Rivista "IBC" XIX, 2011, 2
musei e beni culturali / pubblicazioni, storie e personaggi
"Museo, Scuola, Città": così fu intitolata, al momento della pubblicazione, nel 1981, una delle prime inchieste svolte dall'Istituto per i beni culturali (IBC). Lo studio e il volume (autori Carla Giovannini e Franco Ricci) ebbero il merito di aprire uno spiraglio conoscitivo fondamentale sulla pinacoteca comunale di Ravenna, dal momento della sua nascita e sviluppo come Galleria dell'Accademia. La riscoperta, allora, di una smarrita unità di museo e scuola fece di Ravenna un caso esemplare. Di "esempio paradigmatico" ebbe a scrivere Claudio Spadoni in quell'occasione, nel chiarire le ragioni dell'avvenuta separazione (amministrativa e gestionale) della collezione d'arte dalla sua accademia, e nell'accostare la storia ravennate ad altre storie del nostro Paese, in cui, a un certo punto, musei nati e cresciuti in stretta connessione con le istituzioni scolastiche si sono sciolti dall'originaria simbiosi.
Alle fasi conflittuali che hanno intralciato un cammino in parallelo delle due istituzioni, dopo l'autonomia della Galleria nel 1936, e al processo che vede oggi conclamato, anche sul piano logistico, il distacco dell'Accademia dal "suo" museo, ritorna un volume da poco dato alle stampa da Longo Editore: Accademia Belle Arti Ravenna. Centottant'anni, curato da Maria Rita Bentini con la scrittura di Sabina Ghinassi. Anche se forse il tema, cruciale per i suoi riflessi sull'odierno sistema cittadino delle istituzioni culturali, avrebbe meritato cenni meno fuggevoli, quella che viene raccontata è con tutta evidenza un'altra storia, narrata dall'interno dell'istituzione, dal suo nascere all'esistenza di oggi, come luogo dell'arte. Una storia di uomini, di docenti e di allievi, di cattedre e di apprendimenti, di creatività multiple, di esperienze, di aspirazioni.
Avverte, infatti, la curatrice, che "è questa la prima storia dell'Accademia, non nel senso di individuazione delle sue origini e delle ragioni che hanno portato a crearla" e che "quanto si legge in queste pagine è il primo tentativo fatto e portato a termine di una lettura unitaria della vita dell'Istituzione fino a oggi pensando ai suoi protagonisti, ai modelli di riferimento, agli esiti della formazione, alla società in cui si colloca". Per la sua ricostruzione, Sabina Ghinassi si è di sicuro giovata del lavoro di riordino e inventariazione dell'archivio dell'Accademia, sostenuto in questi anni dalla Soprintendenza regionale per i beni librari e documentari e tuttora in corso. Sullo sfondo della città, assistiamo dunque a una rappresentazione straordinariamente animata da tanti pittori, scultori, disegnatori, artisti di chiara fama e giovani praticanti.
Ogni atto, che corrisponde alle grandi stagioni dell'Accademia, ha i suoi protagonisti, cominciando da quell'Ignazio Sarti, in pieno gusto neoclassico, al quale si deve anche la prima costituzione della galleria d'arte, seguito come direttore, nel 1870, dal fiorentino Arturo Moradei, erede della macchia e, a inizio secolo, da Vittorio Guaccimanni, virtuoso precursore di aperture della scuola alla dimensione romagnola. Arriva poi il momento, su sfondo futurista, dei fratelli Arnaldo e Bruno Ginanni Corradini e dello studente contestatore antiaccademico Orazio Toschi, finché subentra in direzione Giovanni Guerrini, lo sperimentatore, l'innovatore nella tradizione, che ritrovando la vocazione musiva di Ravenna sostiene l'istituzione della scuola di mosaico (1924), poi gestita da Giuseppe Zampiga e dal suo allievo Renato Signorini, fino alla stagione contemporanea con Antonio Rocchi e Ines Morigi Berti.
Non a caso, segnalati fino al secondo dopoguerra i buoni maestri di pittura della vena naturalista (Varoli, Orselli, Folli) e gli abili scultori (Pinzauti e Giannantonio Bucci), l'intero terzo atto del libro viene dedicato alla ritrovata vocazione musiva di Ravenna, dalla partecipazione straordinaria di artisti come Afro, Birolli, Campigli, Cassinari, Corpora, Guttuso, Moreni, Santomaso e altre celebrità che negli anni Cinquanta aderirono alla "Mostra dei Mosaici Moderni", alle "prove" di transavanguardia degli anni Novanta (Cucchi e Chia), fino alla più recente qualità formativa nel campo delle professioni artistiche.
Un po' veloce, forse, risulta la ricostruzione degli anni Settanta che, per la prima parte, coincidono con la presenza a Ravenna dello studioso e critico d'arte Raffaele De Grada e, insieme a lui, di un manipolo di docenti eccellenti (Giò Pomodoro, Tono Zancanaro, Remo Muratore, Luca Crippa, Gino Cortellazzo, tra gli altri). Eppure è noto l'altissimo grado di attrazione raggiunto in quel tempo dalla Loggetta Lombardesca oltre i confini municipali, con iscrizioni ai corsi liberi e presenze da tutta la Romagna e dai territori vicini. Così come è rimasta memoria di importanti eventi espositivi "presentati" da De Grada (Pomodoro, Moreni, la pittura romagnola tra Ottocento e Novecento), che contribuirono certo ad avvicinare l'Accademia alla città, al suo territorio e a un più vasto pubblico.
Ma in quegli anni di più acuta contestazione studentesca al sistema delle "belle arti", ad accendere la miccia della protesta a Ravenna sarebbe stata, secondo la ricostruzione di Ghinassi, proprio la direzione De Grada, dato che "pur differente da quella del primo ventennio del dopoguerra, risentiva di un'impostazione ancora vetero-marxista, attenta soprattutto a un approccio di tipo realista": di qui "una sorta di scontro ideologico-poetico come quello tra astrattisti e realisti nel '48, simboleggiato dal celebre anatema lanciato da Togliatti". È rimasta negli annali la collisione fra l'astro nascente Marcello Landi e Raffaele De Grada: l'allora studente finì espulso e il direttore, tra vari conflitti interni, dopo un'esperienza quinquennale, abbandonò Ravenna.
Dal "dopo De Grada" comincia l'ultimo atto dell'Accademia. E fino ai giorni nostri, tra riconoscimenti formali e cambi di sede, il volume è un copione di trionfi nel segno del rinnovamento dell'istituto: scandito dalla "multidisciplinarietà delle indagini e dei linguaggi tra mostre, eventi, incontri che ne dilatano lo sguardo", scrive Ghinassi. Insomma, ecco in scena un "nuovo approccio alla contemporaneità tra pittura, mosaico, scultura e fotografie": un ventennio di direzioni e di consegne, dopo Spadoni, Gori e D'Augusta e titolari di cattedre che vanno e vengono, studenti "saranno famosi" e tanti ospiti illustri. Tra cui Tonino Guerra e Dario Fo, giunto a Ravenna sul finire degli anni Novanta con le "Tende al mare" di Cesenatico, a far pittura, studente fra gli studenti, mezzo secolo dopo Brera.
Il volume si chiude con le new possibilities di Sabina Ghinassi, che elenca prove, esperienze di oggi e illustra progetti per il domani, mentre vaga un interrogativo di Maria Rita Bentini: "Di quale Accademia ha bisogno la città, ora?".
Accademia Belle Arti Ravenna. Centottant'anni, a cura di M. R. Bentini, Ravenna, Longo Editore, 2010, 208 pagine, 24,00 euro.
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