Rivista "IBC" XXII, 2014, 2
Dossier: Storia dal "quotidiano"
musei e beni culturali, dossier /
Acqua, olio... tutto a posto. Il motel? Più avanti, signore, c'è scritto... Frasi d'uso, in una stazione di servizio. Se ci portiamo indietro nel tempo, per lo meno sino all'avvento dei motori, già dal tempo dei romani al vetturino, in una stazione di posta, si indicava dove abbeverare i cavalli, o addirittura dove cambiare cavalcatura, e quanto meno dove trovare una mangiatoia colma di fieno. Acqua, fieno e vino e cibo per i viaggiatori, scesi di carrozza per una sosta, o addirittura per passare la notte alla locanda.
"Dove si cambia cavallo. Luoghi di sosta lungo la Flaminia e le vie dei Romani" s'intitola la mostra archeologica che oggi si inaugura a Cattolica, presso il Centro culturale polivalente e nella Galleria comunale Santa Croce (la organizza il Centro stesso, con la collaborazione dell'Istituto per i beni culturali dell'Emilia-Romagna). Nella cittadina adriatica, lungo la via Flaminia (cui è dedicata una sezione documentaria dell'esposizione) è venuta in luce infatti una mansio romana: così si chiamavano le stazioni di servizio, gli autogrill, quando erano fornite anche di motel, cioè di un edificio con stanzette per passare la notte: soli, oppure (meglio, s'intende) in deliziosa compagnia. Talvolta, per definire questi luoghi lungo le strade romane, si impiegava il termine mutatio, che fa riferimento al cambio delle pariglie, o semplicemente si indicavano quei luoghi con il nome di statio, una tappa. Quanto meno vi si beveva un bicchiere e si biascicava una focaccia: nei casi migliori ci si poteva lavare, se il bagno era confortevole lo si definiva more urbico, proprio come in città. Tutto questo si poteva leggere sulle targhe esposte fuori della locanda: questa portava nomi comuni, per esempio il "Còmpito" che era il nome latino per indicare un crocevia, oppure richiamava aspetti del paesaggio, come la stazione di Saxa Rubra alle porte di Roma, proprio dove sono ora gli edifici della TV; o invece prendeva nome dall'insegna dipinta sulla targa. Si trovavano quindi locande intitolate "all'elefante" o invece "all'aquila", proprio come capita ancora nei paesi alpini.
A Cattolica lo scavo della mansio ha portato in luce materiali umili, come terrecotte di servizio e brandelli di affreschi. La mostra presenta confronti con altri luoghi di tappa recuperati nella regione, in Etruria e persino nella valle d'Aosta. La documentazione esposta illustra anche la cartografia da viaggio: spesso capitava che un tragitto fosse descritto su una tavoletta d'argilla da tenere tra le mani per seguire il paesaggio, o addirittura su un bicchiere d'argento, come un souvenir acquistato presso fonti termali famose (usava, per esempio, alle Acque d'Apollo di Vicarello, presso il lago di Bracciano). Inoltre la mostra illustra i carri, da trasporto e da viaggio: tra questi la carruca dormitoria, un autentico vagone letto.
Viaggiare era sempre rischioso: i lupi sui monti, i briganti un poco ovunque stavano in agguato. Si sa che al Furlo, al tempo dell'imperatore Filippo l'Arabo, per sgominare i ladroni, si chiamò un reparto di "marines", i classiari romanzi di stanza a Ravenna. Nelle locande poi si aveva a che fare con osti e sguatteri spesso imbroglioni, con ragazze di comodo che se la filavano con la scarsella dell'ospite malcapitato.
C'è un antico documento, un'iscrizione romana di Isernia, che riferisce il conto di un viaggiatore: la ragazza gli era costata come tutto il resto, vino e fieno compresi. Non tutti i viaggi meritavano il circostanziato racconto che ne fece Orazio, quando si mosse, con compagni illustri, da Roma a Brindisi: un testo famoso, che ci porta agli anni tra la fine di Cesare e il trionfo di Augusto. Anche allora, lungo le vie dei romani, ogni dieci o quindici miglia si trovava un mansio, cioè una tappa, e dopo alcune tappe si cambiava cavallo.
[articolo di Giancarlo Susini; "il Resto del Carlino", 21 dicembre 1995]
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