Rivista "IBC" XI, 2003, 1

biblioteche e archivi / inchieste e interviste, progetti e realizzazioni

Giornalista, scrittore, regista e critico cinematografico, protagonista da più di mezzo secolo della vita culturale bolognese e italiana, Renzo Renzi ha compiuto 83 anni: l'IBC e la Cineteca comunale di Bologna hanno acquisito e catalogato il suo prezioso archivio.
Renzo Renzi: l'occhio e la penna

Antonella Campagna
[IBC]
Priscilla Zucco
[IBC]

Nell'ambito della tutela e valorizzazione degli archivi culturali del Novecento, i più esposti ai rischi di smembramento e dispersione, la Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con la Cineteca comunale di Bologna, ha proceduto all'acquisizione dell'Archivio di Renzo Renzi, uno dei principali interpreti del dibattito critico sugli anni d'oro del cinema italiano. Un'acquisizione che costituisce un arricchimento straordinario per l'intera organizzazione bibliotecaria emiliano-romagnola.

Tale operazione è stata preceduta da un lungo e difficile lavoro di catalogazione e inventariazione dei materiali presenti nel fondo, che sono di diversa natura e hanno richiesto diversi livelli di trattamento. Alla biblioteca, infatti, si affiancano una ricchissima raccolta fotografica, i fascicoli della corrispondenza e un archivio vero e proprio che contiene bozze e lavori preparatori all'attività di Renzi. Inoltre tutto questo spaccato di materiali è attraversato da un duplice filone d'interessi che ha caratterizzato fin dall'inizio il lavoro del giornalista e critico: da una parte, predominante, il cinema, dall'altra la storia, il costume e l'arte locale.

I lavori di ordinamento, inventariazione e catalogazione si sono svolti presso la casa privata del professor Renzi, dove il materiale era custodito prima del trasloco alla Cineteca di Bologna, cosa che se da una parte ha complicato per ragioni di spazio e di strumenti di corredo l'attività delle ricercatrici coinvolte (Lucia Guerzoni e Priscilla Zucco), dall'altra ha offerto alle stesse la straordinaria possibilità di una fonte diretta e presente quale il professore stesso. Il primo impulso alla catalogazione è stato dato nell'autunno 1999 dai lavori preparatori della mostra "La dolce vita del cinema d'autore (1942-1975). Bologna capitale dell'editoria cinematografica attraverso le collane Cappelli", nata come omaggio alle collane dirette da Renzi e il cui percorso è stato costruito a partire dalla sua collezione fotografica. Il primo oggetto della catalogazione sono state quindi le foto.

All'interno dell'archivio fotografico sono stati individuati diversi fondi, per i quali si è proceduto ad un intervento di ordinamento, inventariazione e, per le foto delle Collane Cappelli, catalogazione con il software Sebina multimedia. Per prime sono state esaminate le diecimila foto relative alle Collane Cappelli: "Dal soggetto al film", "Inchieste e documenti", "Retrospettive" e "NUC cinema". Per una documentazione storica del panorama filmico italiano tra neorealismo e cinema d'autore, questa raccolta fotografica rappresenta una testimonianza importantissima e unica (come si può apprezzare anche dalla limitata selezione pubblicata in questo numero di "IBC"). La principale novità delle collane Cappelli, infatti, era costituita da un rapporto diretto e immediato tra il film in uscita nelle sale e il volume in stampa. Questo per Renzi significava, accanto ad una capacità quasi divinatoria di intuire il gran film (che quasi mai fallì), un intenso lavoro di ricerca dei materiali in progress presso gli uffici stampa delle case produttrici, materiale che attualmente è reperibile solo grazie alla sua rigorosa volontà di conservazione.

Sempre relativo al cinema è il fondo che raccoglie le fotografie, pubblicate e non, per gli articoli scritti per la rubrica "Schermi e platee" del quotidiano di Bologna "Progresso d'Italia". Renzi fu collaboratore fisso del giornale dal primo numero, del 1946, fino all'ultimo del 1951, e l'intera raccolta del periodico è presente nell'archivio. Particolarmente significativa fu la sua presenza, come inviato del giornale, alla Mostra del cinema di Venezia, della quale fece un'appassionata cronaca sempre puntualmente illustrata dalle immagini fotografiche. Conservate in buste attigue vi sono le foto di preparazione al cortometraggio Le fidanzate di carta prodotto dalla Columbus film, la casa di produzione fondata da Renzo Renzi, Enzo Biagi, Luigi Pizzi e Renato Zambonelli nel 1950. Si tratta di una raccolta di fotografie e ritagli stampa che ha come soggetto le pin-up girls, le ragazze calendario che furono importate dall'esercito americano in Italia e che in questo film fanno stridente contrasto con le rovine delle città bombardate.

Come ricorda Renzi nell'intervista qui pubblicata, i cortometraggi furono il tramite del passaggio dal cinema alla storia locale. Infatti nel territorio Renzi cercava i soggetti dei propri film, e da lì ad uno studio approfondito delle ragioni storiche e artistiche del territorio il passaggio non fu arduo. Anche in quest'ambito la raccolta fotografica è cospicua: si tratta di oltre duemila positivi e circa millecinquecento diapositive per lo più raccolti per la scelta del corredo illustrativo delle sue pubblicazioni, da Bologna, una città a Storia per luoghi dell'Emilia-Romagna, da L'occhio pubblico di Corrado Fanti a La città di Morandi. All'interno dell'attività giornalistica l'interesse per la storia locale lo ha portato anche a diventare direttore responsabile e uno dei principali animatori della rivista "Bologna Incontri".

Anche la biblioteca, interamente catalogata con il software Sebina, presenta questa ripartizione tra la storia locale e il cinema, che risulta comunque preponderante. Accanto ai volumi e alle collane pubblicate da Renzi vi sono molte rarità, prime edizioni, volumi annotati, oltre ad una ricca collezione di saggi sulla cinematografia pubblicati all'estero, specie in Francia. Di cinema trattano anche la maggior parte delle oltre centosessanta testate di periodici riordinate e catalogate, quasi tutte italiane, con qualche titolo francese, tedesco e angloamericano. Per lo più sono stati conservati quotidiani e riviste che contengono articoli, saggi e monografie dello stesso Renzi. Tra le rarità, completa e ottimamente conservata la raccolta de "L'Italiano: giornale dei reduci", testata apparsa a Bologna dall'ottobre 1945 al marzo 1946, in tutto ventidue numeri redatti da Nino Gardini, Armando Ravaglioli e Renzo Renzi (un'amicizia, come ha scritto lo stesso Renzi, consolidata nel "lager" tedesco). Non mancano ovviamente le testate "storiche" come "Cinema" (1936-1956) e "Cinema nuovo" (diretto da Guido Aristarco, 1952-1996) in serie quasi completa.

Nella sezione di storia locale è ricompresa un'ampia raccolta di testi e scritti su fascismo, resistenza e guerra, in Emilia-Romagna ma non solo. Questo tema, infatti, ritorna predominante anche nell'opera cinematografica di Renzi, e vede una delle sue massime espressioni nel film, mai girato, L'armata Sagapò. Va ricordata la vicenda giudiziaria scatenata dalla sceneggiatura pubblicata nel 1953 sulla rivista "Cinema Nuovo" da Renzi e Aristarco, con il conseguente arresto e detenzione a Peschiera: lo scandalo che ne seguì, portò addirittura ad una modifica legislativa sul reato di vilipendio delle forze armate.

La sua attività di scrittore, sceneggiatore e regista trova un riflesso immediato nei fascicoli del Fondo manoscritti, che contengono diari, corrispondenza, appunti, note, carte manoscritte e dattiloscritte, ritagli stampa e anche positivi fotografici relativi alle diverse fasi di elaborazione dei film o a progetti letterari e giornalistici. L'archivio si presenta ordinato in fascicoli sostanzialmente titolati dall'autore, che ripercorrono l'intera vicenda esistenziale e professionale di Renzi, con qualche lacuna anch'essa significativa. Le prime testimonianze risalgono al 1939, gli anni del Cineguf, agli esordi dell'interesse verso il cinema che tuttora anima Renzi. Per il Cineguf, il circolo cinematografico dei giovani universitari fascisti, scrisse il suo primo soggetto Memorie inutili, che non fu mai realizzato. Al Cineguf è dedicato un soggetto prodotto nel 1960, Il pugnale tra i denti.

Nell'archivio sono conservati anche tutti i diari di guerra, scritti dal 1941 al 1943 tra l'Italia, la Bosnia, la Grecia e la Germania, dove Renzi finirà, come soldato italiano catturato dopo l'armistizio, nel campo di concentramento di Greven. Lo stile di questi quaderni è narrativo, portatori come sono di una memoria che è già sceneggiatura: fra gli argomenti più ricorrenti vi è un progetto perseguito negli anni, il soggetto "La città nemica", che non fu mai prodotto. Gli altri fascicoli raccontano i lavori preparatori, anche molto avanzati, di soggetti e sceneggiature di film realizzati o meno. Per trasformarli in realtà, nel 1950 "quattro baldi giovanotti trentenni bolognesi" - come ricorda Renzi - decisero di fondare una propria casa di produzione, dal nome evocativo di ben altri soldi e grandezze: "Columbus film". Con questo marchio furono prodotti alcuni dei più riusciti cortometraggi di Renzi, dalle Fidanzate di carta a Quando il Po è dolce, da Sette metri di asfalto a Guida per camminare all'ombra, fino a Dove Dio cerca casa.

Le carte, nei vari fascicoli tematici, testimoniano un rapporto con i maggiori registi del cinema italiano negli anni tra il 1950 e il 1975, dal reportage sulle maratone di danza fatto per Luchino Visconti e sfociato poi in un soggetto teatrale, al materiale raccolto sul processo a Tullio Murri e pubblicato da Renzi per la Cappelli nel volume omonimo, poi divenuto la sceneggiatura di un film diretto nel 1974 da Mauro Bolognini: Fatti di gente perbene. Rapporto che viene pienamente evidenziato dai fascicoli della Corrispondenza intrattenuta da Renzi con autori, registi e protagonisti, noti e meno noti, del cinema italiano e anche straniero. L'ordinamento è per nome del mittente, e in alcuni fascicoli sono presenti anche minute delle risposte di Renzi. I nomi più rappresentativi della cultura del Novecento qui presenti sono Guido Aristarco, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Luchino Visconti, Cesare Zavattini, Callisto Cosulich, Paul Luis Thirard. Tra gli indirizzi di Renzi figura anche il carcere militare di Peschiera, in cui fu rinchiuso per la vicenda dell'armata Sagapò, e la corrispondenza lì spedita porta il timbro "verificato per censura" già anacronistico nel 1953.

Grazie al sito www.cinemaitaliano.net, realizzato da Lisetta Renzi, è possibile trascrivere alcuni brani di queste lettere. Quella di Antonioni del 12 Giugno '57 su Il grido, inserito nella collana Dal soggetto al film: "Carissimo Renzo, il libro è ormai pronto. Appena la dattilografa avrà consegnato a Bartolini il materiale, credo oggi, Bartolini stesso te lo spedirà. Ho letto la prefazione ed è molto bella, è soprattutto giusta per un libro del genere. Cioè riguarda più il film che il suo regista: ossia riguarda il regista nei confronti del film". O, ancora, quella di Suso Cecchi D'Amico per il volume dedicato al Gattopardo di Visconti, in cui particolare attenzione viene raccomandata al corredo iconografico: "Vorrei però farle una raccomandazione. Di non scartarmi le foto che riguardano la preparazione del film, i collaboratori, scenografia, costumi, arredamento. Lei non può immaginare quale fatica sia stata questo film. Senso è uno scherzo al confronto. Io credo sia davvero giusto dare un poco l'impressione di tutto questo lavoro".

Oppure, per finire, la lettera inviata da Zavattini il 4 giugno 1969, che chiarisce i motivi di un'assenza, nelle collane dirette da Renzi, di uno dei maggiori protagonisti del cinema di quegli anni, non come incapacità del critico di vederne il valore ma come riluttanza dell'autore rispetto a film che, come egli sentiva, in qualche modo gli erano stati "sottratti":

 

Caro Renzo, [...] Circa le quattro sceneggiature, quali potrebbero essere? Il Giudizio universale? Il boom? Il Tetto? Un mondo nuovo? La Ciociara? Il solito Umberto D? I Sequestrati di Altona?

È chiaro che deve trattarsi di sceneggiature che ho fatto da solo, non solo nella realtà ma anche nei titoli di testa. In quanto la mia fregatura è sempre quella: che le sceneggiature grondano di tanti nomi, metti Ladri di biciclette e Miracolo a Milano. Quando le feci, nessuno metteva in dubbio che erano proprio mie, che mi ero assunto l'effettiva direzione dei lavori, la responsabilità fondamentale a tutti gli effetti, e che i miei interventi si svolgevano anche al di fuori delle sedute cui partecipavano altri, che me le maneggiavo e rimaneggiavo a modo mio, che continuavo in sede di montaggio con vere e proprie soluzioni creative, ecc. Vallo a dire oggi!

 

[A.C., P.Z.]

 

Cinque domande a Renzo Renzi

 

Pubblichiamo in anteprima una parte dell'intervista realizzata da Antonella Campagna e Isabella Fabbri: la versione integrale sarà inserita nel dossier del prossimo numero di "IBC", dedicato agli archivi del cinema in Emilia-Romagna.

 

L'occasione di questo incontro è la cessione del suo archivio, della sua biblioteca e della sua raccolta fotografica alla Cineteca di Bologna. Vuol dirci le ragioni di questa scelta?

Sono molto legato alla Cineteca di Bologna anche perché sono stato uno dei suoi promotori. D'altra parte ho sempre pensato che i miei libri e il mio archivio dovevano alla fine essere lasciati a qualcuno che se ne occupasse. I fondi privati finiscono spesso in cantina. Molto meglio cederli ad un ente pubblico che ne farà un uso pubblico.

 

Il suo fondo è lo specchio del suo lavoro. Nella biblioteca, nella raccolta fotografica, nei manoscritti, nella corrispondenza emerge come costante il duplice filone della sua attività: critico e autore cinematografico e insieme studioso e cultore di storia locale. Come si intrecciano questi due interessi, hanno una radice comune o si sono sviluppati indipendentemente l'uno dall'altro?

Sicuramente la radice è comune. Come appassionato di cinema e autore di documentari, ho sempre cercato soggetti nella realtà che mi circondava. Da lì è cominciata una frequentazione di temi locali che non ho mai abbandonato.

 

Nell'ambito della storia locale lei ha spaziato in tutti i settori, dall'arte alla gastronomia. Il suo rapporto di intellettuale al "servizio" della storia della città e della regione le offre un osservatorio privilegiato su temi, vicende, personaggi. Vuole raccontarci qualcosa in merito?

Non ho mai avuto remore nel lavorare sia per i privati sia per l'ente pubblico. Se mi sono occupato di storia locale è perché avevo una ambizione documentaria e la storia locale mi offriva una buona occasione. Venivo dal giornalismo e anche il giornalismo mi ha permesso di occuparmi seriamente, con l'occhio del cronista, di tante cose diverse. Con un certo successo devo dire. Mi impegnavo molto anche se consideravo questa una attività secondaria. Negli anni Cinquanta, per fare un esempio, girai un documentario, Guida per camminare all'ombra, per tentare di spiegare le più vere origini del portico bolognese. Tutti notavano l'unicità di questa costruzione architettonica della nostra città, ma nessuno conosceva il motivo della loro costruzione. La mia ipotesi era che il portico fu pensato per risolvere problemi di sovrappopolazione, per via del crescente afflusso nella Bologna medievale di studenti e di contadini liberati dalla servitù. In quell'occasione i portici li feci anche misurare dall'Ufficio tecnico del Comune perché fino ad allora nessuno lo aveva mai fatto. Scoprii che sono lunghi 35 chilometri.

 

I suoi sono comunque sempre documentari d'autore. Pensiamo a Sette metri di asfalto, realizzato per il Comune di Bologna nel 1954, o a Quando il Po è dolce...

In quel periodo guardavo molto i lavori di Paul Rotha, di John Grierson, perché in Inghilterra c'era una tradizione di documentari intesi come servizio pubblico. Io ho cercato di seguire quella scuola. Era lontana da me l'idea di fare del bel cinema. Volevo fare del cinema utile. Sono partito con le Fidanzate di carta un documentario sui calendari delle pin up per il quale guardai ad Antonioni e a un suo documentario sui fotoromanzi che mi era piaciuto molto. Erano gli anni in cui Antonioni faceva la fame a Roma in attesa di realizzare il suo primo film, che nessuno gli produceva perché lui voleva fare dei gialli alla rovescia, di quelli dove non si trova il colpevole. Nelle Fidanzate di carta c'era Severino Gazzelloni al flauto, che suonava le musiche di Roman Vlad, e tutti e due erano ancora sconosciuti...

Io, stando a Bologna, ero fortunato perché le mie proposte in genere erano accolte. C'era un clima molto favorevole da parte degli enti pubblici. Trovai invece meno ascolto fra i privati. Gli industriali non erano assolutamente convinti di fare del cinema perché lo consideravano una attività troppo avventurosa. Allora lavoravo spesso in coppia con Enzo Biagi, scrivevamo insieme soggetti e avevamo anche una società di produzione comune. Mi ricordo che insieme a Biagi andai a parlare con Angelo Maccaferri, industriale bolognese che aveva la passione del cinema e della fotografia. La nostra proposta era di realizzare degli studi cinematografici per produrre massicciamente documentari e passare poi eventualmente ai film a soggetto. Lui ne parlò con la famiglia ma non ci fu riscontro.

 

C'è un documentario che le piacerebbe girare ora?

Un giovane regista in accordo con la Cineteca sta preparando un film su di me e sulla mia storia. Rievocandola con lui cerco di capire certi passaggi, certi periodi. Insomma sono molto impegnato a mettere ordine nella memoria.

 

[A.C., I.F.]

 

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