Rivista "IBC" XXIII, 2015, 2
musei e beni culturali / mostre e rassegne
"Mercoledì sera mangiai una insalata di lattuga e uno pesce d'uovo. Mercoledì sancto sera 2 quattrini di mandorle e uno pesce d'uovo e noce, e feci quella figura che è sopra la zucha [...]. E venerdì, oltre al dolermi, ebi mala disposizione e non mi senti' bene e la sera non cenai; e la mattina che fumo addì 29 1555, feci la mano, e mezo e braccio di quella figura grande, el ginochio con uno pezo di gamba [...]". Così cita Jacopo Pontormo nel 1555, nel Libro mio, un intenso diario con le annotazioni degli ultimi due anni di vita del pittore fiorentino in cui si intrecciano fitte registrazioni sullo stato di salute e sull'alimentazione quotidiana insieme alle fasi di lavorazione degli affreschi realizzati per la chiesa di San Lorenzo.
La stretta correlazione tra le vicende artistiche e il comportamento alimentare, tra i progressi alterni del lavoro pittorico e le costrizioni dettate dalla dieta poverissima dell'artista manierista, stilate nello straordinario manoscritto tardo rinascimentale, finisce per suggellare il concetto di creazione artistica come esercizio intimamente legato alla fatica corporea, alla sofferenza del fisico, talvolta inflitta, come in questo caso, dalle restrizioni alimentari. La fatica fisica in quanto fatica intellettuale, dello spirito, vede la centralità del corpo nelle sue funzioni di strumento di passaggio dei flussi alimentari, digestivi, escrementizi così come di quelli intellettuali, creativi e produttivi della pratica artistica, tema di cui tanta letteratura e trattatistica, dal Cinquecento in poi, si sono occupate, trovando anche in personalità come Michelangelo modelli eccelsi.
Questa intima relazione tra nutrimento e produzione artistica, tra corpo dell'artista e opera d'arte suggerisce oggi all'artista Marco di Giovanni (nato a Teramo nel 1976, imolese di adozione) l'idea di intraprendere un'impresa monumentale che trova certamente, nel concetto di corpo quale organo di ingestione, digestione e produzione, la più ampia espressione. Una serie di suoi lavori - esposti nella doppia mostra personale allestita a Imola al Museo civico di San Domenico e all'associazione culturale "BeCube", dal 18 aprile al 21 giugno 2015 - sono infatti il risultato di una performance lunga un anno, incentrata sul nutrimento.
A partire dal 18 maggio 2014 (data del compleanno dell'artista) per un anno intero l'artista disegna tutto ciò che mangia e beve, dalla colazione alla cena, passando per gli spuntini, gli aperitivi, le pause caffè, senza tralasciare nulla, tranne l'acqua: briosche, tazze di caffè, arachidi, pizza, spaghetti, tagliatelle, bistecche, verdure, pesci grigliati, selvaggina, bottiglie di vino, liquori, caramelle, medicine...: un immenso e apparentemente inesauribile insieme di alimenti ingeriti, transitati nel corpo dell'artista e riprodotti in forma di disegno a china su carta gialla alimentare, nel formato della tovaglietta da tavola. Si dispiega anche qui un diario alimentare quotidiano, puntuale e veritiero dalle annotazioni più svariate, colte con l'immediatezza dell'azione del mangiare grazie al segno scabro e deciso, privo di compiacimenti estetici, ma attento a rendere graficamente frammenti di particolari quali suppellettili, scritte di etichette, marchi pubblicitari, che convivono con macchie alimentari reali prodotte al momento e lasciate visibili come interventi del caso.
L'installazione negli spazi di "BeCube", dal titolo Infinito commestibile, presenta una selezione di tale vastità di disegni, allestiti in lunghe serie su tavoli da birreria rovesciati in un susseguirsi senza fine di nature morte di cibo, mentre in sottofondo si ascoltano ripetitivi i suoni registrati della masticazione, dell'ingestione e della digestione dell'artista; un rovesciamento di prospettiva tra interno ed esterno, tema caro a Di Giovanni, suggerito anche dalla disposizione, all'ingresso dello spazio, di un'imponente opera ottenuta da una cisterna tagliata e modificata in modo da mostrare le proprie pareti interne: un grande organismo che infligge allo spettatore lo sforzo fisico di un passaggio angusto.
La pagina rimane comunque lo spazio del pensiero e del pensiero sul cibo, traccia sensibile e unità di misura di un infinito che alimenta l'esistenza umana.
Dell'illustre antenato fiorentino, Di Giovanni sembra mantenere il gusto per la frammentarietà e la maniacalità giornaliera: benché quello odierno sia un lavoro che si fonda su un principio catalogatorio di raccolta dati della propria esistenza, travalica i confini dell'annotazione diaristica per parlare del cibo in quanto ossessione, esulato da ciò che è nutrimento del corpo e divenuto elemento di ricerca del sé; un'ossessione che, al pari di quella della creazione artistica, si basa su meccanismi di nutrimento, fatica, produzione, e condiziona il vivere proprio nella dimensione della quotidianità.
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