Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne

A Piacenza, nei sotterranei restaurati di Palazzo Farnese, una mostra racconta “Annibale, mito mediterraneo” tra storia e multimedialità".
Dall'Africa alla Trebbia

Maria Pia Guermandi
[IBC]

A cosa serve una mostra? È un interrogativo che spesso ritorna, e che talora diviene argomento di polemica: anche in tempi recenti, le mostre – o meglio il loro proliferare – è stato stigmatizzato come simbolo di un marketing che punta sull'evento per fare cassa, senza preoccuparsi troppo dei contenuti.
Ed è vero che numerosi sono gli esempi di esposizioni che si affidano al richiamo di uno degli ever-green del circuito storico-artistico, da Caravaggio agli impressionisti, presenti magari solo in copia o in esemplari di non eccelsa qualità o di dubbia attribuzione. Oppure mostre che riuniscono opere raccogliticce, il cui nesso, più che da un progetto di ricerca, è determinato dalle esigenze di botteghino, trainato da titoli roboanti quanto truffaldini: Tutti i capolavori da Giotto a Picasso.
Chi denuncia la proliferazione di eventi temporanei – il così detto “mostrificio” – sottolinea inoltre il rischio, sul piano della tutela, cui spostamenti, per di più non motivati da un solido obiettivo scientifico, sottopongono opere talora fragili.

Accanto a questi esempi – purtroppo non così rari – ci sono invece esposizioni di grandissimo interesse non solo per l'eccellenza delle opere che ospitano, ma perché sono il frutto di percorsi di ricerca lungamente meditati su un autore, o un periodo o un tema, sul quale, proprio per questo, attraverso l'esposizione, gettano nuova luce, migliorandone la conoscenza a beneficio di un pubblico vasto.

A quest'ultima categoria appartiene senz'altro la mostra Annibale. Un mito mediterraneo che si è svolta a Piacenza, dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019.
La mostra è stata allestita nei sotterranei di Palazzo Farnese, per la prima volta utilizzati a tal fine, che nella loro scabra imponenza hanno contribuito ad accrescere la suggestione del percorso. Curatore è stato Giovanni Brizzi, sicuramente il più grande studioso della figura del Barcide, cui ha dedicato innumerevoli pubblicazioni e, in particolare, il volume Annibale. Come un'autobiografia (Rusconi, 1994, in uscita ora per i tipi della Laterza con il titolo Io, Annibale). Stratega fra i più abili della storia militare antica, uomo colto dalla raffinata e poliedrica educazione, ma anche guerriero crudele e sanguinario, Annibale ha segnato un discrimine nella storia romana, in cui la seconda guerra punica rappresenterà per moltissimo tempo un momento cruciale non solo militare, ma sociale e politico assieme.
La mostra ne traccia un ritratto a tutto tondo, sottolineando le complessità di un personaggio di grande levatura intellettuale, abile e innovativo non solo sul campo di battaglia e soprattutto inquadrandone la vicenda umana all'interno della più ampia contrapposizione fra le due principali potenze del Mediterraneo Occidentale nel terzo secolo a.C., Roma e Cartagine.

Ma è sull'inizio della seconda guerra punica che soprattutto si concentra il racconto, in particolare sull'arrivo di Annibale in Italia, a partire dalla famosissima traversata delle Alpi. È il 218 a.C. e il condottiero cartaginese, che ha guidato il suo esercito dalla Spagna, che ha trasbordato sul Rodano i 37 elefanti africani, decide di penetrare in Italia non attraverso un percorso costiero, ma dall'interno, attraverso un valico alpino, tuttora non identificato. La traversata si rivelerà, anche a causa della stagione – l'autunno avanzato – difficilissima e provocherà la perdita di migliaia e migliaia di uomini e animali, ma assumerà da subito un carattere epico che l'accompagnerà nei secoli. Molto opportunamente, nel percorso di mostra, una proiezione immersiva cerca di restituire al visitatore anche gli aspetti "emozionali" di quello che fu, a tutti gli effetti, un passaggio leggendario.

Altro snodo del racconto annibalico è rappresentato dalla battaglia sul Trebbia, svoltasi, alla fine del 218 a.C., a pochi chilometri dal luogo che ha ospitato la mostra. Si trattava del secondo scontro con l'esercito romano, ma il precedente, la battaglia sul Ticino, non aveva ancora messo in luce l'abilità strategica di Annibale, che, al contrario, sul Trebbia ebbe modo di dispiegarsi attraverso la famosa manovra avvolgente, infliggendo così la prima grande disfatta all'esercito romano.
La battaglia rappresentò per Roma un tracollo non solo in termini di perdite umane, ma perché ne segnerà, di fatto, un arretramento territoriale sensibile, la perdita della pianura padana, destinato a perdurare per molti decenni.

A sottolinearne la centralità nel percorso, la sezione dedicata allo scontro sul Trebbia è impreziosita anche da uno struggente video di Giacomo Gatti che mostra i luoghi della battaglia e riesce a creare, attraverso i ritratti degli abitanti odierni, ripresi in muta meditazione lungo le rive del fiume, un cortocircuito di grande intensità ricongiungendo suggestivamente questi luoghi a quella storia, in quel caso violenta e sanguinosa. Nelle espressioni assorte di quei valligiani di oggi si esprime così il dolore della storia che ha come sottofondo, oggi come allora, lo stesso rumore dell'incessante scorrere delle acque del fiume.
A ribadire, ancora una volta, come quella storia di battaglie, è anche, soprattutto, storia di uomini.

La seconda guerra punica, come detto, lascerà ferite tanto profonde da mutare radicalmente la strategia espansiva della repubblica. Se proprio nel 218 a.C., poco prima dell'arrivo di Annibale, Roma aveva fondato le due colonie di Piacenza e Cremona quali avamposti per la penetrazione nel territorio dei Celti, ogni pretesa di espansione anche attraverso la sostituzione etnica dei coloni centro italici sarà cancellata dal tracollo demografico, esito dei quasi due decenni di guerra: con una cifra di caduti probabilmente vicina ai 200.000, erano letteralmente scomparse le risorse umane da investire nella conquista della Cisalpina (e non solo). Di lì a pochi anni, la via Emilia sancirà il limes settentrionale dell'Italia romana.

La mostra di Annibale va ricordata anche per la perfetta integrazione fra racconto e apparato didattico e multimediale in cui il secondo riesce ad interpretare splendidamente il primo, in chiave non solo didattica, ma anche emozionale senza prevaricarne lo svolgimento: ologrammi, motion graphics, disegni, "cuciono" le diverse tappe del racconto snodato nei sotterranei di Palazzo Farnese. Allo stesso modo gli oggetti sono chiamati ad evocare non solo i guerrieri, nella loro panoplia, ma i popoli, nel complesso intreccio etnico-culturale che caratterizzava già prima di Annibale il territorio attorno a Piacenza, come, ovviamente, i personaggi e quindi il Barcide, nei ritratti veri o presunti, nelle sue strategie che vorremmo definire ideologiche, ovvero sia il costante riferimento a Eracle-Melqart, vera e propria arma mediatica attraverso cui Annibale costruirà il suo personaggio di conduttore di popoli, lui come il semidio, lui come un semidio. E assieme, il suo avversario-emulo, quello Scipione Africano di cui era in mostra il così detto, ma magnifico, busto ritratto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La fortuna della saga annibalica nei secoli è stata riproposta da rappresentazioni di vario tipo, dai disegni e acquaforti sette-ottocenteschi alle sequenze cinematografiche dei peplum movie della prima metà del secolo scorso, a partire da Cabiria.
Come accennato, l'episodio che più rimase nell'immaginario dei secoli successivi fu soprattutto l'impresa dell'attraversamento delle Alpi: fra le altre raffigurazioni in mostra, struggente era il piccolo dipinto, ora al museo di Saragozza, che un giovane Francisco Goya presentò al concorso di pittura dell'Accademia di Belle Arti di Parma, dove però i giudici di allora, gli preferirono il ben più scolastico e algido Paolo Borroni della Pilotta di Parma, anch'esso in esposizione.

A stroncare qualsiasi ipotesi di storia controfattuale, ora tanto di moda, Brizzi chiarisce come la sconfitta di Annibale fosse, per più di un aspetto, inevitabile: troppo debole sul piano politico Cartagine rispetto a Roma che era riuscita, nei decenni precedenti alla seconda punica a realizzare, nell'Italia centro meridionale, una federazione di popoli che Annibale tenterà invano di incrinare. La politica inclusiva di Roma, polis fattasi civitas, la premierà attraverso la fedeltà dei popoli alleati. La Repubblica attingerà da quel serbatoio le risorse necessarie per resistere ai lunghissimi anni di guerra, mentre l'avversario era destinato a logorarsi senza riuscire a sferrare l'attacco decisivo.

Già, la capacità di includere: non solo potenza militare, Roma riuscì ad imporsi e il suo dominio a durare grazie alla intelligenza politica della sua classe dirigente che capì, fin dai primi secoli della Repubblica, come l'arma più duratura consistesse appunto nell'inclusione. Coinvolgere, per gradi successivi, le popolazioni vinte sul campo di battaglia, concedendo loro dignità di cittadini e la partecipazione a tutti i benefici che comportava essere parte di quella Repubblica, e poi di quell'impero (come non ricordare, a questo proposito, l'esilarante "what have the Romans ever done for us" del Fronte popolare di Giudea in Brian di Nazareth https://m.youtube.com/watch?v=Qc7HmhrgTuQ).
Includere, ampliare il diritto di cittadinanza fu l'arma più efficace attraverso cui Roma seppe non solo durare, ma anche rinnovarsi costantemente attraverso l'integrazione di altre culture, altre religioni. È una lezione che ci interroga profondamente, noi uomini del XXI secolo, rinchiusi in un limes sempre più ristretto e asfittico.
Oltre che per questo e per l'interesse e il coinvolgimento che riesce a suscitare, uno dei meriti più grandi di Annibale. Un mito mediterraneo risiede, a parere di chi scrive, nella capacità di chiarire la complessità del discorso storico senza mai banalizzarlo, svolgendo, sala dopo sala, i molti fili che costruiscono il tessuto della storia, smontando stereotipi, evidenziando i nessi di causa effetto e le conseguenze sul lungo termine degli avvenimenti narrati. E tutto questo senza rinunciare al piacere del racconto, che, anche grazie all'allestimento, riesce pienamente a svolgere quella funzione di engagement ora divenuta obiettivo fondamentale di ogni evento culturale.

In tempi di un "presentismo" dilagante – digitale e culturale – che schiaccia le profondità e deforma o annulla le prospettive storiche, è merito fra i più rilevanti.

Grazie, professor Brizzi.

Mostra:
Annibale. Un mito mediterraneo
Piacenza, Palazzo Farnese
16 dicembre 2018-17 marzo 2019

  

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