Rivista "IBC" XIX, 2011, 2

musei e beni culturali / immagini, mostre e rassegne

Arte, storia, memoria: lontane dai clamori delle mode, tre piccole mostre locali testimoniano altrettante funzioni-chiave della fotografia.
La provincia nell'obiettivo

Laura Dall'Olio
[giornalista]

Ricordo, documento storico, opera artistica: sono tanti gli elementi che si intrecciano in una foto, ed è forse per questo che le mostre e i lavori relativi al recupero e alla diffusione della conoscenza di archivi fotografici storici privati e pubblici riscuotono interesse non solo a livello accademico ma anche popolare. Lo dimostrano, per esempio, tre mostre che, pur molto diverse per genesi, struttura e finalità, hanno preso vita a breve distanza l'una dall'altra sul finire del 2010 all'interno della città di Imola, in provincia di Bologna: quella relativa ai 10 anni di attività del gruppo fotografico Polaser, quella sulla presentazione dell'archivio della famiglia dei conti Tozzoni e quella sulla vita di don Angelo Bughetti. Le tre esposizioni hanno portato all'attenzione della città realtà e persone differenti, materiali molto diversi per quantità e qualità, ma testimoniano dell'importanza dei diversi aspetti dell'arte fotografica come luogo di ricerca e confronto in cui si congiungono gli interessi degli accademici e del grande pubblico. Queste tre mostre rappresentano una sintesi delle tre principali chiavi di lettura che si possono dare a qualsiasi immagine o raccolta di materiale fotografico e consentono di riflettere sulle impostazioni proposte nei diversi allestimenti e sui tanti piani di lettura che in realtà ogni mostra porta con sé.


L'arte in una polaroid

"2000-2010 - 10 anni di magia" è il titolo della mostra presentata il 2 ottobre del 2010 nella sede del Museo di San Domenico di Imola da Polaser, il gruppo che raccoglie tantissimi esperti e appassionati delle foto Polaroid. La mostra ripercorreva i dieci anni di attività del gruppo che ha organizzato esposizioni in Italia e all'estero, in gallerie pubbliche e private, lavorando su diversi temi. Il gruppo, infatti, si distingue per l'allestimento di opere corali: ogni componente propone una sua interpretazione del tema scelto, illuminando con la propria sensibilità l'opera altrui. "Fin dall'inizio della nostra storia" - ha detto il numero uno del Gruppo Polaser, Pino Valgimigli, presentando la mostra - "abbiamo puntato non su progetti individuali ma del gruppo e realizzati a più mani". Così sono nati i lavori dedicati a grandi personaggi dell'arte e della letteratura, come Alberto Burri o Salvatore Quasimodo, sintetizzati in un volume della collana monografica Federazione italiana associazioni fotografiche (FIAF).

Il primo progetto collettivo è stato un omaggio a Dino Campana, autore di poesie in cui la magia della parola si intreccia con i colori e i suoni della vita quotidiana e della fantasia: partendo dai suoi versi, ciascun componente del gruppo ha realizzato la sua foto. Quello che è emerso fin da questo primo progetto, e che il gruppo Polaser ha sempre cercato di far emergere, è la spiccata vocazione artistica della Polaroid rispetto ad altre tecniche fotografiche. Ogni scatto Polaroid è unico, come un'opera d'arte: non esistono negativi che permettano di replicare l'immagine. Sulla foto, inoltre, si può lavorare quasi come su una tela: si può scrivere, incidere, si possono sovrapporre immagini o affiancarle, costruendo geometrie che i normali formati di stampa delle foto generalmente non portano a pensare. Ed era questo aspetto artistico che emergeva anche nella mostra proposta a Imola.

Così è nato un allestimento che non si limitava a una sequenza di immagini ma si arricchiva di foto appese al soffitto che galleggiavano nell'aria: polaroid attaccate le une alle altre, che scendevano dall'alto come una pioggia di sogni e di ricordi. Un allestimento coinvolgente anche per il visitatore che, prima ancora di fermarsi a osservare il singolo scatto, veniva travolto da un universo di colori e immagini di cui si sentiva parte.


La storia in un archivio

L'esposizione allestita nella casa museo dei conti Tozzoni, destinata a divenire una sezione permanente di questo storico edificio che si trova in via Garibaldi a Imola, sottolineava invece l'aspetto documentario dell'archivio fotografico di questa famiglia, proponendo uno spaccato della vita pubblica e privata dei suoi vari componenti. La mostra "Formato famiglia: la raccolta fotografica dei Tozzoni" (27-28 novembre 2010) ha rappresentato una nuova tappa del recupero di un archivio che, oltre a una ricca documentazione, conta quasi tremila foto, 266 negativi su vetro, 84 negativi in pellicola e 14 album. Il recupero, promosso dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e coordinato da Oriana Orsi dei Musei civici di Imola, è stato affidato all'archivista Laura Berti Ceroni e a Cinzia Frisoni, esperta di storia e tecnica della fotografia, che hanno lavorato fianco a fianco.

Il legame tra i documenti e le foto - conferma infatti Berti Ceroni - "è molto stretto ma" - sottolinea - "anche molto diversificato: le foto che raffigurano i Tozzoni si richiamano tra loro nelle carte che questi hanno ricevuto o raccolto nel corso della loro vita, i ritratti degli amici e dei conoscenti si legano spesso a lettere da questi inviate che si trovano in archivio. Per tutte le foto dei viaggi di Francesco Giuseppe, poi, ci sono diari e carte a ricordo di quegli itinerari: biglietti dei treni o delle navi, articoli di giornale...".

Lo scatto più antico - dice Frisoni - "risale al 1858, ma la maggior parte delle fotografie oscilla tra il 1870 e il 1920. In questo periodo la tecnica maggiormente usata è la stampa all'albume tratta da lastre al collodio umido o secco, mentre a cavallo del secolo, con l'avvento delle lastre al bromuro d'argento, si realizzarono stampe alla gelatina. Queste sono dunque le due tecniche più rappresentate nel fondo, anche se ci sono esemplari di carte salate (utilizzate fino al 1860 circa) e numerose stampe molto interessanti (al carbone, ai pigmenti, al collodio)".

L'esposizione, in realtà, è stata solo un'occasione per ammirare un allestimento destinato a essere una finestra permanente sul vasto e variegato archivio Tozzoni: "La mostra" - è la conferma di Frisoni - "è stata pensata per mostrare una selezione il più possibile esaustiva dei materiali contenuti nel fondo. Per questo motivo è stata suddivisa in sezioni che corrispondono, in linea di massima, ai grandi gruppi tematici individuati durante la fase di studio e inventariazione. La prima sezione riguarda il ritratto, la seconda la vita di relazione del nucleo familiare e la terza il viaggio, come presenza costante nella vita del conte Tozzoni. Una quarta sezione dedicata unicamente agli album di famiglia chiude l'esposizione. Si può visionare una sequenza di immagini digitali rappresentative del fondo, scelte per integrare quanto esposto. Inoltre scorrono su monitor le pagine di tre album interamente restaurati e digitalizzati".

È in questo allestimento che si vede maggiormente il valore di ogni scatto come documento storico: i vestiti, gli arredi degli interni, i volti più vissuti del personale di servizio e le mises eleganti delle signore appartenenti alle classi più agiate raccontano come è cambiata la vita quotidiana dentro e fuori casa, per gli adulti e i bambini, come si viveva il lavoro e il tempo libero. Allo stesso tempo raccontano di come è cambiata la tecnica fotografica ma anche il valore di uno scatto, spesso arricchito da cornici riccamente disegnate, o trasformato in cartolina.


Il ricordo in uno scatto

Il percorso relativo a don Angelo Bughetti, promosso dal settimanale "Il Nuovo Diario Messaggero" e dall'Istituto Santa Caterina nella Biblioteca comunale di Imola dal 4 al 21 dicembre, puntava sul ricordo, sulla necessità di fare memoria della figura del religioso imolese che ha saputo dare nella sua epoca risposte efficaci al problema dell'educazione giovanile maschile. "Fede e passione educativa. Don Angelo Bughetti apostolo della gioventù imolese (1877-1935)" era il titolo del percorso allestito selezionando il materiale raccolto nel tempo da monsignor Walter Falconi, che ha ordinato le immagini a sua disposizione in una vera biografia per immagini, e ha pubblicato diversi testi in cui ha raccolto testimonianze e ha ripercorso la vita del religioso imolese.

Sono nati così venti pannelli in cui viene descritta la famiglia in cui don Bughetti è cresciuto, il suo impegno all'interno della stampa cattolica, la sua vocazione come educatore dei giovani. Dal 1911 al 1930 don Bughetti trasformò il centralissimo palazzo Monsignani in un importante e vitale centro formativo e ricreativo: qui diede vita al Patronato giovani, la realtà in cui confluirono il Ricreatorio "San Filippo Neri" (per bambini dai 6 anni), la Prima Juventus (per ragazzi dai 12 anni) e il Circolo "Silvio Pellico" (per ragazzi dai 15 anni). Tante le attività educative e ludiche che don Angelo Bughetti promosse per i vari gruppi di ragazzi a palazzo Monsignani: la scuola serale, la Libreria editrice del Patronato Giovani, la Biblioteca circolante, la Scuola di religione e quella dei calzolai, la Filodrammatica "Silvio Pellico", il Corpo bandistico del Patronato... Gli ultimi cinque anni della sua vita, invece, li dedicherà completamente agli orfani dell'Istituto Santa Caterina, il luogo dove oggi riposano i suoi resti e che continua a essere ancora un importante punto di riferimento per tanti ragazzi. Al materiale raccolto da monsignor Falconi si aggiungeva una vetrina che conteneva testi scritti da e su don Angelo Bughetti.

Le immagini in bianco e nero relative all'epoca di don Bughetti lasciavano però spazio, alla fine del percorso, agli scatti a colori di quei luoghi in cui lo spirito di don Angelo Bughetti continua a vivere, in particolare puntando sui ragazzi che ancora oggi sono ospitati all'Istituto Santa Caterina. Facendo memoria, ricordando i problemi e le situazioni adottate in passato, si è cercato quindi di far luce su un percorso ancora praticabile e di dare una risposta ai problemi attuali.

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