Rivista "IBC" XXII, 2014, 3

Dossier: Imperiituro - Renovatio Imperii. Ravenna nell'Europa ottoniana

musei e beni culturali, dossier / progetti e realizzazioni

L'impero di Carlo Magno

Carlo Bertelli
[professore emerito di Storia dell'arte]

La conquista longobarda di Ravenna, nel 750, cambiò profondamente la storia europea. Isolata nell'Italia longobarda, Ravenna era stata un lembo dell'impero romano, poi bizantino, senza subire i traumi delle altre città della penisola. Il passato romano, che anche i sovrani goti e poi gli esarchi bizantini avevano conservato, era sopravvissuto intatto e ora offriva ai nuovi conquistatori i suoi tesori. Il re Astolfo promise che avrebbe ricostruito, a Classe, la basilica Portiana, danneggiata da un terremoto, ma il suo successore Desiderio prelevò i capitelli e le colonne di un'intera basilica, per costruire a Brescia una grande chiesa di tipo ravennate. Carlo Magno ebbe dal papa, cui dopo la sconfitta dei Longobardi la città apparteneva, il permesso di esportare bronzi e marmi da Ravenna per la sua capitale di Aquisgrana.

L'ambizione di Carlo Magno era senza precedenti. Voleva emulare Costantino e fondare un nuovo impero cristiano. Doveva dunque scegliere modelli cercandoli in quanto era sopravvissuto del mondo antico. Chiamò il palazzo del re, ad Aquisgrana, Laterano, come il palazzo che Costantino aveva donato al papa Silvestro e vi trasferì, da Ravenna, il monumento equestre di Teoderico, facendone un monumento in suo onore, costruì la chiesa a pianta centrale che ospitava la reliquia della cappa di san Martino (da cui il nome di "cappella"), e prese a modello per la nuova costruzione San Vitale di Ravenna. Vi fece collocare un sarcofago romano scolpito con il mito di Proserpina destinato alla propria tomba. Al di là della potenza militare, il programma del regno era una profonda rivoluzione culturale, che prese il nome di rinnovamento, renovatio. Il rinnovamento richiedeva la revisione dei testi sacri, e dunque il possesso sicuro della lingua latina, che si emendava al confronto con gli autori antichi, e il ritorno all'arte e alla cultura antiche. Carlo non poteva contare sui soli Franchi, doveva reclutare i maggiori ingegni del suo dominio nella grande impresa di unificazione religiosa e culturale del regno, dopo essere stato spietato con i Sassoni, ancora pagani. L'unificazione culturale richiedeva la produzione di libri e un sistema unico di alfabeto. Gli alfabeti in uso presso i popoli dell'impero erano infatti diversi. L'alfabeto longobardo, per esempio, era quasi incomprensibile agli stessi romani. L'anglosassone Alcuino, partendo dall'esperienza delle comunità monastiche delle Isole Britanniche, creò un alfabeto nuovo, di grande chiarezza, di rapida esecuzione, che occupava meno spazio nella pagina delle altre scritture. La scrittura con cui sono battute queste stesse righe era molto simile a quella di Alcuino.

Il rinnovamento carolingio si confrontava con quello che era ancora, apparentemente senza interruzioni, l'impero romano, che oggi noi definiamo "bizantino". A Costantinopoli aveva preso il sopravvento la dottrina che condannava il culto delle immagini. I suoi argomenti erano del tutto razionali, come sempre appaiono i discorsi dei fanatici. Anche i teologi carolingi ne furono in un primo tempo tentati, ma prevalse la tesi romana a favore delle immagini. Così quanto si era salvato delle testimonianze della pittura e della scultura antiche fu salvato e al passato classico fu riconosciuto un alto valore spirituale. Si confermavano così le tendenze già in atto nel mondo anglosassone e in quello longobardo verso il recupero della forma antica.

Non molto è sopravvissuto della pittura monumentale carolingia, ma le testimonianze della miniatura ci permettono di ricostruire due fasi. La prima, testimoniata dal vangelo scritto dal franco Godescalco, dimostra che i modelli usati furono ispirati alla tradizione ravennate. In seguito sopravvennero altri maestri dall'Italia, portatori di quello stile narrativo e vivace, fortemente bizantino, che conosciamo negli affreschi di San Salvatore a Brescia e nel Tempietto Longobardo di Cividale. Da Ravenna giunsero allora codici illustrati del VI secolo che servirono come modelli. Per esempio da un salterio copiosamente illustrato derivò un codice scritto e miniato in un centro vicino a Parigi, oggi a Stoccarda. L'influenza di Ravenna fu determinante anche perché il mondo anglosassone già nel VII secolo aveva conosciuto i codici prodotti a Squillace, in Calabria, dal dotto ministro di Teoderico, Cassiodoro, che vi si era ritirato dopo la caduta del regno goto. Grazie all'opera, soprattutto, di Cassiodoro, altri testi scientifici furono conosciuti e diffusi, testi di botanica, astronomia, medicina, architettura (Vitruvio). Fu proprio l'architettura che fu considerata come l'affermazione di un rinnovamento del passato romano. Il portale di accesso all'abbazia di Lorsch fu ispirato agli archi trionfali di Roma, le transenne di bronzo della cappella di Aquisgrana rielaborarono schemi geometrici paragonabili alle transenne di Ravenna, ma anche furono fuse con rilievi di tralci d'acanto che sembrano anticipare il rinascimento fiorentino.

Se il ricorso ai modelli antichi fu importante per stabilire la distanza dal recente passato barbarico, altre forme architettoniche furono nuove creazioni, come la cripta sotto l'altare, che aveva un precedente nella ristrutturazione di San Pietro compiuta sotto il papa Gregorio Magno nel VII secolo, o, nella parte occidentale della chiesa, la costruzione a due piani, detta Westwerk, che con un arco si affaccia dall'alto sulla navata. Aveva sicuramente funzioni cerimoniali ed è interessante constatare che la sua adozione coincide con l'introduzione dell'organo, lo strumento che avrebbe rivoluzionato la musica e, con la musica, la vita delle comunità.

Se Roma era l'ispiratrice della renovatio, la città stessa vi prendeva parte. La basilica di Santa Prassede riprese, in forme ridotte, la pianta di San Pietro, mentre spoglie di monumenti romani furono inserite nelle nuove basiliche dei Santi Quattro Coronati e di San Martino ai Monti. A Roma non era mai venuta meno l'arte del mosaico e ne furono eseguiti non solo nelle absidi delle basiliche, ma anche nel salone per ricevimenti che il papa Leone III eresse nel palazzo del Laterano. Il consolidamento e la diffusione dell'ordine benedettino fu la spina dorsale della riforma liturgica e del libro e fu con i benedettini che si formò una rete di scambi culturali e artistici che investirono tutta l'Europa, dall'Irlanda alle Alpi, dove è appunto una chiesa benedettina, San Giovanni di Mustair, al confine tra il Tirolo e i Grigioni, che ci ha tramandato il più vasto ciclo di affreschi delle vite di David e di Gesù.

Ravenna aveva resistito alla distruzione delle immagini praticata nell'impero bizantino tra l'VIII e il IX secolo e poté dunque offrire esempi di arte figurativa non inferiori a quelli della Roma cristiana. La cattedra d'avorio dell'arcivescovo Massimiano poté suggerire il trono d'avorio creato per un successore di Carlo Magno, Carlo il Calvo, oggi custodito in San Pietro entro una presentazione monumentale di Gian Lorenzo Bernini.

L'arte carolingia fu essenzialmente aristocratica. Fiorì nelle grandi abbazie e nei grandi vescovadi, cui erano affidate responsabilità di governo e che partecipavano all'elezione del sovrano. Era un'arte che si basava sulla scrittura in un'epoca in cui la stragrande maggioranza della popolazione era analfabeta. L'impegno maggiore era nell'esaltazione dei santi attraverso reliquari preziosi, altari d'oro. Appunto un altare d'oro, che è insieme custodia dei corpi di sant'Ambrogio e due martiri, è l'altare della basilica milanese di Sant'Ambrogio. I suoi smalti in alveoli d'oro, i rilievi dei fianchi e della fronte ne fanno un eccezionale monumento, dove i rilievi sbalzati nell'oro o nell'argento presentano due stili diversi, quello della fronte, con le storie di Cristo, vicino all'espressività degli affreschi di Brescia, mentre le storie di sant'Ambrogio e le immagini dei vescovi hanno una lenta solennità che più le avvicina agli affreschi di Mustair.

Già durante il regno di Carlo Magno vi erano state importanti mutazioni di stile e altre seguirono man mano che riprendeva l'influenza bizantina. Si ebbe così lo stile di Reims, quello detto franco-insulare, quello dell'abbazia di San Gallo. In Lombardia furono prodotti codici con miniature che ricordano fortemente esempi della tarda antichità, ma ripresi con nuovi intenti monumentali e decorativi. A chilometri di distanza, ma attraverso i corridoi imperscrutabili della rete monastica, sorsero, a Vercelli come a Corbie, le prime iniziali figurate che inserivano un intero racconto dentro l'astratta figura della lettera. Così, partita con l'intento di rinnovare il passato antico, l'arte carolingia non sboccava nel neoclassico e affrontava la straordinaria avventura dell'arte medievale.

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