per il cui corredo fotografico Minghini ebbe un ruolo fondamentale, Fellini incaricò il "paparazzo" riminese di riprendere alcuni scorci di Rimini e dei suoi monumenti, lo fece partecipare alla ricerca delle voci e dei personaggi per Amarcord. Fu una collaborazione molto piccola, che Mingo (così lo battezzò Fellini) documentò con annotazioni sulle buste dei negativi: "per Fellini, "per il film", e che si completò con una visita d'amicizia sul set, forse al seguito di Umberto Bartolani, il riminese che nel film interpretava il podestà. Sul set si stava girando la scena della parata fascista del 21 aprile. Minghini scattò circa 500 foto: sostanzialmente le immagini di un "dilettante" della fotografia di scena, che si sofferma sui particolari che suscitano il suo entusiasmo e la sua curiosità. Saranno proprio queste le immagini scelte per la mostra, con un'attenzione particolare per i luoghi della città "inventata".
Nuovi protagonisti si sono quindi aggiunti alla mostra: il regista Fellini, il film Amarcord; ma il centro se lo prende Rimini, luogo all'incrocio fra immaginazione e realtà, in cui gli "autori" dei racconti che vi rinviano sono colti in un corpo a corpo e in un far corpo con la "stirpe" e coi luoghi, in un circolare interscambio fra ciò che si è e quel che si immagina di essere. Una sorta di romanzo urbano, che contiene un cortocircuito prodotto da elementi originari e fantasmi, menzogne e contagi, e porterà a propria epigrafe le parole che Italo Calvino usò per le sue "città invisibili": "Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio [...] ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi".
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