Rivista "IBC" XXII, 2014, 2
Dossier: Storia dal "quotidiano"
musei e beni culturali, dossier /
BOLOGNA - Sto sognando: passavo per una via del mercato, a Rimini, qualcosa per terra mi ha fatto sdrucciolare. Ho male dappertutto, soprattutto al ginocchio sinistro. Mi rialzo, so dove sta il medico: entro in una bellissima casa, con splendido pavimento in mosaico. Ne conosco tante altre nelle città della mia regione, l'Emilia-Romagna, anzi l'Aemilia, per dirla come la si nominava al tempo lontano in cui mi pare di vivere, quasi 18 secoli fa, alla metà del III secolo della nostra era. Zoppicando, raggiungo la stanza del medico: strumenti chirurgici in ferro e in bronzo, in questo metallo è scolpita anche una mano dalle dita tese e con il pollice allargato: la riconosco, è una mano votiva, una preghiera agli dei che di questi tempi vengono quasi tutti dall'Oriente. Per esempio, si venera così Giove Dolicheno, signore di Siria: le divinità orientali, nella stagione più avanzata dell'età imperiale romana, sono conosciute soprattutto là dove approdano i mercanti e i marinai dal Levante, a Rimini, a Ravenna e nell'interno, per esempio a Sarsina: è un prodomo della diversità della parte orientale della regione, la Romagna, rispetto all'Emilia. Guardo meglio: sul tavolo del dottore ci sono anche vasetti per erbe guaritrici, come il camedrio e l'abrotano; vengono da lontano, i loro nomi sono graffiti in greco, con qualche abbreviazione latina.
Mi sveglio: no, non sono dal dottore ma davanti a una tra le meravigliose vetrine della mostra "Aemilia. La cultura romana in Emilia-Romagna dal III secolo avanti Cristo all'età costantiniana", or ora aperta alla Pinacoteca nazionale di Bologna. La mostra presenta tanti monumenti dai musei della regione, tante nuove scoperte, proprio come la riminese Casa del chirurgo, di cui si è appena detto. Sei e più secoli di storia, quando la regione, che nell'ordinamento ufficiale antico portava un numero d'ordine (la regione VIII), prese a poco a poco a definirsi con il nome della grande via, l'Emilia, che nel 187 avanti Cristo il console Marco Emilio Lepido aveva tracciato da Rimini - la più antica tra le città romane del nord, fondata nel 268 avanti Cristo - a Piacenza, il grande scalo sul Po, e proseguendo così il tracciato della via Flaminia che prima della guerra annibalica aveva congiunto l'Urbe a Rimini.
Dalla via Emilia partivano altre strade verso il crinale appenninico e verso le zone umide della pianura, sulla stessa via si innestavano i grandi appoderamenti (le centuriazioni) che portarono a più riprese, dall'inizio del II secolo avanti Cristo, alle colonizzazioni augustee, a vere rivoluzioni ecologiche e del paesaggio e a una profonda trasformazione economica: la regione divenne, per esempio, una delle patrie della produzione fittile, dai laterizi al vasellame, con esportazioni in tutto il mondo.
È un miracolo poter ammirare da vicino gli oggetti e i monumenti conservati usualmente nei nostri musei: l'ordinamento segue i parametri istituzionali, quelli con i quali si descrive una civiltà: quindi anzitutto gli impianti urbani, con i loro servizi (terme, acquedotti, edifici per lo spettacolo e i ludi). Come in ogni civiltà antica i morti, cioè le necropoli, hanno il loro ruolo: dagli arredi che rivelano anche la sopravvivenza di contesti indigeni (celtici e liguri soprattutto) ai grandi monumenti di schema ellenistico e anatolico accompagnati dalla raffigurazione di animali mostruosi. Li conosciamo, a partire dall'età di Cesare, un po' ovunque ma soprattutto a Sarsina: sono il vanto di famiglie e clientele locali che possono valersi di architetti reclutati durante le fruttuose imprese dell'egemonia romana in Oriente.
La mostra spiega quindi la lunga stagione della storia in cui la regione entrò in un orizzonte culturale allora ecumenico: il suo paesaggio umano e il linguaggio artistico rivelano i canoni di una cultura universale. Dove molto è affidato alle scritture: tante si leggono sulle pietre dei monumenti, dei santuari, ove spesso antiche divinità locali sono interpretate con il nome di divinità olimpiche.
C'è qualcosa da sottolineare nella presentazione di questa grande mostra: essa è il frutto dell'impegno colto e tenace di una compagine davvero ammirevole, quella degli studiosi e degli operatori della Soprintendenza archeologica bolognese, guidati dalla titolare dell'ufficio, Mirella Marini Calvani. Nella vicenda complessa della cura e della conoscenza dei beni culturali l'impegno degli archeologi è degno del maggiore plauso.
[articolo di Giancarlo Susini; "il Resto del Carlino", 21 marzo 2000]
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