Rivista "IBC" XVII, 2009, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni

In attesa dell'edizione 2009, il "Festival dell'Architettura" di Parma sedimenta i risultati dell'ultimo appuntamento. Che partiva da un'ipotesi: il paesaggio esiste solo in quanto...
Pubblico paesaggio

Carlo Quintelli
[docente di Composizione architettonica all'Università di Parma]

"Io credo che per essere un buon architetto di case bisogna soprattutto essere un buon architetto; per essere un buon architetto di interni bisogna soprattutto essere un buon architetto; per essere un buon architetto di scene teatrali bisogna soprattutto essere un buon architetto; e quindi per essere un buon architetto di paesaggi bisogna soprattutto essere un buon architetto".


La constatazione logica di Raimund Fein è utile per introdurre alcune questioni di fondo della quarta edizione del "Festival dell'Architettura" 2007-2008, dal titolo: "Pubblico Paesaggio".1 L'architettura del paesaggio come sapere e tecnica a sé non può sussistere, in quanto esiste solo un paesaggio composto da singole parti, che noi definiamo architettoniche, determinanti la percezione di un insieme. Il paesaggio è il risultato di apporti molteplici, che rimandano a diversi attori, comportamenti, strategie di modificazione e formalizzazione della scena fisica. Questo risultato può essere più o meno caratterizzato, portatore di valori estetici e identitari, capace di trasmettere originalità e organicità, o, al contrario, svilupparsi in termini di contraddizione, banalità, indeterminazione.

La difficoltà di definizione di un'idea di Paesaggio e al tempo stesso la sua infinita descrivibilità, già sperimentata da Franco Zagari,2 paesaggista convinto, è la riprova dell'impossibilità a definirne un sapere e una tecnica autonome. Al contrario, in questi ultimi anni, molte facoltà italiane di Architettura hanno aperto corsi di laurea specifici finalizzati al progetto paesaggistico, finendo paradossalmente per allontanare l'attenzione critica e l'esercitazione progettuale dei futuri architetti proprio dall'oggetto destinato a costruire concretamente il paesaggio: l'architettura, certo non solo quella dell'edificio in sé, ma delle parti di città e di territorio, nel rapporto radicato con i contesti naturali e storico-culturali.

Equivocando su una nozione paesaggistica derivabile prevalentemente dal trattamento a verde nello spazio esteso, l'internazionale del paesaggismo promuove, sul piano del consenso generalizzato, controfaccia di quello tecno-modernista, i propri modelli dell'impunturato arboreo e della mappatura prativa, con orografie pseudonaturali, curviformi sequenze, segnature geometrizzate, articolate configurazioni d'acqua, frammenti di design a uso arredo e opere d'arte, sino all'immancabile paradosso del verde verticale. L'architettura, per restare a quella italiana e di ancora recente tradizione, ci ha insegnato con personalità diversissime - da Samonà a Rogers, da Gardella a Ridolfi a Scarpa, da Canella a Rossi, per limitarci ad alcuni maestri cari, senza poter qui citare tanti altri all'interno dei mille contesti italiani di un'architettura non omologata - che il punto di vista capace di generare paesaggio non può che risiedere all'interno dell'architettura, dei suoi strumenti innanzitutto compositivi, della sua potenzialità interpretativa, di un'espressione figurativa sensibile e declinata sul concreto dell'abitare. Tutto il resto è simulacro, svalutazione delle risorse culturali consolidate, velleitarismo delle immagini, per di più in aperta contraddizione con un marketing territoriale che dovrebbe preoccuparsi di consolidare e sviluppare originalità contestuali.

Il "Festival dell'Architettura" di Parma è d'altra parte un festival di ricerca, non tanto di eventi di celebrazione e promozione, e quindi non poteva non prendere posizione, introdurre dubbi e distinzioni, operare una critica su come l'idea di paesaggio viene oggi comunemente assunta e praticata nell'ambito della trasformazione pubblica e privata. Da qui anche il richiamo, nel titolo di questa edizione, all'impossibilità (o quasi) di produrre paesaggio fuori dalla sfera pubblica, da una responsabilità che leggiamo attraverso la natura socioculturale di chi abita un luogo, lo governa, lo trasforma, lo fa diventare la propria immagine identitaria. La condizione pubblica del paesaggio richiama inoltre il suo significato morale, certo solo se in grado di suscitare memoria, come dice James Hillman e, vorremmo aggiungere, solo se in grado di interpretare e dare proiezione futura al senso della memoria stessa, ai suoi segni, attraverso un divenire che presuppone continuità. La responsabilità individuale è così chiamata in causa e, in questa, quella degli architetti assume il significato particolare di un'applicazione professionale che non può prescindere dal sapere e volere pazientemente conoscere la natura propria dell'architettura e dei luoghi. "Per un paesaggio che esca dal valore di esposizione per farsi valore d'uso, superando vecchi e nuovi paesaggismi".3

Nei due anni di ricerca sono state sondate alcune tematiche campione, chiamando, come contributo al work in progress degli studiosi coinvolti (perlopiù di giovane generazione e del circuito universitario), alcune personalità diversamente impegnate a misurarsi con questo straordinario tema. Clément e Donadieu, suscitatori di nuove filosofie del verde urbano; architetti paesaggisti convinti e convertiti come Zagari e Bocchi; architetti operanti laddove vi è una consolidata scuola paesaggistica, come nel continente iberico, da Consuegra a Nunes; con il taglio antropologico di Günter sul tema della Ruhr o di Petti sui paesaggi comunitari del colonialismo israeliano; per via ambientalista con Dunster o Yeang nel contesto britannico. Attraverso il contributo geofilosofico di Bonesio, letterario di Zanetti, storico di Brizzi, storico-architettonico di Curtis, critico-artistico di Ferrari e di Emiliani.

In parallelo, e per contrappunto, gli esiti delle ricerche hanno dato quindi vita a mostre dedicate al paesaggio dell'architettura "eco-virtuosa", al "paesaggio della memoria" riguardante l'opera celebrativa di Edvard Ravnikar e Bogdan Bogdanović, alla fenomenologia del paesaggio illuminato ("Città e luce"), ai progetti per un territorio simbolizzato redatti da Luciano Semerani per la Valle del Chiese, all'ecotown di Marcello D'Olivo, all'epopea paesaggistica delle Scuole nazionali d'arte dell'Avana (con la partecipazione dei progettisti: Garatti, Gottardi, Porro), alla rassegna critica "Il paesaggio nell'architettura. Congegni compositivi e progetto del paesaggio europeo", al rapporto paesaggistico del progetto per la Sainte-Baume di Le Corbusier, al paesaggio introverso di John Hejduk, al paesaggio e il suo doppio per esplorare la sempre più pervasiva influenza dei paesaggi virtuali delle tecnologie digitali.

Oltre alla restituzione delle ricerche, qui solo accennate, il festival ha sviluppato esplorazioni maggiormente legate alla realtà del contesto delle tre città cui fa riferimento (Parma, Reggio e Modena), e del territorio emiliano che siamo usi chiamare "CittàEmilia",4 inteso come ambito di sperimentazione, laboratorio della trasformazione insediativa, all'interno del quale di volta in volta, a seconda del tema prescelto, si possano trovare riscontri fenomenologici significativi. Quello del paesaggio, in particolare, per come nella regione Emilia-Romagna sia stato assunto quale costrutto iconico-identitario attraverso la letteratura, il cinema, la musica, la pittura e anche, recentemente, attraverso il lavoro geografico della scuola di Lucio Gambi o quello fotografico di Luigi Ghirri e dei suoi epigoni. Il tentativo è stato allora quello di evidenziare una possibile sinergia e complementarietà sistematica tra geografia e fotografia. Ne è scaturita una Geo(foto)grafia del paesaggio intesa quale Prove di s/ri/composizione del paesaggio tra Parma, Reggio Emilia e Modena.5 Dove, in pratica, agli architetti è spettato il compito di individuare un teatro territoriale delle operazioni di rilievo a partire da una casistica dei fenomeni della trasformazione dello stesso, alle diverse scale e condizioni di incidenza, così definite:

• ambiti resistenti della natura e dell'insediamento storico;

• restauri;

• fronte città-campagna;

• insediamenti della produzione;

• luoghi di gravitazione collettiva;

• case sparse;

• tracciati e snodi dell'infrastruttura;

• luoghi della mobilità;

• terreni.

Il territorio è così spiegato attraverso la sua fisiologia strutturale, per figure e funzioni non separabili, e il fotografo segue queste indicazioni per derivarne, a sua volta, i significati del proprio punto di vista, quello inatteso e pregnante che solo la fotografia può restituire. La complementarietà tra architettura e fotografia si fa allora più congegnata e strumentale, meno reciprocamente "a posteriori". Nove temi riscontrati per ognuno dei tre contesti provinciali da altrettanti architetti, sviluppati da nove fotografi, tre per ogni contesto. La sistematicità dell'operazione dovrebbe risultare dimostrativa, pur nella sua incompletezza, di un metodo di osservazione che al tempo stesso assume valenza metaprogettuale: una presa del territorio capace di restituirlo incessantemente al vaglio critico attraverso il monitoraggio interstiziale del suo divenire, oltre l'oggettività visiva del controllo satellitare finalizzato alle pratiche di pianificazione e oltre la soggettività estetizzante di un'azione artistica solitaria, di esclusivo registro culturale.

L'altro tema affrontato nel laboratorio di contesto è quello della Via Emilia, per come la strada consolare sia da tempo oggetto di studio quale generatrice insediativa del sistema policentrico emiliano.6 L'avanzamento della ricerca nell'ambito di questa edizione del festival si è focalizzato su elementi e spazi afferenti alla strada non più riconosciuti e spesso irriconoscibili, in realtà capaci di ritornare a essere risorse identitarie e di uso abitativo. "Habitare la Via Emilia. Presenze e luoghi di rifondazione insediativa" individua sette tipologie di diversa entità e natura quale prima campionatura di un materiale insediativo inerte e accomunato quasi esclusivamente dal posizionamento bordostrada: campi sportivi; chiese; scuole e municipi; pubblici esercizi; monumenti; vetrine; rovine.

Un censimento di queste componenti condotto nella tratta da Fidenza a Castelfranco Emilia, dove per ogni tipologia vengono evidenziati il ruolo storico, la valenza insediativa sotto molteplici aspetti, da quello funzionale a quello simbolico, ma soprattutto la possibilità di essere ricondotti al sistema della Via Emilia come condizione di integrazione di luoghi e oggetti dell'architettura, di figurazioni e segni rappresentativi, nel rispetto delle valenze storiche e nell'attenzione ai nuovi comportamenti che la strada, intesa come luogo abitato, continua a produrre. Così i campi sportivi possono essere intesi come piazze verdi, le chiese come straordinarie aule di sedimentazione culturale oltre che votiva, scuole e municipi testimoniano dei valori civili e collettivi, pubblici esercizi e vetrine parlano della teatralità d'uso della strada, i monumenti sono la memoria di un passato che arriva a comprendere il contemporaneo, le rovine sono i reperti di un'archeologia della strada tutta da sviluppare.

In questa ricerca, diventata mostra con l'ausilio di materiale documentario e di rilievo intrecciato al racconto fotografico dei "Trittici della Via Emilia" a opera di Davide Grossi, si è innestata un'ulteriore azione, che si vuole intendere disvelativa attraverso una segnatura sul campo di elementi insediativi sempre più indifferenti rispetto alla reciprocità con la strada. Il meccanismo della segnatura capace di sollecitare il valore semantico di questi oggetti, molti dei quali già identificati in "Habitare la Via Emilia", si è avvalso di apparati a quinta e prospettici di delimitazione e indicazione dell'oggetto nel campo visivo fotografico.

Allo stesso tempo, una serie di fattori, l'azione rituale (per ripetizione e sistematica) della ripresa fotografica, la necessità di toccar con mano i luoghi sottoposti alla segnatura, la natura stessa della strada come conduttore lineare tra luogo e luogo, ha suggerito di adottare un criterio di continuità spazio-temporale della ricerca, secondo la logica del pellegrinaggio, quindi della scoperta e dello scambio nell'attraversamento che tale condizione presuppone. In tre giorni, dal 26 al 28 settembre 2008, un gruppo di sette ricercatori ha percorso a piedi la tratta da Fidenza a Castelfranco Emilia operando 84 azioni di segnatura corredate da altre modalità di racconto fotografico, video, diaristico-letterario: una vera e propria "Peregrinatio Aemiliae".7

Il "Festival dell'Architettura" si avvia ora, su un altro percorso, alla quinta edizione, che si intitolerà: "Comunità-Architettura": www.festivalarchitettura.it.


Note

(1) La citazione iniziale è tratta da: R. Fein, La didattica del Paesaggio, in Oltre il Giardino. Dessiner sur l'herbe 2006, a cura di S. Marini, Padova, Il poligrafo, 2007 ("Quaderni IUAV", 51), p. 185. La quarta edizione del festival, diretto dal 2004 da Carlo Quintelli, è documentata da un catalogo: Pubblico Paesaggio. Documenti del Festival dell'Architettura 4 - 2007-2008. Parma, Reggio Emilia, Modena, a cura di E. Prandi, Parma, Festival Architettura Edizioni, 2008.

(2) F. Zagari, Questo è paesaggio. 48 definizioni, Roma, Mancosu, 2006.

(3) C. Quintelli, Pubblico paesaggio, in Pubblico Paesaggio, cit., p. 18.

(4) La definizione toponomastica risale ai seguenti scritti: CITTAEMILIA. Sperimentazioni architettoniche per un'idea di città, a cura di C. Quintelli, Milano, Abitare Segesta, 2000; C. Quintelli, Il progetto CittàEmilia, in "Urbanistica Informazioni", 2002, 186, pp. 75-79.

(5) C. Quintelli, Geo(foto)grafia del paesaggio. Prove di s/ri/composizione del paesaggio tra Parma, Reggio Emilia e Modena, in Pubblico Paesaggio, cit., pp. 78-85.

(6) Tra le pubblicazioni dedicate al tema della Via Emilia da parte del Centro studi CITTAEMILIA si segnalano: S.S.9. Via Emilia. Progetti architettonici e nuovi luoghi lungo la Via Emilia tra città e città, a cura di C. Quintelli, Milano, Abitare Segesta, 2001; C. Quintelli, La strada ritrovata. Problemi e prospettive dell'architettura della Via Emilia, Parma, Festival Architettura Edizioni, 2005.

(7) C. Quintelli, R. Cantarelli, K. Siena, S. Scaffardi, S. Cusatelli, Habitare la Via Emilia. Presenze e luoghi di rifondazione insediativa, in Pubblico Paesaggio, cit., pp. 190-215; C. Quintelli, Peregrinatio Aemiliae. Attraverso il monumento Via Emilia, tra riscoperta e segnatura degli elementi insediativi, in Pubblico Paesaggio, cit., pp. 216-219.

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