Rivista "IBC" XXII, 2014, 3

Dossier: Imperiituro - Renovatio Imperii. Ravenna nell'Europa ottoniana

musei e beni culturali, dossier / progetti e realizzazioni

Da Carlo Magno agli Ottoni a Ravenna, testimonianze documentarie, storiografiche, iconografiche

Claudia Giuliani
[direttrice della Biblioteca Classense di Ravenna]

La Ravenna postesarcale si configura come città carica di memorie: artistiche, architettoniche, documentarie, librarie. Perduto il suo grande ruolo politico, rimane però ricca di storia: gli edifici, i palazzi recano i segni del potere imperiale, simbolicamente attivi nel rammentare il passato. Le numerose immagini degli imperatori, la ricchezza di simboli del potere, il costume imperiale definito analiticamente nelle raffigurazioni musive, giustinianee in particolare, furono un modello formale per una nuova dignità imperiale che si voleva delegata al potere dalla volontà e dal consenso divini. Se Carlo Magno volle Aquisgrana capitale del Sacro Romano Impero - e i Longobardi prima di lui avevano scelto Pavia - l'alta concentrazione di simboli del potere fa di Ravenna un luogo di forte attrazione che coinvolse prima di tutto lo stesso Carlo Magno e restò viva nei suoi successori. Dopo la crisi dell'Impero carolingio, nel programma riformatore degli imperatori sassoni, Ravenna rimane privilegiato riferimento imperiale, in qualche modo affidabile dal punto di vista politico e religioso per la particolare saldezza della sua chiesa vescovile e i nuovi fermenti monastici, che si espressero compiutamente nella figura del monaco ravennate Romualdo, fondatore dell'ordine camaldolese.

Ravenna viene più volte visitata da Carlo Magno. Egli ne asportò marmi, mosaici e altri ornamenti d'ogni genere, come ci racconta, fra gli altri, il suo biografo Eginardo. Fra i simboli del potere, la statua equestre di Teoderico, reimpiegata a sua volta dallo stesso re goto, poi voluta da Carlo Magno ad Aquisgrana, fu indubbiamente il più emblematico dei trafugamenti e dei riusi. Narrate quasi "in diretta" dallo storico ravennate Andrea Agnello, a metà del IX secolo, nel suo Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, le vicende di questi passaggi ci giungono connotate di nostalgico orgoglio.

Due i percorsi dell'esposizione di memorie ravennati, l'uno documentario, attraverso le vetuste testimonianze dell'età ottoniana conservate negli archivi cittadini (l'Archivio storico arcivescovile, l'Archivio di Stato e l'Archivio storico comunale), l'altro a scrutare fra le ricostruzioni della storiografia dell'età moderna fra XV e XVII secolo, che sulla scorta del Liber Pontificalis di Andrea Agnello determina, alimentandola di racconti e immagini, l'idea della Ravenna luogo di ispirazione per il potere imperiale a partire dall'età carolingia e verso il nuovo Millennio.

Le importanti testimonianze documentarie superstiti raccontano di quella Ravenna che apparve agli Ottoni non una semplice tappa nel viaggio verso Roma, ma un luogo di dimora, anche prolungata, una regia urbs in cui edificarono o restaurarono edifici palaziali, come l'Aula Regia posta nei pressi di San Lorenzo in Cesarea fuori le mura, o il Palazzo presso San Severo a Classe. Qui gli imperatori svilupparono la loro politica di concessioni e conferme ai vescovi e ai monasteri: il più antico documento esposto è il placito, dell'anno 967, in cui l'arcivescovo Pietro viene risarcito, per volontà congiunta del papa Giovanni XIII e dell'imperatore Ottone III, dei gravi danni subiti a causa di Rainerio dei Conti Guidi. Di grande importanza il Praeceptum di Ottone I e Ottone II in cui si confermano i diritti al monastero di Sant'Apollinare in Classe, col consenso di papa Giovanni XIII, redatto dalla cancelleria imperiale a Ravenna nel 972, seguito dal diploma di Ottone III del 26 aprile 1001, con cui conferma ad Hardefado, abate di Sant'Apollinare in Classe, i beni del monastero nei comitati di Fano, Pesaro e Rimini. Una politica di doni e conferme verso il cenobio di Classe continuata dai successori, documentata dall'esposizione, a titolo esemplificativo, di diplomi di Corrado II ed Enrico III alcuni decenni dopo. Similmente, al monastero di San Vitale, Ottone III concede, nel 999, da Roma, il terreno vicino alla basilica per costruirvi un chiostro; da un diploma dell'anno 1000 apprendiamo che il ravennate monastero di Sant'Andrea con l'abate Ursone, e tutti i beni donati anche dall'arcivescovo, Leone, vengono posti sotto la protezione dell'imperatore Ottone III.

I documenti dei tre Ottoni e poi di Corrado II ed Enrico III indirizzati ai monasteri ravennati, segni tangibili della politica imperiale nella città, si configurano come significativi tasselli della complessa trama politica e culturale della Renovatio imperii.

In sintesi, protetta ma spogliata dei simboli dell'antico potere da Carlo Magno, onorata dai Sassoni suoi successori nell'Impero, Ravenna continua a configurarsi come una imperiale città europea. Certamente, come la storiografia più recente sottolinea, disomogenea nel momento in cui si ricerca una genesi di Europa nel grande impero occidentale carolingio, essa resta come segnale della profonda presenza di un Oriente bizantino fortemente infiltrato nell'economia, nella società, nella simbologia stessa del potere che l'Occidente assume.

I manoscritti prodotti dagli scriptoria della Ravenna teodericiana, giustinianea ed esarcale sono oggi sparsi nelle biblioteche d'Europa, da cui forse, peraltro, ma più sommessamente delle memorie artistiche, contribuirono alla definizione dei nuovi modelli culturali della rinascita; per questa ragione il secondo percorso espositivo delinea sinteticamente, non attraverso i capolavori manoscritti prodotti al tempo in Ravenna, e successivamente dispersi, ma mediante alcuni capisaldi della storiografia locale dell'età moderna, una città alla ricerca della propria storia. I ravennati Desiderio Spreti (1414-1474), Girolamo Rossi (1539-1607) Vincenzo Carrari (1539-1596), nelle loro Storie, tratteggiano per la prima volta, nel grande affresco di una città più volte caduta e risorta, l'ammirazione di Carlo Magno o la benevolenza degli Ottoni. Sono principalmente questi autori a costruire l'idea contemporanea di una città custode di monumenti antichi, in cui la chiesa locale insegue autonomia politica, spesso assoggettandosi, ma anche opponendosi, al potere papale.

È Vincenzo Coronelli (1650-1718), il grande cosmografo veneziano e fertilissimo produttore di carte geografiche, topografie e immagini di città, a delineare graficamente l'antica Ravenna, fissandone per sempre i contorni iconografici. Nella sua Ravenna ricercata, il cui testo descrittivo si deve a Girolamo Fabri (1627-1679), viene data immediatezza di immagine alle classiche descrizioni della città: l'antica Ravenna fondata sulle isole, la città dei tre siti (Classe, Cesarea e Ravenna), le memorie romane e tardoimperiali. All'interno i monumenti più famosi, spesso riprodotti sulla scorta di descrizioni erudite perché non più visibili, fra i quali i palazzi e le opere ammirate da Carlo Magno: la basilica di San Vitale modello per la sua cappella ad Aquisgrana, il palazzo di Teoderico, le sue statue equestri, le vestigia della romanità, come il tempio di Ercole con la statua dell'Ercole Orario.

Accanto alle originali memorie librarie e grafiche della Biblioteca Classense e ai documenti si proiettano le immagini delle figure imperiali tratte dai capolavori miniati della produzione libraria del restaurato Sacro Romano Impero, conservati nelle biblioteche dell'Europa centrale: dall'Archivio comunale di Wolfenbüttel quello che è stato definito il più bel documento occidentale, il contratto di matrimonio fra la bizantina Teofano e Ottone II, ascritto, fra le varie ipotesi attributive, alla mano di un grandissimo artista, il Maestro del Registrum Gregorii, grande interprete di antichi modelli stilistici: in mostra viene proposto nella pagina del Registrum conservato alla Biblioteca di Treviri, raffigurante san Gregorio Magno ispirato dallo Spirito Santo sotto forma di colomba.

Dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco arriva l'immagine di Ottone III in trono affiancato da dignitari della corte, contenuta nell'Evangeliario a lui intitolato. Dalla Biblioteca Passerini Landi di Piacenza il Salterio purpureo detto di Angilberga, moglie dell'imperatore Ludovico II, contrassegna egregiamente il richiamo stilistico alla classicità, che fu tratto culturale distintivo della rinascita carolingia.

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