Rivista "IBC" XXIII, 2015, 3

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni, restauri

Grazie a un progetto di Mario Brattella, le Collezioni comunali d'arte di Palazzo d'Accursio si doteranno di nuovi spazi dedicati all'accoglienza, alla comunicazione e all'apprendimento prima e dopo la visita.
Una finestra sulla città

Carla Bernardini
[Istituzione Bologna Musei - Collezioni comunali d'arte]

Museo e contesto

Nel palazzo pubblico di Bologna la disposizione degli ambienti e ogni opera d'arte, decorazione o frammento, sono un insieme di fonti di particolare densità per la mediazione culturale, attraverso una lettura del luogo come libro aperto sul passato e sul presente, in parallelo all'evolversi degli studi in vari ambiti disciplinari. 1 La specificità della galleria istituita nel 1936 al secondo piano, le Collezioni comunali d'arte, rappresenta un caso esemplare in ambito museografico, per la ricchezza di connessioni fra opere esposte e contesto, monumentale e urbano.

A conclusione tardiva di un processo municipale che nella città postunitaria integrava le raccolte universitarie di palazzo Poggi e il grande invaso del nascente Museo civico (1878-1882), le raccolte rappresentavano ambiti diversificati formalmente e cronologicamente (pittura, scultura, arti applicate, dal Medioevo al Novecento), ma anche per provenienze e modalità di acquisizione (privato collezionismo, salvaguardia postsoppressiva). 2

L'accesso dal cortile d'onore attraverso le due rampe cordonate bramantesche, con una tappa al piano nobile (la sala d'Ercole, con gli affreschi staccati, e le sale già pertinenti alle magistrature cittadine), sottolineava l'approdo alla sede storica di chi a Bologna rappresentava il potere pontificio, una sede che era stata già teatro di eventi politici e diplomatici di portata internazionale. Ne era testimonianza la memoria narrativa degli affreschi impaginati sulle pareti della sala Farnese (1660), che filtravano il rapporto fra politica europea, Santa Sede, chiesa e popolo bolognese tra Medioevo e primo Seicento. Lo dichiarava la sala Urbana, o "degli stemmi" (1630), singolare museo araldico che rievocava la presenza dei legati nella città, seconda capitale pontificia, come pure la successiva ascesa al soglio papale di alcuni di essi.

Anche la Galleria Vidoniana (1665) e la Sala della Repubblica Cispadana (1797) attestano il sedimentarsi di tracce della storia in questa sezione del palazzo governativo, già pontificia, "giacobina" e prefettizia, tra mitologie barocche, inserti neoclassici, allegorie repubblicane, revisioni iconografiche di marca politica: una vicenda da ricomporre nella sua unità e continuità con gli ambienti dei piani sottostanti, in parallelo con la storia di Bologna. La fondazione del museo a seguito di una campagna di restauri (1933-1934) assicurava un'esposizione permanente a raccolte artistiche ancora "erratiche" (pittura, scultura, arredo, suppellettili), confluite nel patrimonio civico nel Settecento, nei decenni postunitari, nel primo Novecento.

Si accese allora una rinnovata attenzione al concetto di "palazzo pubblico", inteso come monumento storico oltre che sede politica e amministrativa, e attraverso l'esposizione di fotografie e antiche iconografie (disegni, incisioni) si gettò uno sguardo documentato sulle trasformazioni che avevano rapidamente mutato il volto della città nei decenni precedenti; uno sguardo integrabile con la vista diretta sul contesto urbano. Tuttora questo legame sedimentato storicamente, tra opere e ambienti, raccolte e monumento, museo e contesto, è l'aspetto primo da restituire attraverso la comunicazione culturale che riguarda l'istituzione. 3

La "Mostra del Settecento bolognese" (1935), snodandosi in continuità attraverso due piani del palazzo, aveva reso ovvia la destinazione del secondo a museo, recuperando quella dimensione espositiva e di attrazione storico-artistica già propria, nel Seicento e nel Settecento, degli appartamenti pubblici al primo piano, sede delle magistrature cittadine. 4 Pubbliche committenze, donazioni, mecenatismo e devozione alimentarono testimonianze di scrittori e viaggiatori in visita all'appartamento del Gonfaloniere in antico regime (il  Palione della peste e il  Sansone di Guido Reni, la  Santa Caterina de' Vigri di Marcantonio Franceschini, i diciotto dipinti di Donato Creti del lascito "Collina Sbaraglia", ora alle Collezioni comunali).

Sulla scia della cultura illuminista, l'idea di un più largo baricentro museale sull'altro lato della piazza, con patrimonio di provenienza ecclesiastica nel palazzo del Podestà, 5 era tramontata con la conquista francese, che lasciò tracce evidenti nell'apparato scultoreo della Galleria Vidoniana e nella magnificenza degli spazi al primo piano, attuale anticamera del sindaco. Il polo patrimoniale laico nel cuore della città sarebbe stato riproposto solo negli anni Trenta del Novecento, nuovamente nella sede governativa prospiciente la piazza principale, al culmine di un percorso attraverso il centro storico e la piazza, a complemento di ambiti diversi, accademico e chiesastico in primo luogo, rappresentati nella Regia Pinacoteca, nell'ex noviziato gesuita di via Belle Arti.

Come museo ambientato e di complessa stratificazione, le Collezioni comunali sono ora in grado di affidare al visitatore una guida alla visita  in loco, sala per sala, trilingue, ma l'insieme non è di facile lettura e memorizzazione. È una base per la futura creazione di itinerari virtuali e interattivi volti alla lettura unitaria di opere e ambienti fisicamente distanti.


Raccolte e monumento: tra visione e documentazione

L'uso governativo e amministrativo, nel corso dei secoli, ha determinato lo stratificarsi, ma anche lo scomparire, dei segni legati all'avvicendarsi dei poteri politici e ai grandi momenti della storia non solo italiana. 6 L'allestimento di raccolte storico-artistiche nell'ex quartiere pontificio rende oggi più facile da comunicare quel rapporto fra arte e storia, patrimonio e contesto urbano, che già era stato tracciato dalla cultura storicistica all'origine del museo; del resto, la conoscenza incrociata di opere e ambienti è una premessa indispensabile per un'efficace mediazione culturale.

A richiedere questa mediazione è innanzitutto l'origine delle raccolte in antico regime (le magistrature cittadine) come nell'epoca postunitaria e nel Novecento (le collezioni d'artista, i lasciti fra aristocrazia e liberalismo, le aggregazioni museografiche postsoppressive, gli acquisti sul mercato). L'integrazione tra il profilo decorativo e quello storico delle sale consente di scandire momenti e date anche grazie alla fitta decorazione araldica: l'epoca del cardinal Bessarione (primo Quattrocento), quella di papa Alessandro VII, protagonista del Barocco romano, la presenza di celebri cardinali come Maffeo Barberini e Bernardino Spada (prima metà del Seicento), fino ai proclami per la seconda guerra di Indipendenza e l'Unità d'Italia di Napoleone III e Vittorio Emanuele II.

Questa lettura dell'intero complesso monumentale, tra opere e ambienti, con i suoi punti di vista sull'esterno, si presta a una continua disamina del rapporto con la piazza e il centro storico, nel passato come nella contemporaneità. Oltre all'incomparabile visione su due piazze (quella Maggiore e quella del Nettuno), unificate dall'intero fronte del palazzo pubblico, è possibile un immediato colpo d'occhio sull'antica anima scenografica del portico dei Banchi, opera del Vignola. Senza dimenticare l'insieme della vista, con la Basilica di San Petronio, il Palazzo dei Notai, le chiese di San Pietro e Santa Maria della Vita, il complesso medievale e rinascimentale dei palazzi del Podestà e di Re Enzo, la fontana del Nettuno, le prospettive di via Indipendenza e dell'ex Mercato di Mezzo su via Rizzoli, le due torri sullo sfondo.

Tra una generale possibilità di informazione a distanza (e preparazione alla visita) e una guida alla visione  in loco, più articolata e approfondita, lo scopo primario resta quello di unire in un quadro coerente ciò che si presenta come separato, frammentario, percepito per segmenti e singole emergenze. Non solo. L'ampio quadro culturale costruito intorno ai profili delle raccolte, alla loro storia, alle presenze di  petit maitres e di capolavori di artisti non bolognesi (Artemisia Gentileschi, Francesco Hayez, Alvar Pirez, Benedetto Bonfigli...) è destinato a estendersi anche alle numerose possibilità di lettura implicite nelle raccolte ottocentesche non ancora esposte. 7

Queste ultime si prestano infatti, in modo analogo, a essere lette e interpretate sotto molteplici profili, in relazione agli ambienti e alle vicende del patrimonio civico. Condividono frequentemente la loro storia con quella delle raccolte delle Collezioni comunali, avviata in vari casi nella medesima realtà civica di palazzo, poi segmentata e orientata, dopo la metà del Novecento, secondo un profilo di lettura prevalentemente cronologica e formale, nell'ex Galleria d'arte moderna di piazza della Costituzione. Queste raccolte potranno essere virtualmente lette in continuità con i materiali dell'ordinamento esistente, e la progressione cronologica potrà essere organizzata per nuclei significativi, come già avviene nell'organizzazione del percorso di visita delle Collezioni comunali d'arte.

Le Collezioni possono diventare anche un punto di snodo informativo sulla museografia civica, 8 e interagire innanzitutto con la Pinacoteca nazionale e la sua sezione di palazzo Pepoli Campogrande, ma anche con il Museo "Davia Bargellini", quadreria e residenza storica nobiliare, con il Museo della storia di Bologna di palazzo Pepoli vecchio (inserito nel circuito di "Genus Bononiae"), con il Civico archeologico, con i musei di palazzo Poggi.


Una "finestra" sulla città: nuovi spazi di accoglienza e apprendimento

Con quali strumenti e in quali spazi si possono trasmettere le diverse potenzialità del museo, rendendolo più accogliente e creando un sistema di informazioni adeguato alla complessità del luogo e facilmente accessibile? Come costruire una struttura di documentazione e rendere disponibili i supporti cartacei e informatici presenti  in loco, in modo da integrare la consultazione in rete?

Fra il 2002 e il 2004 il procedere parallelo di catalogazione, revisione e ampliamento allestitivo avevano determinato un consistente salto di qualità nella percezione del museo: 9 innanzitutto nell'ala nord, un'autonoma pinacoteca scandita dal Duecento al Settecento, ma anche nella sezione degli affreschi staccati, risalenti alla fase che seguì le soppressioni napoleoniche e provenienti dal complesso della Certosa, adibito a cimitero nel 1801. Un salto di qualità avvertibile anche nella sezione dedicata a Pelagio Palagi, allestita nelle due sale cispadane affrescate con allegorie politiche da Mauro Gandolfi e Filippo Pedrini, come pure nella stanza-paese con l'allestimento dell' Apollino ora restituito ad Antonio Canova.

Da quell'occasione di arricchimento del percorso di visita (2002), e dalla successiva ridefinizione dell'identità del museo (2006-2011), l'attenzione si appunta oggi su una sequenza di ambienti annessi a Sala e Cappella Farnese, con l'affaccio sul centro storico. La prospettiva che si apre fa intravedere una nuova fase per il museo, attraverso un ampliamento fisico della struttura, finalizzato a nuove forme di accoglienza.

Già durante le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, nel 2011, era tornata viva l'attenzione sul palazzo come luogo della storia risorgimentale, come testo che si offriva a letture inedite attraverso i suoi spazi e soprattutto le sue epigrafi, come testimoniato dall'interesse mostrato dal progetto "La città degli archivi". 10 Negli ambienti prima adibiti a cafetteria e bookshop del Museo Morandi, e adesso ad area di lavoro delle Collezioni comunali, è ora possibile dare corpo all'esigenza di un'efficace comunicazione culturale, con la possibilità di creare spazi per una sosta attiva di apprendimento e per un momento di crescita culturale, oltre che per la preparazione alla visita. In questo modo può essere riattualizzata una delle principali vocazioni del museo fin dalla fondazione: offrire l'immagine storica della città in rapporto al visibile reale, proseguendo l'itinerario di visita del centro urbano, che parte dalla piazza.

Consentire al visitatore di trovare in questo luogo una possibilità di ampia fruizione culturale che oltrepassa il confine dei percorsi museali specifici, significa dare corpo a un progetto culturale per l'intera città. Un sistema informativo multimediale sulla mappa museografica civica, sulla formazione delle raccolte e sulla storia cittadina attraverso le testimonianze architettoniche, artistiche, epigrafiche e araldiche del Palazzo consentirebbe di mettere nuovamente in cornice le Collezioni comunali d'arte, riconducendo a unità storica e a continuità di lettura ricchissime testimonianze, materiali e artistiche, tuttora percepite a segmenti. 11 Inserirsi nella rete museale cittadina renderà possibile un incremento dei visitatori, e anche una riqualificazione del già elevato afflusso turistico alla sala e alla cappella Farnese, finora non rilevato in quanto non compreso nel perimetro museale. 12


Il progetto di Mario Brattella

Questo nucleo di proposta museografica ha richiesto gradi successivi di elaborazione e la necessità di affidarsi a una competenza che fosse in grado di coniugare progettualità e sensibilità storica, e di dare forma funzionale, calata negli spazi, alla promozione del museo e del complesso monumentale, prima ancora che all'accoglienza del pubblico. Grazie all'apporto di Mario Brattella, scenografo e docente presso l'Accademia di belle arti, già autore, per il museo, dell'allestimento della sezione Palagi (2004) 13 e di vari elementi espositivi (2010-2012), è stato possibile prevedere, in questo segmento del palazzo, una prima forma di accoglienza, consultazione e documentazione, oltre che di preparazione alla visita.

Da quella prima idea si è passati a una serie di progetti disegnati tra 2010 e 2011, in cui si integravano sensibilità estetica, cultura visiva, esperienza museografica, capacità di far rivivere forme storiche in chiave moderna, ancora oggi da ritenersi valide pur nella necessità di un aggiornamento, soprattutto in funzione della presenza informatica.

Le varie ipotesi di allestimento degli ambienti sono strettamente rapportate alle principali radici del museo. Grandi pannelli, variamente ispirati a stili presenti sia nelle raccolte che nel contesto urbano, nella loro valenza di ampliamento illusionistico dello spazio, recuperano in chiave architettonica la cultura scenografica settecentesca e il revival neomedievale e neorinascimentale.

Le postazioni informatiche si integrano con la documentazione cartacea costituita da saggi scientifici raccolti per tema, con il plastico tridimensionale del palazzo (realizzato presso il laboratorio SILAB dell'Università di Bologna) e con la sua matrice tridimensionale, consultabile in modo interattivo grazie all'aggiunta di immagini storiche e riproduzioni fotografiche di ambienti e particolari architettonici.

Le sedute sono variamente orientate, verso la visione dell'esterno o verso l'offerta informativa interna, e comprendono una postazione per il disegno dal vero e la copia artistica, pratiche ancora attive benchè prive di spazi dedicati. Il recupero di arredi comunali d'epoca, oltre a risolvere in forma economica la creazione di ambienti funzionali, evoca il contesto istituzionale d'origine dell'insieme. Sull'altro estremo della parete, la sala "ottagonale", già sala mostre del Museo Morandi, offre, all'ingresso di sala Farnese, un nuovo punto espositivo destinato a singole opere o piccoli nuclei, temporaneamente estratti dal contesto "ambientato" del museo, per mettere a fuoco prospettive inedite e diverse possibilità di lettura. 14 Queste l'interpretazione e l'eredità creativa lasciata al museo da Mario Brattella, al cui ricordo è dedicato questo contributo.


Note

[ 1] Si riprendono qui temi di un precedente saggio ( Collezioni Comunali d'Arte e palazzo Pubblico: bilanci di lavoro e prospettive di sviluppo, "Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici d'Arte Antica", 2010/2011, 7/8, pp. 82-95), in vista di una sua continuazione, sempre su "Arte a Bologna".

[ 2Collezioni Comunali d'arte di Bologna, a cura di C. Bernardini con la collaborazione di A. Mampieri ed E. Berselli, Ferrara, Edisai, 2011.

[ 3] Si veda: M. Ferretti,  Progetto per la riapertura delle Collezioni Comunali d'Arte (1993), "Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici di Arte Antica", 1999, 5, pp. 208-212.

[ 4Bologna e le Collezioni Comunali d'arte. Dalla Mostra del Settecento bolognese alla nascita del museo (1935-36), a cura di C. Bernardini, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana editoriale, 2011.

[ 5] C. Bernardini,  Prima delle requisizioni napoleoniche. Quadri d'altare fra riproduzione grafica e idea di museo, in  Crocevia e capitale della migrazione artistica, a cura di S. Frommel, vol. III, Bologna, Bononia University Press, 2013, pp. 143-162.

[ 6] R. Grandi, in  Collezioni Comunali d'Arte. L'Appartamento del legato in Palazzo d'Accursio, Bologna, Comune di Bologna, 1989, pp. 5-11; C. Bernardini,  Per una storia dell'appartamento del Legato, sede delle Collezioni Comunali d'Arte. Una ricerca in una prospettiva museografica, "Schede umanistiche", 1989, 3, pp. 81-92.

[ 7Pelagio Palagi Artista e collezionista, catalogo della mostra (Bologna-Torino, 1976-1977), Bologna, Grafis, 1976;  I concorsi curlandesi. Bologna Accademia di belle Arti, 1785-1870, catalogo della mostra, a cura di R. Grandi, Bologna, Grafis, 1980;  Dall'Accademia al vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia, catalogo della mostra, a cura di R. Grandi, Bologna, Grafis, 1983;  L'Ottocento ritrovato. Opere dalle collezioni statali e comunali di Bologna, Bologna, Grafis, 1988;  Pelagio Palagi Pittore. Dipinti dalle raccolte del Comune di Bologna, catalogo della mostra, a cura di C. Poppi, Milano, Electa, 1996.

[ 8] Ma si veda più in generale: M. Ferretti,  Progetto per la riapertura delle Collezioni Comunali d'Arte, cit.

[ 9] Secondo linee indicate anche in: C. Bernardini,  A casa del cardinal legato, "IBC", IX, 2001, 1, pp. 24-26.

[ 10fondazionedelmonte.it/progetti/progetti-strategici/una-citta-per-gli-archivi.

[ 11] M. Ferretti,  Progetto  per la riapertura delle Collezioni Comunali d'Arte, cit., p. 208.

[ 12] Tra 2005 e 2006 una riflessione complessiva e mirata al recupero della lettura degli affreschi, tuttora scarsamente illuminati, produsse un'idea progettuale in concomitanza con il Salone del Restauro di Ferrara; si veda: G. Mestrangelo,  Racconto in luce, in  Economia della cultura. Restauro. Salone dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, Ferrara, 30 marzo - 2 aprile 2006, Funo di Argelato, Acropoli, 2006, pp. 187-189.

[ 13Pelagio Palagi alle Collezioni Comunali d'Arte, a cura di C. Bernardini, Ferrara, Edisai, 2004.

[ 14www.magazine.unibo.it/archivio/2002/06/10/i-gandolfi-itinerari-bolognesiwww.museibologna.it/arteantica/notizie/57717/offset/8.

 

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