Rivista "IBC" XIX, 2011, 3
Dossier: Lo scaffale dei sapori
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Con diversi anni di anticipo rispetto alla scuola italiana, che l'ha proposto come tema di maturità nella sessione 2011, la televisione ha scoperto Feuerbach. "Se l'uomo è ciò che mangia" - devono essersi detti i dirigenti di molte reti - "allora l'uomo nuovo costruiamolo noi!". E così il cibo è entrato sempre più prepotentemente nella programmazione televisiva, portando a compimento un percorso evolutivo avviato con le trasmissioni di agricoltura e durato, nel nostro Paese, quasi una sessantina d'anni: più o meno tanti, cioè, quanti ne ha la TV in Italia.
In principio, quando la televisione nacque, in bianco e nero e con una sola rete, ci furono le trasmissioni per gli agricoltori: la storica "TV per gli agricoltori" (1955), divenuta poi "A come Agricoltura", che molti ancora ricordano quanto meno per la bella sigla musicale.
A quel tempo il settore primario costituiva un'importante fetta del reddito e dell'occupazione nazionali; un dato profondamente modificato nel tempo, come testimoniano i primi risultati del 6° Censimento agricolo (nel 2010, le aziende registrate dall'ISTAT risultano 1.630.000, contro le 2.405.000 di dieci anni fa, con un calo numerico del 32%, essenzialmente frutto di accorpamenti, tanto che la superficie agraria utile si è ridotta solo del 2%).
Ai suoi albori la televisione bambina permise lo scambio incrociato di informazioni tecnico-professionali tra agricoltori residenti in diverse aree del Paese. L'agricoltura vedeva di fronte a sé un importante futuro, televisivamente tradotto dalla rubrica "Agricoltura domani", ideata e condotta da Giovanni Minoli. Le antiche e gloriose "cattedre ambulanti" di agricoltura trovavano nel nuovo medium un eccellente strumento operativo.
Ma l'enogastronomia televisiva era già dietro l'angolo. È appena il 1956 quando il giornalista, scrittore e sceneggiatore Mario Soldati realizza per la giovane RAI TV il suo "Viaggio lungo la Valle del Po". "Nella cucina c'è tutto" - spiegava agli spettatori di allora il giornalista viaggiatore. "C'è la natura del luogo, il clima; quindi l'agricoltura, la pastorizia, la caccia, la pesca. E nel modo di cucinare c'è la tradizione di un popolo; c'è la storia, la civiltà di questo popolo". A raccogliere l'eredità di "Agricoltura domani" e a incrociarla con lo spirito di Mario Soldati, nasce nel 1981 "Linea Verde", la più longeva delle trasmissioni televisive dedicate all'agricoltura, e (pur profondamente modificata nei contenuti) tuttora in onda la domenica su RAI Uno.
Alla fine del 1979 la RAI aveva dato vita alla Terza Rete, nata per essere la voce dei territori regionali. Con quello spirito e attingendo alla quasi inesauribile fonte costituita dalle neonate redazioni regionali, nacque la rubrica giornalistica settimanale "Agri3". Pochi anni dopo, in occasione dello sdoppiamento tra la testata del TG3 e quella dei telegiornali regionali (TGR), "Agri3" rimase appannaggio del TG3 (ed è andata in onda fino a maggio 2010). In casa TGR nacque allora "Italia agricoltura", in onda per quasi vent'anni il sabato mattina, e a maggio 2010 ampliata e accorpata nella rubrica "Prodotto Italia", dedicata a tutte le eccellenze del made in Italy, in primis sempre quelle agricole e agroalimentari.
Il format di "Linea Verde", nel frattempo, ha fatto scuola, mescolando sapientemente prodotti agricoli e cibi tradizionali, convivialità popolare e curiosità produttive. Federico Fazzuoli, primo conduttore della trasmissione, nel 1993 porta con sé a Telemontecarlo il know how per "Verde Fazzuoli". Su Rete Quattro, dal 1998, Edoardo Raspelli mette in onda "Melaverde", la cui mission dichiarata è far conoscere "gli inimitabili tesori fatti di tradizione e ingegno del nostro Paese, di amore e devozione per mestieri antichi e nuovi".
Al pubblico, sempre più cittadino, il mix di agricoltura e tradizione piace. Anche sulle televisioni a diffusione locale i programmi che fanno riferimento a questa area tematica si moltiplicano, specie in territori a forte vocazione agricola e agroalimentare (come Emilia-Romagna e Veneto).
Il passaggio dall'agricoltura al cibo e alle tradizioni è ormai abbondantemente compiuto. Ad accelerarlo erano intervenuti, entrambi nel 1986, due scandali che misero temporaneamente in ginocchio due importanti comparti produttivi italiani. Il vino additivato con il tossico metanolo per garantirne il grado alcolico comportò innanzitutto una ventina di intossicazioni mortali e il crollo delle esportazioni del vino italiano sul mercato internazionale.
Nello stesso anno, in Gran Bretagna, si registravano i primi casi di "mucca pazza". Il morbo della encefalopatia spongiforme bovina (BSE) indusse le autorità italiane a bloccare, nel 1991, il consumo di alcune parti del bovino, tra cui la blasonata fiorentina toscana. A un pubblico spaventato dal rischio di inquinamento delle fonti primarie dell'alimentazione occorreva ridare fiducia raccontando un mondo agricolo irenico e positivo. Occorreva restituire la voglia di mangiare prodotti sani e tipici, istruendo contemporaneamente il pubblico su come procurarseli e come saperli distinguere. In assenza di norme europee e italiane chiare - tuttora inadeguate - per una etichettatura dei prodotti alimentari che ne certifichi l'area di origine e i procedimenti produttivi, occorre portare il pubblico in campagna, per convincerlo della purezza e della bontà di quel che mangia. La televisione si presta agevolmente alla bisogna, creando testimonial credibili dell'acquisto naturale.
Paradigma efficacissimo del nuovo corso è lo chef Gianfranco Vissani. Dopo che dal suo ristorante in Umbria ha scalato le classifiche delle guide gastronomiche, Vissani diventa ospite sempre più frequente delle trasmissioni televisive. La consacrazione ufficiale del cibo come protagonista assoluto del mondo agricolo avviene nel 2002, quando Vissani diventa addirittura coconduttore della rubrica "Linea Verde". Percorso non molto dissimile quello di Edoardo Raspelli, la cui "Melaverde", sulle reti Mediaset, è in concorrenza diretta di palinsesto con "Linea Verde". Giornalista enogastronomo di fama e fondatore del "Gambero rosso", Raspelli è passato dalle recensioni sui ristoranti alla divulgazione televisiva del buon mangiare sano.
Ma mangiare è anche un fatto chic. Negli anni Ottanta si moltiplicano le guide enogastronomiche che accompagnano l'italiano nelle sue gite cultural-mangerecce. Stelle, forchette, cappelli e altri simboli evocativi giudicano i locali e ne decretano il successo o la condanna. Il TG2 manda in onda (tuttora) l'inequivocabile rubrica "Eat parade", che parafrasa le hit parade musicali. Tra i primi canali satellitari si distingue quello del "Gambero rosso", interamente dedicato al cibo. Il giornalista economico Davide Paolini si converte in "gastronauta" cartaceo e radiotelevisivo.
Tenuto conto delle innumerevoli occasioni nel corso delle quali in TV il cibo è stato protagonista (indipendentemente dalla rete e dall'orario), il viaggio tra metonimia e sineddoche dall'agricoltura al piatto ("Dal campo alla tavola", come recitava un'altra autorevole trasmissione televisiva) si potrebbe dire compiuto.
Un nuovo passaggio va tuttavia registrato con le "Tagliatelle di Nonna Pina", sigla di successo di una trasmissione che ha cambiato ancora l'ottica. Come al solito, ha cominciato RAI Uno. Dal 2000, dal lunedì al sabato, alle 12, "La prova del cuoco" sfida le italiane (e gli italiani) a una gara quotidiana sulla creatività in cucina. Quel che tutte le nonne facevano - analizzando l'orto, la dispensa e gli avanzi, e ricavandone il menu del giorno - accade sulla piazza virtuale, grazie alla coinvolgente conduzione di Antonella Clerici, alla collaborazione degli "esperti" e alla competitività di chef e semplici appassionati, messi di fronte alla necessità di realizzare in tempi brevi un pranzo utilizzando gli ingredienti che escono per sorteggio dalla borsa della spesa. Mescolando inventiva, saper fare e l'ineguagliabile sapore della gara, "La prova del cuoco" fidelizza il suo pubblico, crea personaggi, esce dallo schermo e si traduce anche in libri della stessa Clerici e dei coprotagonisti Paola Moroni e Beppe Bigazzi.
Segue un filone simile, sulle reti Mediaset, la trasmissione "Cotto e mangiato", avviata tre anni fa da Benedetta Parodi e altrettanto foriera di pubblicazioni di cassetta. Qualche sociologo sostiene che questi format hanno avuto successo perché hanno intercettato il bisogno di nuovo savoir faire da parte delle donne che negli anni Settanta hanno vissuto la temperie femminista e perciò, rifiutando il modello materno della "donna di casa", a quel tempo non appresero le tradizionali tecniche di cucina. Oggi che, come recita tanta pubblicità, la cucina è "il cuore della casa", e che le ventenni d'antan affrontano tempi e modi della pensione, acquisire le vecchie/nuove competenze risulta un provvidenziale (ed economico) passatempo, validato anche dal diffuso apprezzamento per il "naturale" e il "fatto in casa": un esempio per tutti, l'orto presidenziale di Michelle Obama. Da cui potrebbero ripartire i prossimi programmi similagricoli dedicati al terrazzo...
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