Rivista "IBC" XVII, 2009, 1
Dossier: Studi d'artista - Conoscere e conservare i luoghi della creatività in Emilia-Romagna
musei e beni culturali, biblioteche e archivi, dossier /
La provincia è solamente una categoria mentale e la grande cultura può essere prodotta in un piccolo centro dell'Appennino romagnolo come nei sobborghi di New York: così Mattia Moreni spiegava l'approdo alla provincia romagnola, che già fra gli anni Quaranta e Cinquanta lo aveva attratto, portandolo a lunghi periodi di intensa frequentazione. Qui desidera tornare stabilmente, dopo il decennio parigino; nel '66 pensa di fermarsi nella Romagna della "bassa", vicino al mare, nelle vicinanze di Casal Borsetti, che all'epoca era un porto di pescatori, non toccato dal frastuono del turismo balneare e attraversato dal "Canale delle acque chiare".
Questa sua ricerca lo orienta ben presto verso l'entroterra romagnolo; in particolare lo attraggono le atmosfere sospese dei calanchi (forse allude a essi quando scrive: "L'apparizione di un paesaggio di stupore, finita la collina, e guardare con gli occhi abbagliati dal colore dello sconosciuto..."). Finché, su un pendio nelle campagne di Brisighella, nel Ravennate, è colpito dalla posizione di un casale abbandonato, di proprietà delle Opere pie. Nella visita delle "Calbane vecchie" Moreni individua una scritta: "Damiano Brunoni muratore di Riolo fece questa casa nel 1866". Sembra un segno del destino che siano trascorsi esattamente cento anni dalla data della costruzione al momento del suo ingresso in quella casa, che in breve lui stesso ristruttura e trasforma nel luogo del suo lavoro artistico.
Moreni sceglie il "buon ritiro" in Romagna per allontanarsi dal frenetico mondo del mercato dell'arte, delle gallerie, dei circuiti obbligati e del vassallaggio rispetto ai critici in voga. Durante questo periodo l'artista svilupperà alcuni dei suoi lavori di più forte intensità, quali per esempio la serie delle "Angurie" e delle loro metamorfosi, a cui si dedicherà fino al 1975. Dal 1976 al 1984 lavora alla grande arca polimaterica Mistura, che rappresenta un imponente monumento alla decadenza della società contemporanea.
Nel 1970 era avvenuto l'incontro con Santa Sofia (Forlì-Cesena), tramite la partecipazione, in qualità di rappresentante degli artisti, alla giuria del Premio "Campigna" giunto alla sua quattordicesima edizione, al fianco di critici di rilievo quali Francesco Arcangeli e Luigi Carluccio. Nel 1973 si presenta al Premio e lo vince con il dipinto Un'anguria in disfacimento o della lontananza, poi conluito nel fondo santasofiese. Dopo il 1973, Moreni partecipa con assiduità al Premio convertito in rassegna (l'ultima tornata concorsuale sarà del 1978): per esempio nella mostra del 1975 curata da Carluccio, "Realtà ed esistenza nella pittura degli anni Sessanta". Si giunge così alle due rassegne tematiche dell'inizio degli anni Ottanta, una dedicata al paesaggio (1983) e l'altra alla natura morta (1984), durante le quali vengono acquisite Santa Sofia prilla prima di esplodere e "Ah! La bistecca del vicino...".
Il legame di Moreni con Santa Sofia si stringe ancor di più allorché il promotore del "Campigna", Vero Stoppioni, intuendo le grandi potenzialità per il prestigio del paese, convince l'artista a eseguire "su commissione" un'opera all'anno da destinare a una costituenda galleria civica. La prima di queste opere, nell'ambito della rassegna dell'83, è appunto un'allucinata visione di uno scorcio fluviale di Santa Sofia, che apre il ciclo della "Regressione della specie e regressione Belle Arti"; Moreni, che in quel periodo sta realizzando le sue "Marilù" (opere dalla gestazione lunghissima, eseguite con punta di pennello e dita), alle richieste di Stoppioni si schernisce ("Non lo so più fare il paesaggio, non lo posso proprio fare"), nonostante desideri tornare alla forte intensità della pittura gestuale stendendo i pesanti grumi di colore con la spatola. A vincere completamente la sua resistenza sarà il paesaggio visto dalla speciale angolatura garantita solo (a suo dire) dalle finestre del Palazzo comunale.
È così che la sala del Consiglio comunale, le cui finestre sono orientate verso il paesaggio prescelto, viene concessa all'artista, che nell'estate del 1983 dipinge sotto lo sguardo furtivo dei dipendenti comunali e dei cittadini (i quali devono comunque attraversare un lato del salone per recarsi nell'ufficio del sindaco), incuriositi dalle forti esclamazioni che prorompono nel bel mezzo dell'estro creativo. A Santa Sofia prende vita anche la lunga serie degli autoritratti, suggellata con una stretta di mano fra Moreni e Stoppioni, secondo l'usanza contadina in cui il testimone compie il gesto di tagliare le mani giunte; la serie, il cui primo esempio è Autoritratto n. 1 del 1985, così significativamente rappresentata nella raccolta di Santa Sofia, ha avuto una continuità inaspettata portando alla realizzazione di un corpus di circa centocinquanta opere.
In questi anni Moreni soggiorna per lunghi periodi a Santa Sofia, vivendo in un piccolo appartamento nella borgata "La Croce" che con le sue viuzze appartate, le salite ripide con il selciato sconnesso, i balconi adorni di gerani, le arcate inaspettate, costituisce "un silenzioso paese dentro il paese". Nella casa dell'anziana affittuaria, "l'Angiolina", con cui Moreni ha un rapporto scherzoso, si vede ancora la scritta in corsivo "n. 9 Moreni". Emergono dai racconti dei santasofiesi la simpatia e il rispetto dell'artista per le persone semplici, in sintonia con la dichiarata avversione per le convenzioni borghesi. Questo fa sì che sia mal accettato e criticato dai "ben pensanti", ai quali Moreni non risparmia aspro sarcasmo; si riverbera, al contempo, su di lui, l'apprezzamento che la comunità prova per Stoppioni e per la sua autorevolezza. Molti in paese percepiscono il suo valore artistico, che ha indubbiamente contribuito a far crescere, assieme ad altri pittori del "Campigna", il gusto e la capacità di rapportarsi al "nuovo", e si affrettano quindi ad acquisire e collezionare le sue opere.
Durante il soggiorno a Santa Sofia, al pittore viene concesso come studio l'ultimo piano del Palazzo comunale, che per lungo tempo ha mantenuto intatti i segni, le tracce, gli oggetti di una quotidianità creativa (il tavolo, i barattoli con i colori rinsecchiti, i pennelli) e gli odori acri delle vernici. Nel 1985, grazie all'appoggio di Stoppioni, Moreni può disporre della palestra delle scuole per una personale dal titolo "Mattia Moreni. Il principio della fine dell'umanesimo. 1970-1985", al termine della quale viene donato alla cittadinanza il monumentale assemblaggio di Mistura. L'eccelso pregio dell'opera ha spinto a progettare la Galleria d'arte contemporanea come una sorta di "guscio" esterno dell'opera stessa, giocando tutto in funzione della valorizzazione di quest'ultima, affinché fosse il punto focale dell'intera struttura.
Nel contempo, Moreni sembra essersi identificato in maniera fisica con il contesto museale, concependo una arcana corrispondenza fra il suo corpo, gli spazi e le fasi che hanno scandito la sua vicenda artistica (la parte superiore rimanda idealmente alla testa e alle opere della "regressione", e i sotterranei alle viscere accompagnate dai dipinti delle fasi precedenti). Da una testimonianza dell'amico santasofiese Vilmo Greggi emerge un singolare rapporto di stima e di confronto con Stoppioni: "In occasione della mostra del 1985 nella palestra olimpionica, Stoppioni decise di negargli il permesso di esporre un quadro, per altro insignificante (non più audace degli altri). Lo fece per mostrargli la sua autorità, per ricordargli che non poteva fare tutto quello che voleva; non dobbiamo dimenticare che anche Vero aveva una forte personalità. A questo proposito, ricordo che Moreni definiva Vero come un pezzo di burro con all'interno una barra di ferro".1
Da questa lunga frequentazione con il paese appenninico si è sedimentata la mitologia della figura di Moreni negli abitanti del luogo (tutti ricordano i suoi comportamenti estrosi, un ricordo accompagnato dal forte riconoscimento del grande spessore dell'artista). Ma soprattutto, e su ciò si basa l'idea che muoveva gli intenti di Stoppioni, restano il gruppo di opere conservate nella Galleria Stoppioni, nata nel 1990. Opere che vanno, con salti cronologici, dal ciclo delle "Angurie", rappresentato mirabilmente da Un'anguria in disfacimento del '73, fino ad arrivare alle opere del ciclo "Regressione della specie e regressione Belle Arti", nell'ambito del quale Mistura costituisce la summa a fianco dei cinque autoritratti e degli altri dipinti.
Nota
(1) Molte delle notizie qui riferite sono state ricavate dall'intervista a Vilmo Greggi, pubblicata nel catalogo della mostra allestita a Santa Sofia tra luglio e settembre del 2008 - Le Rose del Campigna. Il Premio di Santa Sofia dalla memoria all'attualità, a cura di O. Piraccini, Bologna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Bononia University Press, 2008 ("Immagini e documenti") - ma soprattutto da una testimonianza della signora Poupy Prath Moreni, che in questa occasione si ringrazia.
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