Rivista "IBC" XXII, 2014, 2

Dossier: Storia dal "quotidiano"

musei e beni culturali, dossier /

Anche gli etruschi andavano a Rimini

Giancarlo Susini
[storico e archeologo, già consigliere dell’IBC]

Più o meno tutte le città fanno rumore: anche la quieta Wiesbaden di Max Weber, trine e merletti, acque termali e passeggiate in carrozza, faceva più chiasso di una campagna aperta, aprica e solatìa di stampo leopardiano, carducciano, pascoliano. Anche i bimbi fanno chiasso, persino i musoni. Ergo, le città bambine fanno chiasso e rumore, e attirano così l'attenzione dei grandi.

Vien da pensarlo, riflettendo all'attenzione che la cultura scientifica - e l'opinione corrente, che sempre ne subisce il traino - porge da qualche tempo a un aspetto particolare della storia delle città: e mi limiterò, per motivi quasi professionali, alle città antiche. Che il tema della storia delle città, o meglio addirittura della città tout court come manifestazione altamente caratterizzante di un largo fascio delle civiltà umane, sia di per sé, e da lungo tempo, un tema affascinante e centrale della storia del pensiero, è ormai un luogo comune; più raro invece e quasi nuovo, sembra l'esame delle città (o della città) nelle loro manifestazioni embrionali, più propriamente degli insediamenti che precedettero la città vera e propria, degli agglomerati dei "punti démici" che costituirono e spesso costituiscono il feto di una città, oppure una creatura neonata ma prima del battesimo e/o della denuncia anagrafica, prima cioè di avere un nome ufficiale di città. Non è una storia di radici, come parrebbe, ma di virgulti, o di fresca lattuga di campo.

Vediamo quel che accade un poco ovunque: la cultura occidentale dedica molti sforzi a decifrare la consistenza e il carattere degli insediamenti italici, celtici, celtiberici, celtoillirici eccetera, che costituirono il preambolo delle città greche, fenicie, etrusche, romane, e di quei villaggi (quasi delle città) che non ebbero seguito nell'età delle colonie greche e del grandioso processo di urbanizzazione romana, ma che ci chiariscono appunto il "tipo" di insediamento delle culture prima dei romani; si citi anzitutto il caso oggi venuto famoso - anche per essere stato inserito dagli organi di programmazione dei beni culturali in un preciso piano di ricerca finalizzata - dell'abitato "etrusco" da poco identificato nel Mantovano.

Ma da noi c'è il caso di Rimini: l'analisi capillare di recente compiuta nell'immenso materiale protostorico e romano recuperato sia dal sottosuolo di Rimini sia dai villaggi sulle pendici del Covignano e verso i guadi sul Marecchia ha portato a individuare una presenza organizzata di gruppi umani sul sito della futura colonia latina (fondata come tale, cioè iscritta ufficialmente nel catalogo delle città con il nome di Ariminum nel 268 avanti Cristo) forse già nel V secolo ma sicuramente nel corso del IV, con strutture murarie, impianti produttivi (fornaci vascolari), aree di stoccaggio, almeno un secolo prima della sua "fondazione". A frequentare questa precittà erano i locali (celti, piceni, i cosiddetti umbri), e poi etruschi, falisci, sabini, campani, e infine latini e romani: tutti a portare le loro mercanzie sull'alto e medio Adriatico, a scambiarle, a cercare nuovi mercati, a intavolare accordi commerciali, di cui è testimonianza in certi sistemi monetali. Difficilmente la storiografia antica tramanda le vicende specifiche di tali precittà, proprio perché il processo di formazione e di identità è ancora in fieri: però molti dei nomi pur annotati da qualche geografo, come Strabone e Tolemeo, almeno per certe regioni centrali e meridionali della penisola, fanno riferimento (ma senza prova) a quegli insediamenti. Di solito la storiografia comincia a far storia specifica di città quando la città assume un nome ufficiale o vede riconosciuto o modificato il suo nome dall'amministrazione dominante (è il caso di Bologna) e quando il ceto dirigente cittadino è tanto cresciuto nella consapevolezza intellettuale e nella valenza politica del suo ruolo da curare una cronaca, e da inventare -magari con convinzione - una origine, un eroe fondatore (più o meno di stirpe divina), una data e un atto di nascita (ecco, il vomere di bronzo affonda per la prima volta nella terra a tracciare il solco che circoscrive, delimita, organizza la città).

Perché, la storia del IV e del III secolo avanti Cristo (e potremmo scendere sino ai primi decenni del II, per esempio alla data canonica e precisa della fondazione della colonia latina di Bologna, nel 189 avanti Cristo) è abbastanza delucidata e compresa nelle sue linee generali: i giuochi di potere a Roma e nelle città dell'Etruria e della Magna Grecia; le consorterie, i ceti, le famiglie nella complessa dinamica degli interessi economici e delle lotte sociali; quando poi si giunge alla guerra annibalica le situazioni generali determinatesi in Italia (ma anche in Spagna, in Africa, in Macedonia) sono state indagate in profondità e vengono descritte dalla dottrina con soddisfacenti risultati. Diverso è invece il caso della storia (qualcuno la intende per microstoria) delle entità tribali, cantonali e preurbane, che vivono con soluzioni nuove e spesso mutabili - quasi magmatiche - la rottura degli equilibri economici e culturali, e quindi politici, raggiunti nei secoli precedenti, dal VI al IV. Per la Romagna, è esemplare al riguardo proprio la mostra protostorica a suo tempo tenuta a Imola e di prossima apertura a Bologna, in coincidenza con un importante convegno di ottobre (su cui si dovrà tornare).

Tra il IV e il III secolo avanti Cristo (e - richiamo - sino ai primi passi del II) si vanno ora sceverando le manifestazioni preurbane del popolamento celtico, in presenza di non lontani modelli urbani etruschi (e con magistero greco? Non si finirà di discuterne, se di mediazione spinetica, mediterranea o transalpina), con l'occhio attento a quanto accade nei bacini culturali vicini (il Veneto, il Piceno), e ormai già con l'intervento di Roma, per esempio appunto a Rimini con il primo impianto regolare della colonia latina del 268 avanti Cristo. In più esiste per gli abitati "indigeni" la difficoltà, spesso di decrittare la fisionomia etnoculturale, quindi politica, di un insediamento, di un cantone, di una tribù, dall'analisi della cultura materiale: quando si pensi che accanto ad alcuni oggetti tipici (le solite fibule, ma anche gli elmi e altre parti della panoplia) e a connotazioni tecnologiche e rituali di indubbia attribuzione si riscontrano produzioni economiche di ampio mercato (molte delle armi, per esempio; celti che combattono con armi greche o etrusche come oggi si combatte in Medio Oriente indifferentemente con armi americane su più fronti contrapposti).

La ricerca di questo genere esige un'accuratezza di riscontri e una cautela di esegesi quale il pubblico il più delle volte non immagina: ecco perché è davvero ammirevole lo scavo del villaggio preurbano di Monte Bibele, nella media valle dell'Idice a mezzogiorno di Monterenzio, condotta dall'équipe archeologica di Daniele Vitali, non lungi dal percorso della pista d'altura che la scuola di Nereo Alfieri ha riconosciuto come l'arteria poi attrezzata dai romani del 187 avanti Cristo (la cosiddetta seconda Flaminia). Lassù un villaggio provvisto di un impianto organico e con un'attigua necropoli - che fornisce i risultati più eloquenti - è stato abitato da popolazioni galliche ma forse con sopravvivenze e commistioni di altre culture (etrusche?) sino agli inizi del II secolo avanti Cristo, per poi soccombere, sembra, a seguito di occupazioni militari, certamente quindi per l'azione dei romani che in quegli anni, debellato Annibale, provvedevano all'assoggettamento razionale di tutto il Nord. Ma solo l'analisi paziente dello scavo e dei materiali consentirà di formulare diagnosi apprezzabili.

Uno scavo come quello di Monte Bibele (e altri: cito il ritrovamento di mura romane del III-II secolo avanti Cristo a Ravenna) apre una prospettiva del tutto nuova, per i più inaspettata: consente cioè di rileggere corposamente i testi degli antichi scrittori, soprattutto di Tito Livio, che danno notizie di movimenti militari, di acquartieramenti, di antichi insediamenti poi spazzati via, scomparsi o rinnovati, e che ora tramite l'archeologia divengono realtà verificabili. È tutta una miniera di dati che riprende vita a seguito di queste rivisitazioni archeologiche dei testi degli scrittori dell'antichità: basti pensare ai racconti liviani delle operazioni contro i galli proprio degli inizi del II secolo avanti Cristo, che hanno come teatro la sinora fantomatica selva Litana o diversi castra come il Mutilum (che mi parrebbe proprio da collocare a Modigliana): e poi, grosse novità si preparano, su questa via, cucinate dagli storici bolognesi per Modena e per Bologna, la Bologna ante litteram di prima della colonia del 189 avanti Cristo.

Per di più, proprio poiché gli antichi scrittori, pur occupandosi di queste vicende lo fanno quasi sempre di scorcio, ecco che la scoperta archeologica consentirà di comprendere meglio gli interessi e le stesse fonti degli scrittori.

Quindi, città e precittà; ci sarà, pare nel 1985, una delle grandi Biennali bolognesi dedicate a questo tema: se ne dovrà parlare.


[articolo di Giancarlo Susini; "il Resto del Carlino", 25 agosto 1982]



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