Rivista "IBC" XIX, 2011, 4
musei e beni culturali / pubblicazioni, storie e personaggi
Urbino, 5 febbraio 1975. Durante la notte, favorito da un velo di nebbia, qualcuno si arrampica sui mattoni sconnessi del Palazzo Ducale. Ne uscirà portando con sé tre opere d'arte immensa, tanto che l'indomani, per semplificare, i cronisti le definiranno "inestimabili". Sono due celebri tavole di Piero della Francesca, la Madonna di Senigallia e la Flagellazione di Cristo, e una di Raffaello, il Ritratto di Giovanna Feltria detta anche La Muta. Le vicende che portarono al loro travagliato recupero, avvenuto nel marzo del '76 a Locarno, sono state riassunte l'anno scorso da un reportage della televisione svizzera (la1.rsi.ch/it/home/networks/la1/svizzeraedintorniarchivio/2010/02/24/svizzeraedintorni10.html), ma nessuno ancora le aveva raccontate in forma di romanzo. Ci ha pensato Massimo Pulini, pittore, storico dell'arte e docente all'Accademia di belle arti di Bologna, che ha intessuto una trama mozzafiato avendo il coraggio di fare due scelte fondamentali, tutte a favore dei lettori. Niente gialli o noir alla moda, con il solito detective più o meno alienato, sullo sfondo di improbabili intrighi internazionali. Meglio, molto meglio, partire dalla propria esperienza personale.
Tutto ha inizio, quindi, dalla ricerca di un frammento staccato - chissà quando, chissà da chi - da una tela di Federico Barocci che si trova tuttora nel Duomo di Urbino. Una ricerca appassionata, che Pulini conduce in proprio, come ha fatto altre volte, affascinato dalla possibilità di ricomporre l'unità di opere sezionate, per ragioni di lucro, da persone prive di scrupoli. Un giorno, facendo domande nell'ambiente degli antiquari e collezionisti, si imbatte nella strana vicenda dei tre "inestimabili", e vi si immerge con la consueta passione. È la storia di un ladro solitario, che ruba tre capolavori per onorare una scommessa da bar e poi li perde in una mano di carte. Chi era a quel tavolo di gioco, e li ha ricevuti in pegno, proverà poi a venderli nel modo più ingenuo, contattando un noto antiquario. Il resto va letto nel libro, per non rovinare il mistero e l'elemento comico, a tratti farsesco, di una tipica vicenda all'italiana, che anche quando finisce bene ti lascia l'amaro e insieme il sollievo che "per fortuna è andata così". Basti dire che le opere furono recuperate integre e la "banda degli onesti" tratta in arresto.
In effetti, ripensando alla sentenza che nel 1977 fece seguito al processo, non si può fare a meno di sorridere. Due anni e quattro mesi ai ricettatori, che grazie alla condizionale restarono in libertà. Tre anni e sei mesi per l'intermediario di Locarno. Stessa pena per l'autore del furto, che però era già in carcere per una condanna più pesante. Cosa aveva rubato? Niente meno che un camion carico di gomme usate. Ma, alla fine, il personaggio più simpatico è proprio lui, il ladro. Anche l'autore del libro sembra interessarsi umanamente a questa figura, tanto da riservargli più volte, dall'inizio alla fine della parabola, l'onore della scena. Può essere utile, allora, chiedersi da cosa nasca questo interesse.
Pulini racconta che una notte, durante le sue ricerche sul furto, ha fatto un sogno in cui si immedesimava nel ladro e, pur provando vergogna, si dedicava a osservare ogni dettaglio delle sale di Palazzo Ducale, come se lui stesso dovesse preparare il colpo. Qualcosa di sovversivo, nell'attività dello storico dell'arte, a dirla tutta c'è: nel suo ambiente, dichiara l'autore, "chi tenta di mettere in dubbio uno di quei pochi elementi oggettivi che costellano il cielo delle opinioni consolidate va a cercare rogne". Altrove Pulini ammette che anche le sue di studioso, come quelle del ladro di Urbino, sono scommesse velleitarie, e tuttavia la storia non avanzerebbe di un passo se non ci fosse mai qualcuno ad assumersi il rischio di infrangere le regole. Ma c'è di più, e qui si azzarda un'ipotesi decisamente romantica. Messe di fronte, davanti a uno specchio, l'immagine del ladro e quella dello storico si attraggono, e insieme si respingono: l'uno dimostra al mondo quanto sia preziosa un'opera d'arte sottraendola alla vista, l'altro riportandola alla luce. L'uno rubandola, l'altro raccontandola.
Scegliendo di ricostruire la vicenda attraverso un racconto, anziché un saggio, Pulini dimostra di preferire, alle dispute professorali, la vita vissuta dalle opere d'arte "in carne e ossa", disgrazie e disavventure comprese. "Là dove sta il pericolo, cresce / anche ciò che salva" scriveva Hölderlin nella sua poesia. Nessuno, men che meno l'autore di questo libro, si sognerebbe mai di elogiare un ladro di capolavori (nonostante che, in fondo, sia un tipo simpatico, di quelli con cui a carte ci si gioca volentieri). Eppure quei versi, tradotti nella prosa di ogni giorno, suonerebbero all'incirca così: fu solo dopo quel furto a lieto fine che a Palazzo Ducale, finalmente, migliorò la sorveglianza.
M. Pulini, Gli inestimabili. Quando Raffaello e Piero vennero rubati a Urbino, Forlì, CartaCanta Editore, 2011, 191 pagine, 13,50 euro.
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