Rivista "IBC" XIX, 2011, 4

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni

A Palazzo Farnese di Piacenza si può ammirare un prezioso ciclo liturgico ricomposto quasi per intero dopo secoli di diaspora: i corali benedettini dell'abbazia di San Sisto.
Capolavori miniati

Massimo Medica
[direttore del Museo civico medievale di Bologna]

Talvolta può accadere che alcuni episodi legati all'antica dispersione del nostro patrimonio artistico possano trovare, anche a due secoli di distanza, una loro felice quanto inaspettata conclusione. È quanto dimostra il caso dei corali quattrocenteschi dell'abbazia piacentina di San Sisto, esistente fin dal IX secolo come comunità femminile, poi trasformata nel 1129 in maschile. I corali sono stati al centro di un'intricata vicenda conservativa e collezionistica, che ne ha fortemente condizionato nel tempo l'integrità, favorendo la loro definitiva dispersione, a cui soltanto ora, grazie alla fattiva partecipazione di più istituzioni e alla lungimiranza di un noto bibliofilo e collezionista, si è riusciti a porre rimedio.1 Sia pure per la durata di una mostra, una parte cospicua dei preziosi corali piacentini, otto per l'esattezza, viene infatti restituita alla città di origine: dal 5 novembre 2011 al 27 febbraio 2012 possono essere ammirati presso la sede dei Musei civici di Palazzo Farnese.

Motivo scatenante di questa iniziativa è stato alcuni anni fa l'acquisto, da parte di un privato collezionista, di ben otto corali della serie che la Hispanic Society of America di New York aveva deciso di mettere in vendita presso la sede londinese di Christie's. Di fatto questo episodio veniva a costituire l'ultimo atto di una vicenda che aveva avuto il suo inizio proprio nel 1810, quando, a seguito della promulgazione del decreto di soppressione delle congregazioni religiose, i monaci benedettini dell'abbazia di San Sisto si erano visti costretti a spartirsi alcuni dei suoi beni, tra cui appunto i quattordici corali riccamente miniati, che sappiamo vennero trasferiti da don Benedetto Affaticati nel palazzo di famiglia, dove rimasero fin al 1864.

È quanto ricostruisce Silvia Davoli nel suo saggio pubblicato nel catalogo che accompagna l'esposizione,2 curata, come il volume, da Milvia Bollati. Venduti per 300 lire a un mercante milanese, veniamo a sapere che in seguito i corali entrarono a far parte della ricca collezione dell'avvocato Michele Cavaleri, ben presto trasformata in un vero e proprio museo e come tale offerto al Municipio di Milano, che inspiegabilmente lo rifiutò segnando di fatto la sorte anche dei nostri corali, venduti per 300.000 lire, insieme alla restante collezione, al banchiere di origine milanese Enrico Cernuschi, il quale la espose nel suo palazzo di Parigi.

Dei nostri corali, in parte venduti alla morte del Cernuschi ad altri collezionisti, si persero pertanto le tracce, benché prima della recente vendita londinese alcuni di essi fossero approdati in varie istituzioni pubbliche italiane e straniere: Walters Art Museum di Baltimore, University Library di Berkeley, Public Library di Boston, Museo civico "Amedeo Lia" di La Spezia. È stato però soltanto a seguito della pubblicazione degli inventari di primo Cinquecento della biblioteca del cenobio benedettino di Piacenza che è stato possibile accertare definitivamente l'originaria provenienza di questi codici, del resto attestata, come riferiscono Giacomo Baroffio ed Eun Ju Kim, anche dalle loro particolarità liturgiche e dal peculiare rilievo assegnato nel calendario alla festa del santo titolare, ovvero san Sisto.3

Nel citato inventario figurano infatti elencati, per la prima volta, tutti i quattordici corali, la cui realizzazione - ricorda Pier Luigi Mulas - dovette protrarsi per almeno 40 anni, tra il 1460 e il 1500, come conferma del resto anche l'impegnativa impresa decorativa, che vide coinvolti, in momenti diversi, almeno tre gruppi distinti di artisti, tutti accomunati da un'origine padana o lombarda.4 A iniziare da quell'anonima personalità, "ultimo ed elegante interprete della maniera gotica", che si suole convenzionalmente denominare Secondo Maestro dell'Antifonario M, per via del suo intervento in un corale del monastero benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia, prevalentemente miniato da Belbello da Pavia, ai cui modelli il miniatore si ispira in modo palese.

È quanto appare anche nell'Antifonario 3 della collezione "Lia", tra i primi della serie piacentina a essere stati decorati, insieme all'Antifonario 4 con il Proprio dei Santi di collezione privata (ora esposto in mostra) e all'altro Antifonario 5 alcuni anni fa passato sul mercato antiquario. Non è comunque escluso che la partecipazione del Secondo Maestro dell'Antifonario M alla serie di San Sisto, fissata da Mulas intorno al 1470-1475, fosse stata in qualche modo favorita dal suo precedente impegno per i benedettini di Venezia, anche se il suo intervento a Piacenza ce lo mostra ormai con un ruolo preminente, segno sicuramente di una raggiunta autonomia e quindi di una sua piena notorietà.

Difficile comunque stabilire quali dovettero essere i criteri e i tempi esatti con cui i committenti decisero di procedere nel lavoro di decorazione dei graduali e degli antifonari, probabilmente trascritti in uno stesso momento. Secondo la ricostruzione di Mulas, a pochi anni di distanza, tra il 1475 e il 1480, intervenne un secondo gruppo di miniatori lombardi, capeggiati da Bartolomeo Gossi da Gallarate e dall'allievo Francesco Castello, coadiuvati da altri collaboratori, tra cui quello che viene denominato Primo Maestro dei Corali di San Sisto.

Per quanto nei graduali esposti si possa riconoscere l'intervento di Bartolomeo Gossi soltanto nel Graduale 6, si può ugualmente pensare che il suo ruolo in questa impresa decorativa sia stato comunque preminente, come del resto sembra confermare anche la sua attività, nella seconda metà del secolo, per altri importanti committenti, tra cui la cattedrale di Casale, presso la quale ancora oggi, all'interno dell'Antifonario XI, si conserva una delle sue miniature firmate. Proprio sulla base di queste opere è stato infatti possibile, in tempi recenti, ricostruire la personalità di questo artista, "esponente di una corrente della miniatura lombarda sensibile a influssi ferraresi". Gossi era allora a capo di una fiorente bottega, presso la quale si formò anche il milanese Francesco da Castello, che non a caso l'affiancò nell'impresa di San Sisto, da collocare, come è stato proposto, all'inizio del suo percorso, più tardi costellato da prestigiose commissioni, buona parte delle quali collegate alla corte ungherese di Mattia Corvino.

Come è stato giustamente notato, l'intervento di Francesco da Castello nei corali di Piacenza dovette avvenire durante l'apprendistato presso la bottega di Bartolomeo Gossi, iniziato, come attesta un documento, a Milano il 15 febbraio del 1473. Una data che orientativamente può servire anche per collocare cronologicamente questa fase dei lavori di decorazione, dal momento che la data 1475 appare in una delle miniature contenuta in uno dei volumi della serie sistina (Antifonario 1), oggi conservato alla Public Library di Boston, che presenta anche la firma di un non meglio identificato miniatore "D. Nicholaus Ordinis Cist(erciensis)".

Tra i codici esposti in mostra a Piacenza, il Salterio-Innario in due volumi (uno dei quali oggi conservato alla Public Library di Boston e non presente alla mostra), costituisce sicuramente, come è stato dimostrato, la più tarda realizzazione della serie, come attesta anche il carattere della sua decorazione di gusto già pienamente rinascimentale, orientativamente da datare tra il 1490 e il 1495. A eseguirla furono infatti chiamati, questa volta, tre distinti artisti: a uno di essi, noto come Maestro dei Graduali di San Salvatore a Pavia (avendo miniato due graduali provenienti dal monastero benedettino di Pavia, aderente come San Sisto alla riforma di Santa Giustina), fu affidata la realizzazione dei rispettivi frontespizi, che rivelano, come le restanti miniature a lui attribuite, una precisa conoscenza dei contemporanei fatti della pittura lombarda.

Anche in questo caso l'artista venne affiancato da collaboratori, uno dei quali certamente di eccezione, Matteo da Milano, giustamente considerato tra i più grandi miniatori lombardi del Rinascimento, qui riconoscibile nel suo momento iniziale. A lui è stata giustamente attribuita l'iniziale con Dio Padre e un monaco benedettino (forse il committente), che appare al foglio 8v del Salterio-Innario, un'iniziale contraddistinta da un'evidente qualità esecutiva, espressa anche nel repertorio decorativo del tutto simile a quello che caratterizzerà anche in seguito la sua produzione. Così è anche per le altre miniature ugualmente a lui attribuibili nei due tomi, prevalentemente busti di profilo di monaci e abati, che giustamente Mulas considera, "per l'intensità espressiva, la sensibilità epidermica, l'acuità fisionomica", tra le più alte testimonianze della miniatura milanese di fine secolo.

A ulteriore conferma della rilevanza di questa impegnativa impresa decorativa, voluta da quegli stessi "monaci neri di San Sisto in Piacenza" che pochi anni dopo avranno modo di contattare Raffaello per eseguire la cosiddetta Madonna Sistina, passata poi alla Galleria di Dresda e anch'essa dolorosamente sottratta al patrimonio dell'abbazia, di cui l'attuale mostra piacentina restituisce un piccolo per quanto importantissimo tassello.


Note

(1) L'iniziativa è stata resa possibile grazie alla Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna e al Comune di Piacenza con la collaborazione dell'Ente Farnese, della Diocesi di Piacenza-Bobbio e della Parrocchia di San Sisto, con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, della Camera di commercio di Piacenza e di Groupama Assicurazioni.

(2) S. Davoli, I corali di San Sisto nelle collezioni ottocentesche: Michele Cavaleri ed Enrico Cernuschi, in I corali benedettini di San Sisto a Piacenza, a cura di M. Bollati, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Editrice Compositori, 2011, pp. 67-78.

(3) G. Baroffio, E. J. Kim, Liturgia e canto a San Sisto, in I corali benedettini di San Sisto a Piacenza, cit., pp. 95-117; si veda anche J. Overty Filippone, Influenze della liturgia monastica nei corali di San Sisto, ibidem, pp. 79-93.

(4) P. L. Mulas, I corali di San Sisto: gli artisti, in I corali benedettini di San Sisto a Piacenza, cit., pp. 45-66.

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