Rivista "IBC" XXI, 2013, 2
musei e beni culturali / immagini, mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
Nel novembre del 2011, a Parigi, visitando al Grand Palais "Paris Photo", e trovandoci di fronte alle foto di Nino Migliori, ci si chiedeva con altri amici quando la sua città, Bologna, avrebbe trovato modo di dedicare a questo straordinario, e suberante artista, di fama internazionale, una mostra che desse spazio a tutta la storia di un fotografo che, con solare curiosità, continua a sperimentare, a contaminare, a mischiare sogni e paure, a reinventare oggetti.
Arrivò poco dopo la mostra alla "Fondazione Forma" a Milano, la prima grande retrospettiva dedicata a Migliori. E nell'inverno del 2013 ci ha pensato "Genus Bononiae. Musei nella città" a regalare ai suoi concittadini e a un folto, entusiasta p ubblico, tutt'altro che locale, negli spazi attentamente predisposti a Palazzo Fava, un evento espositivo davvero complesso, labirintico, non esaustivo. Ma in grado di offrire, attraverso la selezione delle opere mirabilmente condotta, un tentativo, u n filo di Arianna che avvicinasse il più possibile ai molteplici guizzi della sua creatività.
Pensato e curato in ogni dettaglio, il percorso parte dalla fine degli anni Quaranta per giungere all'oggi. Più di trececento opere, nove installazioni, un documentario realizzato senza compiacimenti, ma come narrazione puntuale. Come pure pien amente efficaci è stata la serie di incontri dedicati alla fotografia, proposti settimanalmente nel corso dell'esposizione.
Ma, nel frattempo, Migliori ha già realizzato sia a Bologna, sia altrove, nuove mostre, nuove opere. Febbrile ed energico, carico di vitalità e di approcci diversi con la materia, con il paesaggio, con la realtà. Esce dagli schemi, deciso a non annoiarsi, a catturare l'occhio del pubblico e a scatenare sensazioni e riflessioni. Coerente con la frase del Mahatma Gandhi che si legge aprendo l'ottimo catalogo ("La vita non è che una serie incessante di esperimenti") e che accompagna l'esposizi one, dal titolo "La materia dei sogni", di per sé indicativo del rapporto che l'artista ha con la fotografia.1
Migliori non andrebbe presentato con parole e con articoli. Andrebbero guardate le sue immagini, la sperimentazione e la capacità di intervenire sulle foto, di materializzarle. Ma la più proficua opportunità per comprendere i percorsi mentali, la profondità e il rigore del suo lavoro, a cui non manca mai il desiderio di giocare e inventare, è incontrare lui. Ci si stupisce di fronte alla freschezza, al sorriso di una persona che ha varcato gli ottanta, già da qualche anno, e che ti accoglie ne gli spazi luminosi del suo studio, felice di raccontarti non il passato, non malinconiche riflessioni o acidi disappunti, bensì l'ultima idea a cui sta lavorando e i progetti per i prossimi anni.
Invece di mostrarti un freddo rendering al computer, ti svela la maquette con la miniatura del percorso espositivo che sta realizzando, nello specifico quello della mostra in Palazzo Fava, attorniato dalle due uniche, insostit uibili, infaticabili e straordinarie collaboratrici: sua moglie Marina e Antonella che, sempre nel catalogo, alla voce "ringraziamenti", sono citate come "le streghette che condividono i miei sogni". Osserva la tua reazione quando ti propone il reimpi ego di una bottiglietta di plastica vuota che ricorda una figura umana inginocchiata; ne capirai a pieno la finalità solo quando, visitando la mostra, resterai inchiodato di fronte all'installazione intitolata Orantes, una composizione in bil ico tra esigenza di assoluta spiritualità e un inquietante atteggiamento di totale sottomissione: un messaggio multiplo.
Sorbendo una tazza di caffè accompagnata da biscotti al cioccolato e zenzero, davvero sublimi, con Nino si conversa di viaggi, di incontri, di fatiche divertenti, di lavori da consegnare, che propone in anteprima ai suoi ospiti raccontando i pa rticolari di una scelta, il modo tutto suo di modificare, di intuire, ancor prima di fotografare, oggetti e materiali che dialogheranno con altre immagini, con altri suoni; che avranno una seconda vita attraverso la sua sensibilità creativa.
Nella tranquillità animata dello studio, sotto le travi degli alti soffitti, tra ripiani che accolgono contenitori e cataloghi, non si respira un clima di memoria, ma di officina, di lavoro continuo.
Le "stagioni" della fotografia di Nino Migliori sono tante e tutte costruite su una assoluta indipendenza e autonomia, anche perché la passione e il suo talento dovevano esprimersi compatibilmente con un'attività lavorativa, con l'esigenza di mant enere una famiglia.
I suoi primi interessi sono focalizzati sulla sua terra, l'Emilia, sull'Italia del Sud, sui luoghi e le persone di un dopoguerra che ha voglia di costruire, che è carico di progetti e speranze; la sua fortuna, come quella di tanti suoi coetanei , è la straordinaria ricchezza di fermenti che gli anni Cinquanta propongono, sono le sollecitazioni che una mente fertile può ricevere ed elaborare.
Migliori lavora e fotografa. Memoria e nuove alchimie si intrecciano presto nel suo percorso, con una forte attenzione per la contemporaneità, per la storia dell'arte, per i segni del quotidiano, per i linguaggi. Si pensi alla serie di fotograf ie dedicate ai Muri: un racconto della realtà, delle insofferenze, delle piccole grandi aspirazioni, urlate, incise in un graffio, rappresentate in un ingenuo o goffo disegno. Un percorso che precede di molto l'attenzione e gli studi che Fran cesca Alinovi, ricercatrice dell'ateneo bolognese, avrebbe dedicato, nei primi anni Ottanta, a quello che si definisce "graffitismo", fenomeno nato in America alla metà del Novecento, ormai sviscerato in tutti i suoi risvolti sociali e culturali. Ma a llora le stratificazioni e i fermenti che quei muri comunicavano, e su cui il fotografo ritornerà negli anni Settanta, costituiscono un modo differente di affrontare la città, il paesaggio urbano. Come sostiene Arturo Carlo Quintavalle, "è certamente un procedimento informale e Migliori veramente dovrebbe essere situato tra i primi che hanno operato nell'ambito dell'informale in Italia".
Sono anche gli anni degli Idrogrammi, come pure il tempo nel quale instaura un costante dialogo con i personaggi del mondo della cultura, con artisti italiani e stranieri. Frequentazioni importanti, che muovono dalla richiesta di fotog rafare il personaggio, il suo studio ma, come ha raccontato lo stesso Migliori a Michele Smargiassi nella rivelante intervista che fa da preambolo al catalogo, "in realtà sbirciavo, carpivo, volevo capire cosa facevano, come si esprimevano, che tipi e rano, se erano autentici, alcuni li ho ingigantiti altri cancellati, perché vivendo con loro capivi chi era l'opportunista, lo sgomitatore, il poeta, il disinteressato, il perfezionista che non si curava di vendere...".
Indubbiamente, incrociare e stabilire contatti con Peggy Guggenheim, scoprire artisti come Pollock, apriva nuove prospettive! Straordinario ragazzo, il nostro, che sente affinità con questa avanguardia, e prova a sperimentarla nella camera oscu ra. Continua a fotografare il suo mondo, ma usa acidi, realizza le ossidazioni, i pirogrammi e molti altri esperimenti inediti.
Dopo tante interviste e tanti articoli, queste righe non vogliono certo raccontare né la mostra, né il catalogo, che davvero costituisce una lettura assai lucida e mai difficile dell'opera di Migliori; è piuttosto un modo per rendere omaggio a un amico che con noi ha generosamente collaborato anche in tempi recenti: è stato lui ad aprire lo scorso autunno gli incontri di Villa Franceschi a Riccione, in cui fotografi di grande fama si confrontavano con giovani, ma già sperimentati colleghi.2
Forse è anche un modo per manifestare le preferenze di chi scrive rispetto al suo universo di luce, al suo modo di usare e ricreare la fotografia, senza mai svuotare, ma piuttosto aggiungendo all'immagine un valore, una sollecitazione. Si pensi ai suoi paesaggi, così intrisi di reminiscenze morandiane, eppure rimpastati sull'epidermide delle sue foto. Come non apprezzare l'omaggio ai Carracci o la sua via Emilia bifronte?
Ed è ancora l'amore per la fotografia che lo porta a creare collages con gli scarti fotografici, che lo entusiasmano come possibilità di memoria, di reimpiego, quasi un modo alternativo di proporre frammenti di vita, mosaici in cui inv entare nuove storie e ridare dignità a un gesto mai casuale, mai fine a sé stesso: scattare una foto.
Migliori è persona in costante viaggio, cittadino di luoghi diversi, seppure profondamente emiliano, o meglio italiano. Le sue immagini di città del nostro paese, come gli scatti di New York, che sembrano attingere alle tele di Hopper, mostrano approcci mai scontati. Altrettanto pungenti e ironiche, tornando sulle installazioni, le serie di Herbarium o di Frutta e verdura, una riflessione sul degrado della natura, sulla violenza che si adombra nel cellophane come nel vetro che mummifica e "snatura" la vita.
Ma se poi dovessi scegliere una sola immagine, la sintesi del lavoro di questo straordinario personaggio, c'è una foto che mi sembra la sintesi perfetta del rapporto di questo maestro con la fotografia, una immagine che contiene passato e futur o mentre contempla l'attimo, quel millesimo di secondo sospeso, fermo e già diverso: è Il tuffatore. Una straordinaria reminiscenza classica, un messaggio di solare potenza, un lanciarsi nella scommessa di un futuro, di un sogno.
Note
(1) N. Migliori, La materia dei sogni, Milano, Contrasto, 2013.
(2) Si vedano i video del dialogo tra Nino Migliori e Matteo Sauli, svoltosi il 18 novembre 2012: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/multimedia/video/nino-migliori-e-matteo-sauli /dialogo-fra-nino-migliori-e-matteo-sauli-18-11-2012/.
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