Rivista "IBC" XIX, 2011, 2
musei e beni culturali / pubblicazioni
Arthur C. Danto, nella prefazione all'edizione italiana del suo Dopo la fine dell'arte. L'arte contemporanea e il confine della storia (2008), chiosava con questa affermazione: "L'arte che dobbiamo imparare a comprendere senza l'ausilio di un métarécit è l'arte dopo la fine dell'arte, quella che riflette la nostra epoca, capace ormai di convivere con il pluralismo nell'arte, ma non ancora nella vita politica e religiosa". L'arte contemporanea privata della sua metanarrazione (il métarécit) e considerata nel coesistente "pluralismo" di poetiche, espressioni e tecniche, è il punto d'incontro teoretico tra Danto e Giovanni Maria Accame, due grandi rinnovatori della critica d'arte del presente. Accame, infatti, nel suo libro La forma plurale. Opere e artisti in Italia 1947-2000 (edito nel 2010), dichiara sin da subito che "la singolarità dell'opera d'arte e l'originalità del suo linguaggio, sono sempre il risultato di una concentrazione e armonizzazione di più fonti che concorrono al delinearsi del pensiero e alla definizione della forma. La pluralità della forma rispecchia il nostro stesso essere plurali in quanto uomini. La storia, oggi così poco amata nel sistema dell'arte contemporanea, insegna che non vi è un ordine, ma più ordini, che il mondo si riconosce nella diversità e la sua singolarità si fonda proprio sulla pluralità".
La tesi dichiarata da Accame è ribadita, in filigrana, in tutti i capitoli del volume, brevi saggi monografici che compongono la sfera critica della sua geografia artistica: un paesaggio intellettuale in cui la concezione dell'arte "è strettamente legata al suo essere una forma di conoscenza viva, generatrice d'esperienze che travalicano ampiamente il piano estetico, per espandersi nelle più diverse aree di un quotidiano fatto di pensieri e azioni". Ed ecco che il critico indaga la pluralità poetica, espressiva e tecnica, della forma astratta di artisti come Aricò, Consagra, Griffa, Lorenzetti, Merz, Morales, Nigro, Olivieri, Pardi, Pinelli, Pomodoro, Saffaro, Sanfilippo, Satta, Scanavino, Somaini, Uncini, Vago, Varisco, Verna. Senza mai rinunciare al rigore filologico della storia dell'arte, alla narrazione come strumento necessario e imprescindibile per interpretare le variazioni dell'operato di un singolo artista nel corso del tempo, ma con la consapevolezza che, al contempo, ciascuno di loro fa parte del caleidoscopio cangiante e frammentato dell'arte contemporanea, dalla fine del secondo dopoguerra al presente. Una raccolta di saggi già pubblicati in precedenza che, una volta riuniti in questo libro, assumono una rinnovata cogenza semantica. Proprio in virtù dei criteri ermeneutici che guidano la saggezza di storico e critico di Accame.
G. M. Accame, La forma plurale. Opere e artisti in Italia 1947-2000, Milano, Edizioni Charta, 2010, 303 pagine, 39,00 euro.
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